Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23384 del 19/09/2019

Cassazione civile sez. II, 19/09/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 19/09/2019), n.23384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24727/2015 proposto da:

OSPEDALE CIVICO “(OMISSIS)” con sede in (OMISSIS), in persona del

Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA CUCCIA, rappresentato e difeso

dagli avvocati GUIDO BELMONTE, ERMANNO BOCCHINI;

– ricorrente –

contro

COMUNE di PROCIDA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato ex lege in ROMA, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIO SCOTTI GALLETTA;

D.A. e D.F., rappresentati e difesi, giusta

procura speciale Rep. n. (OMISSIS) per Notaio Avv.

C.A., dagli avvocati STEFANO PELLEGRINO e ROBERTO PELLEGRINO,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI FAGGELLA 4/D, presso

BENEDETTA COCCHI PELLEGRINO;

– controricorrenti –

contro

S.L.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2067/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ERMANNO BOCCHINI, difensore del ricorrente, che si

riporta agli atti depositati e chiede l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato STEFANO PELLEGRINO, difensore dei controricorrenti,

che si riporta agli atti depositati.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

L’Ospedale Civico (OMISSIS), con ricorso fondato su quattordici motivi, chiede la cassazione della sentenza n. 2067/2015 della Corte di Appello di Napoli.

Il ricorso è resistito con controricorso di D.A. e F., eredi dell’originario attore D.G..

Il Comune di Procida, quale litisconsorte ed interventore dipendente, ha svolto “controricorso adesivo ai sensi dell’art. 370 c.p.c. e art. 105 c.p.c., comma 2”.

Non ha svolto attività difensiva S.L.M.. Premesso che con l’odierno ricorso questa Corte viene per la terza volta investita della controversia contrassegnata da un processo articolatosi in sette gradi di giudizio, le vicende della causa devono sintetizzarsi nel modo seguente e tenendo comunque presenti, nel doveroso riepilogo e per quanto possibile, le opportune e note ragioni di sinteticità degli atti. Con testamento olografo pubblicato con verbale per Notaio O. il 20 luglio 1940 venivano disposte le volontà testamentarie del de cuius Dott. Sc.La.Do. deceduto in (OMISSIS).

Il de cuius, con tale testamento, disponendo dei numerosi immobili rientranti nell’eredità relitta, nominava ed istituiva “erede universale l’Ospedale Civico di (OMISSIS) con la condizione che detto patrimonio non vada convertito in altra opera di beneficenza”, salvo altri legati e con la previsione – a mezzo di altra successiva scheda testamentaria pubblicata in pari data – di un onere modale a carico dell’Ospedale di (OMISSIS) consistente nell'”accrescimento di altri sei membri del Consiglio di Amministrazione” dello stesso ospedale “scelti fra cittadini di provata probità”.

Con atto di citazione del 1999 il succitato originario attore D.G. adiva il Tribunale di Napoli.

Tanto, quale erede legittimo del de cuius Sc.La. in quanto pronipote ex filia di S.L.A., quest’ultimo nipote della sorella del medesimo de cuius Sc.La.Ma. coniugata L. ed a sua volta deceduto il (OMISSIS) prima del termine prescrizionale per l’accettazione di eredità.

L’attore D., dichiarando di essere venuto a conoscenza del testamento dello Sc.La. del 1940 solo nel 1998, chiedeva all’adito Tribunale di accertare l’inadempimento da parte dell’Ospedale Civico (OMISSIS) dell’onere testamentario e, quindi, l’accertamento della condizione risolutiva della disposizione testamentaria, la declaratoria di apertura della successione testamentaria legittima di Sc.La.Do. e di erede di D.G. con conseguente ordine all’Ospedale suddetto di restituzione ad esso erede di tutti gli immobili ricevuti per testamento.

