Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2338 del 31/01/2018


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2018, (ud. 27/10/2017, dep.31/01/2018),  n. 2338

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La s.p.a. Autostrada del Brennero ha proposto ricorso per cassazione contro Ma.Al., C.G., gli Eredi di M.R. e M.A., quale erede di M.R., avverso la sentenza del 31 luglio 2014, con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato il suo appello avverso la sentenza del Tribunale di Verona.

2. Quel tribunale, in accoglimento delle domande rispettivamente proposte dal Ma. e da C.G., da M.R. e da C.M.G. e D.R.M., nella qualità di proprietari di immobili ad uso abitativo site in (OMISSIS), al fine di ottenere l’accertamento della provenienza dal tracciato autostradale dell'(OMISSIS) di immissioni sonore intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c. e la condanna conseguente della convenuta alla realizzazione di barriere antirumore, aveva dichiarato cessata la materia del contendere quanto alla domanda di C.M.G. e di D.R.M., aveva accolto la domanda di accertamento quanto agli altri tre attori ed aveva condannato la qui ricorrente all’adozione di misure idonee a limitare le immissioni sui fondi di quegli attori, riservandone (sic) l’individuazione ad separato giudizio.

3. A, ricorso hanno resistito con congiunto controricorso il Ma. e C.G..

4. I resistenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso appare inammissibile nei confronti degli Eredi di M.R. e di M.A., giacchè l’indicazione della legittimazione passiva a contraddire in questo giudizio di cassazione e, dunque, della relativa qualità di parti risulta inidonea al raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 3), atteso che parte ricorrente non ha, quanto all’evocazione degli eredi collettivamente ed impersonalmente, indicato il presupposto rappresentato dal decesso del de cuius (non avendo nè specificato se e quando si verificò), mentre, quanto all’evocazione di M.A. nella qualità, non solo rileva sempre l’omissione ora detta, ma si deve considerare anche che la ricorrente non ha allegato ed indicato quale sia la ragione giustificativa dell’acquisito di quella qualità, cioè a che titolo la medesima sia divenuta erede. L’una e l’altra circostanza avrebbero, inoltre, dovuto documentarsi.

Solo se i pretesi e non indicati eredi e la M. si fossero costituiti senza contestare senza contestare la loro legittimazione, le carenze del ricorso in parte qua sarebbero divenute irrilevanti.

Essendo le posizioni delle parti intimate legate da nesso ai sensi dell’art. 332 c.p.c., non v’è possibilità di provvedere ai sensi dell’art. 331 c.p.c..

1.1. Inoltre, anche la posizione delle parti della sentenza impugnata qui non evocate, cioè C.M.G. e D.R.M. è riconducibile all’art. 332 c.p.c..

2. Il primo motivo – con cui si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, “difetto di giurisdizione del giudice ordinario; controversia rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” ribadisce la tesi, già disattesa nei gradi di merito, della sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, adducendo che essa discenderebbe dal disposto del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, là dove prevede quella giurisdizione su tute le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi i trasposti, nonchè dal disposto dell’art. 34 dello stesso D.Lgs., là dove prevede quella giurisdizione sulla controversi relative all’uso del territorio.

2.1. Il motivo è esaminato da questa Sezione Semplice ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 1, in quanto esso è manifestamente infondato, giacchè le Sezioni Unite hanno statuito che: “L’inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un “facere”, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un’attività soggetta al principio del “neminem laedere”. (Nella specie, applicando l’enunciato principio, la S.C. ha dichiarato appartenere al giudice ordinario la cognizione sulla domanda per la condanna di Rete Ferroviaria Italiana alla riduzione nei limiti di tollerabilità delle immissioni rumorose prodotte dai convogli ferroviari, oltre che al risarcimento dei danni da inquinamento acustico).” (Cass., Sez. Un., n. 22116 del 2014).

Il principio è stato affermato anche disattendendo espressamente la prospettazione dell’invocazione della giurisdizione dell’a.g.a. sulla base dell’art. 33 citato e, da ultimo, ne è stata fatta applicazione della Prima Sezione della Corte nella sentenza n. 14180 del 2016 proprio in controversia in cui era parte la ricorrente, essendosi statuito che: “Questa corte, a sezioni unite, ha già affermato che l’inosservanza da parte della p.a. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna a un facere; tale domanda non investe difatti scelte e atti autoritativi, ma attività soggetta al principio del neminem laedere (cfr. Sez. un. n. 22116-14, relativamente ad analoga domanda di condanna alla riduzione nei limiti di tollerabilità di immissioni rumorose nella specie prodotte da convogli ferroviari, oltre che al risarcimento dei danni da inquinamento acustico).

