Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2338 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2017, (ud. 23/06/2016, dep.31/01/2017),  n. 2338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2305-2014 proposto da:

C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE COLLI PORTUENSI 187, presso lo studio dell’avvocato ERIK

FURNO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FERDINANDO ALTERIO, ERNESTO FURNO giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS), in persona del suo Procuratore, SCPA

GENERALI BUSINESS SOLUTIONS, in persona del dott. P.V. e

dott. D.G., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato VALENTINO FEDELI,

rappresentate e difese dall’avvocato STEFANO CARNEVALE giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

C.G., CA.CA.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 2126/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato DONATO TOMA per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

I FATTI

C.A. propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, che ne aveva rigettato la domanda di risarcimento proposta nei confronti di Ca.Ca. (la quale, alla guida dell’autovettura di proprietà di C.G., lo aveva a suo dire colpevolmente investito, provocandogli lesioni con postumi anche permanenti).

La Corte di appello di Napoli rigettò l’impugnazione, previa correzione dell’erronea motivazione della sentenza di primo grado, ritenendo che la responsabilità dell’incidente fosse da ascrivere in toto alla condotta di guida dell’appellante, volta che, a bordo del suo ciclomotore, questi aveva eseguito un’imprudente manovra di sorpasso all’altezza di un incrocio senza rispettare la distanza di sicurezza dal veicolo sorpassato, e giudicando “quantomeno dubbia” la circostanza che entrambi gli zii dell’appellante, escussi quali testi, avessero realmente assistito al sinistro.

Avverso la sentenza della Corte partenopea il C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di 2 motivi di censura.

Resiste con controricorso la Generali s.p.a., compagnia assicuratrice dell’autovettura.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 324, 115 e 116 c.p.c., art. 1127 c.c., comma 1 e artt. 2054e 2056 c.c..

Con il secondo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e/o illogica pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5 su punti decisivi della controversia – omesso ed erroneo esame di prove determinanti.

Si impone l’esame congiunto dei due motivi di ricorso, attesane l’intrinseca connessione.

Essi risultano in parte inammissibili, in parte manifestamente infondati.

La Corte territoriale, nel pieno rispetto del principio di diritto processuale che impone, nella motivazione, il rispetto di criteri logici di giustificazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata decisione, offre chiara e puntuale giustificazione, congruamente argomentata, della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita agli elementi acquisiti al processo, ritenendo un’ipotesi di fatto, così come formulata in motivazione, dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità razionale. Con apprezzamento di merito scevro da errori logico-giuridici, che questa Corte interamente condivide, il giudice di appello ha, difatti, ritenuto che le risultanze probatorie fossero tutte univocamente congruenti verso l’approdo di una non dubitabile responsabilità esclusiva dell’appellante nella verificazione del sinistro.

I motivi sono, pertanto, irrimediabilmente destinati ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dalla Corte territoriale, dacchè essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e di un (asseritamente) decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte di merito, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ poi principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360, n. 5, codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).

Non senza rammentare come, all’esito delle modificazioni apportate all’art. 360, n. 5, codice di rito dalla L. n. 134 del 2012, il vizio motivazionale denunciabile dinanzi a questa Corte non è più quello (illegittimamente evocato dal ricorrente) di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, bensì quello di “omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti” – onde l’inammissibilità, in parte qua, della censura mossa alla sentenza impugnata con il secondo motivo.

Per altro verso, il ricorrente, con la restante parte della censura in esame, pur denunciando, formalmente, un insanabile deficit motivazionale della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza. Liquidazione come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 5200, di cui 200 per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del predetto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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