In particolare l’attore precisava che, venendo meno all’onere testamentario di cui alla detta condizione risolutiva, l’Ospedale aveva espressamente deliberato, in risposta a due suoi solleciti, “di non rispettare la volontà testamentaria” e che lo stesso – a partire dal 1981- aveva “abbandonato l’attività ospedaliera e si era trasformato in una casa di ricovero per anziani a pagamento” con assistenza alberghiera.

Incardinatosi il contraddittorio con la costituzione dell’Ospedale (OMISSIS), che resisteva alla domanda attorea, e gli interventi di S.L.M. (che, in via autonoma, chiedeva il riconoscimento della propria qualità di erede) e del Comune di Procida, che aderiva alla difesa dell’Ospedale, il Tribunale di prima istanza – con sentenza n. 7160/2001 – riconosciuto il diritto ereditario dell’attore e l’avveramento della condizione risolutiva della disposizione testamentaria, rigettava la domanda attorea per prescrizione, dichiarando l’inammissibilità sia della domanda, ritenuta tardiva, della intervenuta S.L., che dell’intervento del Comune di Procida.

Il D. interponeva appello avverso la suddetta decisione del Giudice di prime cure lamentando il mancato accertamento della precisa data di avveramento della condizione risolutiva apposta dal testatore ed individuata nel periodo di dismissione dell’attività ospedaliera, data da individuarsi fra il 1993, anno di modifica del Regolamento interno dell’Ospedale convenuto, ed il 1997, anno di conservazione della sola attività di ricovero alberghiero degli anziani.

Con sentenza n. 1470/2003 la Corte di Appello di Napoli, sezione seconda civile, rigettava l’appello principale, nonchè quello incidentale dell’Ospedale dichiarando proponibile l’intervento del Comune di Procida, statuendo che non si era avverata la condizione risolutiva della disposizione testamentaria con la lamentata dismissione dell’attività sanitaria.

A seguito di ricorso per cassazione del D.G., questa Corte, con sentenza n. 7467/2005, in accoglimento del primo motivo cassava la sentenza impugnata della Corte distrettuale del 2003 e rinviava ad altra sezione della stessa.

Questa Corte, con quella decisione, riteneva – in particolare -necessario “un approfondimento sulle condizioni cui sono subordinate le prestazioni sanitarie fornite dall’Ospedale ai ricoverati nella parte rimasta nella sua disponibilità e sulla natura stessa delle prestazioni offerte”.

Riassunto il giudizio da parte di D.A. e F., figli dell’originario attore, nelle more deceduto, ed unici eredi dello stesso (stante anche l’intervenuta rinuncia della vedova Ca.Eu.), la causa nel contraddittorio delle altre tre citate parti già costituite, veniva decisa con sentenza n. 1385/2006 della Corte di Appello di Napoli, sezione terza civile.

Quest’ultima, nell’occasione, riteneva che “all’interrogativo dei Supremi Giudici in sede di rinvio non poteva che darsi risposta negativa” e, quindi, affermava che:

vi era stato riconoscimento dallo stesso Ente appellato che esso “non è l’istituzione preposta a fornire all’isola di (OMISSIS) l’assistenza sanitaria di tipo ospedaliero e di Pronto Soccorso” anche se il relativo compito fu temporaneamente svolto dall’Ente medesimo nel periodo 1961/1981.

Provvedeva, quindi, in accoglimento dell’appello ed in riforma della impugnata sentenza di primo grado, ad accogliere la domanda attorea dichiarando risolta la disposizione testamentaria de qua e, per l’effetto aperta la successione legittima del de cuius Sc.La.Do. con condanna del convenuto Ospedale alla restituzione di tutti gli immobili ricevuti per testamento, dichiarando inammissibile la domanda della S.L..

Tale ultima decisione della Corte distrettuale veniva, con ricorso fondato su quattro motivi (ai quali, in sostanza, aderiva anche il Comune di Procida) e resistito dagli odierni controricorrenti, impugnata per la sua cassazione da parte dell’Ospedale.