Al richiamo a questa giurisprudenza si possono aggiungere: Cass., Sez. Un. n. (ord.) n. 2052 del 2016; nonchè Cass., Sez. Un., (ord.) n. 11142 del 2017, che ad essa si riporta.

Queste decisioni si riferiscono alle concrete modalità di esecuzione di un’opera pubblica e di gestione di un’opera pubblica e bene evidenziano come la giurisdizione dell’a.g.o. si configuri sulle relative controversie, ove esse non siano riconducibili in alcun modo al provvedimento amministrativo e, dunque, all’atteggiarsi del potere della P.A.. Nella specie la ricorrente è stata concessionaria della realizzazione dell’opera pubblica costituita dalla rete autostradale di cui trattasi ed ora ha in concessione la sua gestione, ma le conseguenze dello svolgimento del traffico autostradale sull’opera in concessione e, quindi, dell’esercizio del relativo servizio pubblico sui diritti dominicali dei proprietari limitrofi, in quanto eccedentarie rispetto alla soglia indicata dall’art. 844 c.c., non sono in alcun modo legittimate da una giustificazione riconducibile ad attività provvedimentale della ricorrente, quale concessionario, in quanto il provvedimento di concessione della sua gestione dopo la realizzazione non contemplava certamente che fosse legittimo, quale conseguenza dell’esercizio del potere gestionale, violare l’art. 844 c.c..

3. Con il secondo motivo si prospetta, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, “violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 164 c.p.c.; nullità della citazione per indeterminatezza della domanda” e si sostiene la doglianza adducendo che gli attori avevano chiesto in modo generico, senza specificarne le caratteristiche e nemmeno il numero, la condanna al facere costituito dalla realizzazione delle barriere antirumore e senza neppure indicarne la tipologia e le caratteristiche tecniche.

3.1. Il motivo individua la motivazione con cui la sentenza impugnata avrebbe disatteso il relativo motivo di appello, con cui era stata prospettata sotto il detto profilo l’indeterminatezza della domanda, riproducendo le ultime sei righe della pagina 4 della sentenza ed omettendo però di considerare le dodici righe della pagina successiva, con cui la corte veneziana ha reso la motivazione.

Ne segue che il motivo è inammissibile, perchè omette di criticare l’effettiva motivazione sentenza impugnata (Cass., sez. Un. n. 7074 del 2017, da ultimo) e tanto è dirimente, non senza doversi osservare che essa è stata anche resa in modo corretto, atteso che, quando si chiede la condanna ad un facere, il petitum della domanda deve individuare il contenuto del facere, ma non identificarne le specifiche modalità di adempimento, dovendo esse accertarsi in concreto con l’espletamento del giudizio e financo, una volta individuate con la sentenza, potendo ulteriormente essere oggetto di attività esecutiva di ulteriore individuazione con riguardo alle modalità della loro effettiva realizzazione (artt. 612 c.p.c. e segg.).

4. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 61,191 c.p.c. e segg.”.

Anche tale motivo è inammissibile, in quanto svolge una critica quella che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe disatteso il motivo d’appello con cui ci si doleva che la c.t.u. fosse stata disposta in situazione di mancato assolvimento dell’onere della prova, sebbene a livello di principio di prova – nuovamente evocando solo una parte della motivazione della sentenza in parte qua: infatti, si fa riferimento alla parte iniziale della motivazione, quella emergente dalle ultime cinque righe della pagina 5 e dalle prime 5 della pagina 6 (in cui la corte lagunare ha richiamato Cass. n. 321 del 1999) e ci si astiene dl considerare le ulteriori sedici righe della pagina 6, a chiusura delle quali si evoca Cass., Sez. un. n. 9522 del 1996.

Tanto è dirimente non senza che si debba rilevare: a) che la stessa attività argomentativa svolta nel motivo si articola con l’evocazione di precedenti che non vengono in alcun modo parametrati all’atteggiarsi del dibattito davanti ai giudici di merito, il che rende quell’evocazione del tutto inidonea ed inconferente; b) che la violazione dell’art. 2697 c.c., non risulta nemmeno dedotta secondo il modello indicato da Cass., sez. Un. n. 16598 del 2016.