Con sentenza n. 14628/2008 questa Corte – in accoglimento del primo motivo dell’interposto gravame (relativo ad omessa o quantomeno insufficiente motivazione dell’avvenuto mutamento dell’originaria attività di assistenza sanitaria agli infermi indigenti”) cassava la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 2006 e rinviava ad altra sezione della medesima Corte.

Quest’ultima, con sentenza n. 2067/2015 della sua quarta sezione oggi gravata, accoglieva l’appello proposto dai D.A. e F. ed di riforma della sentenza n. 7160/2001 del Tribunale di Napoli, dichiarava risolta la disposizione testamentaria dello Sc.La. per avveramento della condizione risolutiva ivi apposta e, per l’effetto, dichiarata aperta la successione di Sc.La.Do., dichiarava i due suddetti appellanti eredi legittimi dello stesso de cuius, con condanna dell’Ospedale convenuto alla restituzione degli immobili specificamente individuati in sentenza, con ulteriore declaratoria di inammissibilità della domanda autonoma della S.L.M. e della domanda degli appellanti principali D. alla restituzione, da parte dell’Ospedale, delle disponibilità liquide.

Nell’occasione, e per quanto oggi ancora rileva, la quarta sezione della Corte di Appello di Napoli, circoscritto il proprio compito agli approfondimenti affidati da questa Corte al Giudice del merito -in sede di secondo rinvio – riteneva, in senso decisivo che:

non poteva darsi risposta affermativa al richiesto accertamento della gratuità, a favore degli anziani non abbienti, del ricovero garantito nei locali rimasti a disposizione dell’Ospedale, il quale rende ai suoi ospiti una attività di assistenza a pagamento;

non risultavano sussistenti interventi sanitari per esigenze eccedenti la norma a favore di anziani bisognosi di cura ed assistenza medica senza spese per gli stessi ed a cura della ASL conduttrice dei locali in modo continuo.

La Corte distrettuale riteneva, inoltre, difettosa anche qualsivoglia prova della concreta destinazione dei proventi ricevuti dall’Ospedale per la locazione dei beni ricevuti in eredità, in via diretta od indiretta ed anche in misura minima, ad attività sussumibile in quella di assistenza sanitaria.

In conclusione, secondo la decisione oggi gravata, “non esisteva prova della effettiva conservazione dell’attività istituzionale, non essendo stato dimostrato che l’Ospedale ancora assicurava…. l’assistenza socio-sanitaria gratuita a favore dei non abbienti”.

Il proposto ricorso, per testuale ammissione in esso contenuta, si basa su i primi undici motivi, tutti finalizzati a censurare quella che viene definita “la ribellione” della Corte distrettuale nei confronti della sentenza n. 14628/2008 di questa Corte, riproponendo i rimanenti motivi n.ri 12,13 e 14 le medesime censure già proposte nel ricorso avverso la sentenza n. 1389/2006 della Corte napoletana con motivi a suo tempo dichiarati assorbiti.

Nel controricorso dei germani D. viene, preliminarmente, eccepita l’inammissibilità dell’avverso ricorso, quantomeno in relazione alle prime svolte sette censure in cui si articola lo stesso, per mancanza di specificità dei motivi ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., l’ospedale Civico “(OMISSIS)” ed il Comune di Procida.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione delle norme sul giudizio di rinvio di cui all’art. 394, in relazione all’art. 365 c.p.c., n. 5.

Parte ricorrente adduce che, rispetto alla sentenza di questa Corte del 30 maggio 2008, n. 14628, la decisione oggi gravata avrebbe consumato la già accennata “ribellione” al dictum affermato, con la disposizione del secondo annullamento e rinvio, di questo Giudice di legittimità.

Dall’esame della sentenza della corte territoriale emerge che la stessa (v. alle p. 18 e ss.) ha ben tenuto presenti i tre compiti affidati alla Corte di merito in sede di disposto seguenti rinvio.

In particolare la sentenza gravata, senza esorbitare daL quanto richiesto col secondo rinvio, ha dato risposta a quanto richiesto ovvero – nell’ordine – all’accertamento circa la gratuità o meno a favore dei non abbienti del ricovero degli anziani nei locali rimasti a disposizione dell’Ospedale convenuto; all’accertamento – ancora – della sussistenza del fatto che veniva assicurata, senza spesa, agli anziani ricoverati assistenza quanto alle esigenze sanitarie eccedenti la norma;

all’accertamento – infine – della destinazione, totale o parziale, dei proventi della locazione degli immobili contigui a quelli conservato dall’Ospedale convenuto ad attività sussumibile in quella di assistenza sanitaria.

La decisione gravata, come si avrà modo di verificare ulteriormente dal seguente esame dei successivi numerosi motivi di ricorso, ha dato risposta a quanto richiesto da questa Corte con l’ultima sentenza di rinvio.

Non vi è stata, quindi, violazione delle norme invocate ed il motivo deve, dunque, essere rigettato.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di illogicità e contraddittorietà di motivazione tra motivi e dispositivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Col motivo, proposto in via subordinata rispetto al primo, si riportano due osservazioni svolte dalla Corte distrettuale al fine di evidenziare che “l’attività di assistenza sanitaria è oggi superata perchè assicurata a tutti cittadini dal sistema sanitario nazionale” e la pretesa illogica pronunzia oggi gravata in punto si statuizione sulla “risoluzione della disposizione testamentaria per mancata assistenza sanitaria”.

Il motivo, verosimilmente (ri)utilizzato e già in precedenza sollevato nel lunghissimo iter processuale, non tiene conto degli effetti della novella apportata all’invocato art. 360 c.p.c., n. 5, dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012 ed applicabile ai ricorsi per cassazione proposti contro sentenze pubblicate a partire dall’11.9.2012 (D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012).

Col motivo qui in esame viene inammissibilmente denunciata una “contraddittorietà” della motivazione e non l’omesso esame di uno specifico fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, pretendendo così di eludere i suddetti effetti della succitata novella legislativa che – esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza o contraddittorietà della motivazione – ha ridotto al minimo costituzionale il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. civ., SS.UU., Sentenza 7 aprile 2014, n. 8053).

Va evidenziato, al riguardo, che – proprio alla stregua del noto principio enunciato dalle S.U. di questa Corte nel 2014 con la decisione innanzi citata – è ormai consolidato l’orientamento per cui solo la “sostanziale mancanza di motivazione” e, quindi, la “mancanza assoluta di motivi” giustifichino il ricorso all’art. 360 c.p.c., n. 5. Tanto fatta salva l’eccezione configurabile nel caso di ricorrenza di una situazione, già considerata dalla giurisprudenza delle S.U. con la Sentenza 25 ottobre 2013, n. 24148, consistente in “un ragionamento del giudice del merito dal quale emerga una totale obliterazione di elementi”, ipotesi questa invero non ricorrente nella fattispecie quest’ultima.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

Tutto ciò detto, il motivo qui scrutinato consente anche di riscontrare (come innanzi già accennato sub 1) il fatto che sia stata data corretta attuazione al nuovo compito del riesame imposto alla Corte territoriale.

Infatti quest’ultima, decidendo in sede di secondo giudizio di rinvio (e ribadendo con nuova ulteriore motivazione il decisum della sentenza n. 1385/2006), ha riesaminato la questione della insussistenza del mantenimento degli obblighi di assistenza gratuiti di cui al testamento del Dott. Sc.La.Do. comportante la risoluzione della disposizione testamentaria. Ed il riesame della questione risulta svolto con corretto riferimento ai due piani di assistenza cui doveva porsi attenzione ovvero a quello generale dell’assistenza universale introdotta nel nostro ordinamento ben dopo l’epoca delle disposizioni testamentarie e quello (rilevante ai fini del corretto decidere) della specifica assistenza gratuita agli anziani non abbienti non più esercitata.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente censura la violazione e falsa applicazione delle regole in tema di giudicato interno ex art. 2909 c.c. e art. 630 c.p.c., n. 3.