5. Il quarto motivo fa valere, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 356 c.p.c.” e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia; omesso esame di un’istanza istruttoria; omesso esame circa le contestazioni rivolte alla relazione del c.t.u.”.

5.1. Nella prima parte, cioè quella dalla pagina 29 alla pagina 31, l’illustrazione del motivo esordisce con la correlazione del motivo di ricorso alla deduzione nel settimo motivo di appello, della “acritica assunzione dei risultati della C.T.U. e (del)la mancata integrazione dei quesiti come motivatamente richiesto” e assume ad oggetto di critica la motivazione con cui la corte territoriale si è fatta carico del motivo, ma, nel criticarla, le imputa non essersi fatta carico dei rilievi che specificamente sorreggevano la critica alla relazione peritale.

Senonchè, nulla è dato sapere riguardo a tali rilievi, sicchè il motivo, là dove imputa alla sentenza impugnata di non avere reso motivazione sul punto, quand’anche si riconducesse ad una violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, non potendo ricondursi al nuovo n. 5 secondo la lettura datane da Cass., Sez. Un. nn. 8053 e 8054 del 2014 (atteso che non si tratterebbe di omessa valutazione di un fatto, ma di omessa motivazione su un motivo di appello), risulterebbe palesemente inosservante dell’art. 366 c.p.c., n. 6, giacchè l’onere di indicazione specifica dell’atto processuale su cui il motivo si fonda esigeva che fosse fornita puntuale riproduzione diretta, ovvero indiretta con indicazione della parte di esso corrispondente con l’indiretta riproduzione, del tenore dell’atto di appello in punto di critica alle valutazioni del c.t.u..

Ne deriva che il motivo, pur apprezzato non già ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, bensì ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (giusta il criterio di valutazione espresso da Cass., sez Un. n. 17931 del 2013), risulterebbe per detta ragione inammissibile.

Tanto si osserva a prescindere dal fatto che la motivazione resa dalla corte territoriale possa dirsi in concreto inosservante dell’art. 132, n. 4.

5.2. Nella seconda parte si svolge la deduzione relativa alla mancata motivazione dei giudici d’appello sulla richiesta di rinnovazione della c.t.u. a seguito della sopravvenienza del(ipotetico) criterio di valutazione – assertivamente superante quello della valutazione alla stregua dell’eccedenza del criterio dei c.d. 3DB, utilizzato dai giudici di merito – espresso nel D.L. n. 208 del 2008, art. 6-ter, convertito, con modificazioni, nella L. n. 12 del 2009.

Ora, è vero che la sentenza impugnata non dice alcunchè sulla questione, che si assume prospettata con la memoria di replica, ma, in disparte il rilievo che giustamente la corte veneziana se ne sarebbe disinteressata, atteso che la legge di conversione de qua risaliva al febbraio del 2009 e, dunque, ad un momento anteriore alla proposizione dell’appello, sicchè l’argomento su di essa basato avrebbe dovuto dedursi come specifico motivo di appello, si rileva, peraltro, a questo punto superfluamente, che questa Corte, con sentenza n. 20927 del 2015 ha statuito: a) che “In tema di immissioni acustiche, la differenziazione tra tutela civilistica e tutela amministrativa mantiene la sua attualità anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 208 del 2008, art. 6-ter, convertito con modificazioni in L. n. 13 del 2009, al quale non può aprioristicamente attribuirsi una portata derogatoria e limitativa dell’art. 844 c.c., con l’effetto di escludere l’accertamento in concreto del superamento del limite della normale tollerabilità, dovendo comunque ritenersi prevalente, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, il soddisfacimento dell’interesse ad una normale qualità della vita rispetto alle esigenze della produzione”; b) e che già il Giudice delle Leggi ebbe ad avallare detta esegesi come costituzionalmente orientata con l’ordinanza n. 103 del 2011.

Il che rende la censura anche assolutamente priva di decisività.

Inoltre, Cass. n. 20198 del 2016 ha recentemente ribadito quanto segue: “In tema di immissioni acustiche, la differenziazione tra tutela civilistica e tutela amministrativa mantiene la sua attualità anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 208 del 2008, art. 6-ter, conv., con modif., dalla L. n. 13 del 2009, al quale non può aprioristicamente attribuirsi una portata derogatoria e limitativa dell’art. 844 c.c., con l’effetto di escludere l’accertamento in concreto del superamento del limite della normale tollerabilità, dovendo comunque ritenersi prevalente, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, il soddisfacimento dell’interesse ad una normale qualità della vita rispetto alle esigenze della produzione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non censurabile la valutazione sulla normale tollerabilità delle immissioni sonore prodotte dalla movimentazione di vagoni ferroviari, effettuata sulla base di un apprezzamento in concreto ancorato al criterio del c.d. “differenziale”, di cui alla disciplina “generale” dettata dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, art. 4, comma 1, piuttosto che dei criteri previsti dalla disciplina “specifica” in materia di inquinamento acustico da traffico ferroviario)”.