In sostanza si contesta che, già con la prima sentenza di questa Corte n. 7476/2005, risultava accertata la natura di disposizione testamentaria condizionale e non modale dell’assistenza ai poveri e che, nonostante ciò, la sentenza impugnata ha fatto applicazione degli artt. 1453 c.c. e segg..

Il testo invocato della precedente citata sentenza di rinvio (con efficacia preclusiva) di questa Corte del 2005 così, sul punto, recitava “la fattispecie in esame va inquadrata nell’ambito delle azioni volte a far accertare e dichiarare, ex art. 638 c.c., l’avveramento della condizione risolutiva posta dal testatore”.

La censura è pertinente quanto alla errata parte motiva dell’ultima sentenza della Corte di Appello di Napoli del 2015 oggi gravata laddove essa accenna al (precluso) inadempimento. E’, infatti, errata (e va in tal senso corretta) la ricostruzione da ultimo operata dalla Corte territoriale in tema di qualificazione del previsto obbligo di assistenza gratuita ai poveri.

Esso, invero, deve qualificarsi come elemento di disposizione testamentaria condizionale e non modale.

Peraltro la distinzione fra la differente natura ed i diversi effetti dell’inadempimento di obbligo modale e dell’avveramento di condizione risolutiva in materia di successioni testamentarie è già stata oggetto di nota pronuncia di questa Corte (Sez. Seconda, Sentenza 20 febbraio 2003, n. 2569) avente ad oggetto analoga vicenda di donazione di immobile ad altro Ospedale.

Pur stante l’affermata e qui corretta erronea qualificazione (come modale) del detto obbligo di assistenza, il motivo non può comunque essere accolto perchè l’errata qualificazione non assume carattere rilevante al fine della corretta decisione e perchè la censura svolta non coglie la ratio decisiva della sentenza gravata.

Tale (decisiva) ratio, come già innanzi (sub 2) accennato, si fonda sul sufficiente accertamento, in base al quale risulta acclarato che non vi era più prestazione di assistenza gratuita agli anziani non abbienti.

I altre parole ancora ed anche alla stregua della “soluzione data alla questione assorbente della controversia” (Cass. 16 maggio 2006, n. 11356) bastava, nella fattispecie ed al di là della sua qualificazione, il solo accertamento dell’omessa gratuità.

Il motivo va, dunque, respinto.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di illogicità di motivazione e tra motivazione e dispositivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo, per le stesse ragioni innanzi già enunciate sub 2 è del tutto inammissibile stante l’applicabilità, in ipotesi, della disciplina dettata dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5, ed i criteri ermeneutici dettati in tema dalla giurisprudenza di legittimità.

5.- Con il quinto motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 648 c.c., in relazione all’art. 635 c.p.c., n. 3.

Il motivo, svolto in subordine al mancato accoglimento dei primi quattro motivi, propone la questione – anche a voler ritenere come modale la disposizione testamentaria impugnata – dell’inesistenza della previsione di una risoluzione in quanto essa non era “stata espressamente prevista dal testatore in caso di inadempimento dell’onere da parte dell’erede”.

Orbene, a prescindere al fatto che una condizione è – come tale -apposta ed – una volta qualificata come tale – non necessita di per sè di apposita e rafforzativa ulteriore disposizione per il caso di inadempimento deve, decisivamente, osservarsi quanto segue. Quella posta col motivo qui in esame, costituisce – allo stato degli atti e per come prospettata – questione nuova (non risultante come già svolta nei pregressi gradi del giudizio) o comunque, come tale, ritenuta in difetto di ogni altra dovuta opportuna allegazione.

Il motivo è, pertanto, del tutto inammissibile.

Infatti ” i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio.” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 30 marzo 2007, n. 7981 ed, ancora e più di recente, Sez. 6-1, Ordinanza, 9 luglio 2013, n. 17041).

6.- Con il sesto motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 648 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Parte ricorrente lamenta, nella sostanza, che vi sarebbe stato errore nella valutazione dell’inadempimento alla disposizione testamentaria.

Tale inadempimento, secondo l’odierna prospettazione di parte ricorrente, doveva essere accertato come “inadempimento commesso con colpa grave” essendo la disposizione a titolo gratuito.

Il motivo pone, pure in questo caso, una questione che risulta nuova e che, quindi, anche alla stregua della giurisprudenza appena innanzi citata non può essere esaminata.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

7.- Con il settimo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 633 c.c. e segg. e art. 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo, proposto in via subordinata ai precedenti, concerne il regime della prova dell’inadempimento in relazione alla disposizione testamentaria gravata da onere (e spettante al debitore) ed a quella sottoposta a condizione risolutiva (la prova del cui avveramento spetta a chi invoca la risoluzione avendo l’avveramento carattere costitutivo della risoluzione).

In altre parole parte ricorrente lamenta, in sostanza, che l’errato inquadramento da parte della Corte territoriale (come onere modale) dell’obbligo imposto col testamento ha, di fatto, comportato una inversione dell’onere probatorio.

Senonchè è vero che, secondo il generale principio in tema di ripartizione dell’onere probatorio (di cui a Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 13533) e secondo la già citata Cass. n. 2569/2003 “incombe sul debitore la prova liberatoria della non imputabilità dell’inadempimento” nella ipotesi di inadempimento della disposizione testamentaria modale (tale erroneamente ritenuta, da ultimo, dalla Corte territoriale), ma deve corrispondentemente osservarsi quanto segue.

La richiamata e decisiva ratio posta a base della sentenza oggi gravata è consistita nell’accertamento (avente carattere del tutto assorbente di ogni altra questione) dell’inadempimento dell’obbligo di assistenza gratuita.

Peraltro parte ricorrente non risulta aver mai contestato la stessa attribuitale aperta declaratoria di non voler “rispettare la volontà testamentaria” in occasione degli allegati due solleciti posti dall’originario attore prima dell’instaurazione del giudizio;

la medesima parte che oggi si lamenta col motivo qui in esame non risulta neppure aver debitamente contestato, con svolta tempestiva richiesta di prova contraria, quell'”abbandono dell’attività ospedaliera” con trasformazione di quella che doveva essere assistenza gratuita per gli anziani poveri in “casa di ricovero per anziani a pagamento con assistenza alberghiera” (tale ultimo aspetto risultante, per di più, già affermato fin dalla sentenza della Corte distrettuale n. 1385/2006).

E l’atteggiamento processuale della parte ricorrente appena rimarcato è del tutto carente in ordine all’ovvio onere probatorio sulla struttura ospedaliera-assistenziale e sul suo modo di conduzione, onere doverosamente da adempiersi comunque.

Tanto anche in ossequio del noto e consolidato criterio (da ultimo utilizzato, pur se per fattispecie differenti) da Cass. n. 7830/2018 e Cass. n. 17108/2016, di prossimità della prova: dall’applicazione di tale criterio generale discende, salva la facoltà del Giudice di avvalersi e valutare la portata di elementi e prove comunque prospettati ed allegate, la persistenza di un onere per la parte controinteressata di addurre e dimostrare fatti contrari ed idonei ad inficiare quegli elementi e quelle prove.

Il motivo è, quindi, infondato e va respinto.

8.- Con l’ottavo motivo del ricorso si prospetta il vizio di illogicità e contraddittorietà di motivazione in sede di giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo è del tutto inammissibile per una duplice ragione.