Il quarto motivo è, dunque, rigettato.

6. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione della L. n. 447 del 1995”, addebitando alla sentenza impugnata di avere escluso la rilevanza della normativa di cui a quella legge.

6.1. Il motivo è in primo logo inammissibile ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., n. 1 (secondo la lettura datane ora da Cass., Sez. Un., n. a superamento di Cass., Sez. Un. n. 10951 del 2010), giacchè la sentenza impugnata evoca i principi di diritto di cui a Cass. n. 1151 del 2003 e 8367 del 2011 e l’illustrazione non si preoccupa di discuterli.

L’orientamento circa l’esclusione della rilevanza necessaria della L. n. 447 del 1995, è stato costantemente ribadito: si vedano, ex multis:: Cass. n. 20553 del 2017; n. 20927 del 2015; n. 8474 del 2015, con ampia motivazione; n. 2319 del 2011; n. 10207 del 2012.

7. Il sesto motivo – con cui si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione del D.L. n. 208 del 2008, art. 6-ter, introdotto dalla Legge di Conversione n. 13 del 2009” – è privo di fondamento, là dove addebita alla sentenza impugnata di non avere tenuto conto della detta normativa: è sufficiente rinviare a quanto si è osservato a proposito della seconda parte del quarto motivo, dove la sua sopravvenienza era stata indicata come giustificativa della rinnovazione della c.t.u..

8. Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c., per violazione del criterio del “preuso” e omessa valutazione delle “esigenze della produzione”; violazione e falsa applicazione del D.L. n. 208 del 2008, art. 6-ter, introdotto dalla Legge di Conversione n. 13 del 2009″.

Il motivo anche in tal caso è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, quanto alla prima censura, giacchè non si preoccupa di dimostrare come e perchè la giurisprudenza sulla rilevanza del c.d. preuso, che la sentenza ha evocato citando ancora Cass. n. 8367 del 2011, dovrebbe essere superata.

Lo si rileva non senza che si debba osservare che recentemente le Sezioni Unite si sono così espresse, confermando la svalutazione del criterio del preuso: “Invero costituisce principio acquisito che la norma sulla disciplina delle immissioni di cui all’art. 844 c.c., nel prevedere la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, tenendo eventualmente conto della priorità di un determinato uso, deve essere interpretata, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da considerarsi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, sicchè è legittima la statuizione del giudice di merito preclusiva del prolungamento di un’attività sostanzialmente nociva alla salute dei vicini del fondo, da considerarsi valore prevalente, in funzione del soddisfacimento del diritto ad una normale qualità della vita, rispetto alle esigenze dell’attività commerciale esercitata nel fondo confinante, nel quale la produzione, ancorchè iniziata anteriormente all’edificazione dell’immobile limitrofo, si sia svolta e, poi, protratta senza la predisposizione di apposite misure di cautela idonee ad evitare o limitare l’inquinamento atmosferico (Cass. 11 aprile 2006, n. 8420; cfr. anche Cass. 08 marzo 2010, n. 5564).” (così Cass., Sez. Un. n. 15207 del 2015). Le sentenze evocate dal Sezioni Unite erano state puntualmente richiamate da Cass. n. 8367 del 2011.

Quanto alla censura relativa al criterio delle esigenze della produzione le parole delle Sezioni Unite ora riportate ne evidenziano la palese inammissibilità, che nel caso di specie è anche stata palesata alla ricorrente in causa propria dalla già evocata Cass. n. 14180 del 2016.

Riguardo alla censura concernente l’innovazione legislativa del 2008-2009 già si è detto come e perchè fosse e sia inconferente.

9. Il ricorso è conclusivamente rigettato quanto al rapporto processuale con i resistenti.

Per completezza le ragioni del rigetto sarebbero state valide anche riguardo agli intimati non costituiti.

Le spese seguono la soccombenza a favore dei resistenti e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti degli Eredi di M.R. e di M.A.. Rigetta il ricorso nei confronti dei resistenti. Condanna la ricorrente alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro ottomiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2018

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