Innanzitutto poichè si incentra su questioni che, almeno in parte, non risultano essere state precedente poste in giudizi;

in secondo luogo perchè pone fondamentalmente questioni in buona sostanza relative al riesame, in punto di fatto, della controversia e già congruamente affrontate nella sede propria dal parte del Giudice del merito.

9.- Con il nono motivo del ricorso si censura il vizio di illogicità, insufficienza, contraddittorietà di motivazione nel giudizio d rinvio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo, rinviando a quando già in precedenza ripetutamente affermato, è inammissibile stante il vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che non consente l’allegazione di mera carenza motivazionale.

10.- Con il decimo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 394 c.p.c. e art. 365 c.p.c., n. 3.

Viene contestato l’effetto, indotto dalla errata qualificazione (come modale) dell’obbligo testamentario, dell’aver fatto gravare al convenuto la prova della condizione risolutiva rappresentata dal fatto della “concreta destinazione dei proventi della locazione ed, in particolare, delle somme incassate a titolo di locazione dall’Ospedale, anche in misura minima, ad attività dell'(OMISSIS) prevista dallo Statuto”.

Il motivo non può essere accolto.

In primo luogo va ribadito che la ratio dirimente, decisiva e sufficiente è (come già innanzi ripetutamente evidenziato) quella dell’accertamento della non gratuità delle prestazioni erogate. Inoltre l’odierna parte ricorrente nulla ha debitamente controdedotto (come innanzi già affermato sub 7) a fronte della predetta e rilevante risultanza di non gratuità comunque accertata, nè (come ancor meglio si vedrà in seguito sub 13) ha tempestivamente svolto opportuna richiesta di prova contraria.

Per di più, ancora, sarebbe oggi ormai del tutto inammissibile la pretesa di una valutazione di carattere comparativo circa l’erogazione, almeno in parte gratuita, dei costosi servizi di assistenza agli anziani asseritamente non interamente coperti con il pagamento delle rette.

Il motivo va, dunque, respinto.

11.- Con l’undicesimo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 394 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 3.

Sarebbe stato violato, secondo la prospettazione di parte ricorrente, il principio di legittimità per cui nel giudizio di rinvio sono ammesse le prove necessarie per effetto delle nuove “indagini richieste” dalla Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento ed il rinvio al Giudice del merito.

Il motivo non può essere accolto.

Con la precedente sentenza del 2008 di questa Corte non si dava, invero, corso alla “prescrizione” di ulteriori ed obbligatorie indagini nel senso preteso dalla parte ricorrente, ma si imponeva solo una nuova ennesima valutazione della controversia.

Peraltro il Giudice del rinvio non è tenuto ad assumere per forza nuove prove, nè – tantomeno – quelle non richieste dalle parti o quelle in ordine alle quali (come si dirà sub 13) le parti sono già incorse in decadenza.

Il motivo va, dunque, respinto.

12.- Con il dodicesimo motivo riproponendo in sostanza il secondo motivo del precedente ricorso per cassazione del medesimo odierno ricorrente, si prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè, ancora, omissione o, quantomeno, insufficienza di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), nonchè, ancora, violazione delle norme sul giudizio di rinvio (artt. 383 c.p.c. e segg., artt. 392 c.p.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5).

Viene, inoltre, ripotato dalla parte ricorrente un quesito diritto invero oggi non più necessario stante l’abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c..

Il motivo è inammissibile perchè introduce cumulativamente ed inestricabilmente vizi del tutto eterogenei senza la necessaria chiarezza e sinteticità delle doglianze prospettate con l’effetto di devolvere impropriamente al questo Giudice di legittimità il compito di isolare discrezionalmente le singole censure (Cass. S.U. n. 9100/2015, nonchè Cass. 12926/2016).

In proposito deve anche richiamarsi il principio già affermato da questa Corte per cui, “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di questione sotto profili incompatibili quali quelli della violazione o falsa applicazione di norma di legge e del vizio di motivazione” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 23 settembre 2011, n. 19443, nonchè – conformemente, da ultimo – Cass. civ., Sez. Terza, Sent. 10 febbraio 2017, n. 3554).

E tanto in quanto è comunque sempre necessario che “dal testo del ricorso si evincano con sufficiente chiarezza le questioni sottoposte al Giudice di legittimità” (Cass. civ., SS.UU. 31 ottobre 2007, n. 23019).

Il motivo è, quindi e nel suo complesso, inammissibile.

13.- Con il tredicesimo motivo del ricorso, riproponendo il terzo motivo del citato precedente ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., la violazione delle norme sul giudizio di rinvio (artt. 383 c.p.c. e segg., artt. 392 c.p.c. e segg.), nonchè difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, il tutto ai sensi degli artt. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Viene, inoltre, riportato dalla parte ricorrente un quesito diritto invero oggi non più necessario stante l’abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c..

In sostanza col motivo si lamenta omessa pronuncia sulle prove che, “se ammesse, avrebbero fatto pervenire la Corte distrettuale a conclusioni opposte”. Il motivo, svolgendo plurime, promiscue ed eterogenee censure deve ritenersi, al pari di quanto innanzi già affermato (sub 12), del tutto inammissibile.

Tanto deve affermarsi non senza evidenziare, in punto, l’intervenuta decadenza, in corso di giudizio, dell’odierna parte ricorrente dai mezzi di prova di cui all’odierno motivo.

In proposito non può che richiamarsi quanto rilevato (a pag. 21) dalla decisione gravata circa la “…..mancata riproposizione (dei mezzi di prova orale) in quest’ultima fase di giudizio (v. le conclusioni rassegnate dall’Ospedale, a pag. 17 della comparsa di costituzione e risposta alla citazione in riassunzione, oltre che le parti narrativa ed argomentativa)”, mezzi “comunque inammissibili in quanto articolati solo con la comparsa di costituzione, del 17 novembre 2005, nel processo di rinvio a seguito della prima cassazione e senza l’indicazione dei testimoni che avrebbero dovuto deporre “sulle circostanze di fatto di cui alla comparsa”, giammai risultando sciolta la riserva di indicazione dei relativi nominativi (v.: la comparsa in prod. conv.)”.

14.- Con il quattordicesimo motivo del ricorso (già quarto del precedente ricorso) si deduce – ai sensi degli invocati art. 533 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – il vizio di mancato accertamento di quanto dovuto in ordine alla sollevata eccezione di usucapione, che avrebbe dovuto far rigettare la domanda di restituzione dei bei ereditari.

Viene, inoltre, riportato ancora dalla parte ricorrente un quesito di diritto invero oggi non più necessario stante l’abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c..

Si lamenta inoltre, dalla parte ricorrente, il difetto di motivazione su un punto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero sulla mancata ammissione di prove decisive richieste dal convenuto nel giudizio, nonchè l’errore nell’aver ritenuto – da parte dei Giudici di merito – la decadenza dalla prova.

Al di là di quanto già innanzi rilevato (sub 13) e qui richiamato in ordine alla corretta ritenuta decadenza, non può che rilevarsi -per come proposto- l’assoluta inammissibilità nel suo complesso del motivo qui in esame.

Questo, infatti, svolge cumulativamente e promiscuamente plurime ed eterogenee censure in modo tale da non poter che far ritenere – per lo stesso ordine di ragioni innanzi già esposte – l’inammissibilità del motivo.

15.- Alla stregua di quanto esposto, affermato e ritenuto il ricorso deve essere rigettato.

16.- Le spese seguono la soccombenza del ricorrente principale e del Comune controricorrente adesivo e si determinano, a carico di entrambe tali parti in solido, come in dispositivo.

17.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna, in solido, il ricorrente principale ed il controricorrente adesivo al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2019

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