Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2338 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. III, 02/02/2010, (ud. 19/11/2009, dep. 02/02/2010), n.2338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO SILP SPA, in persona del Curatore, giusta autorizzazione

del G.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DANTE 52, presso lo

studio dell’avvocato RENATO CARCIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato FAZIO GIUSEPPE, giusta procura speciale allegata in

atti;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO AUTONOMO PER LE CASE POPOLARI DELLA PROVINCIA DI TRAPANI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 122 8/2 007 della CORTE D’APPELLO di PALERMO

del 21/11/07, depositata il 19/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. SCARANO Luigi Alessandro;

è presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE EDUARDO

VITTORIO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza del 19/12/2007 la Corte d’Appello di Catania respingeva il gravame interposto dal FALLIMENTO SILP s.p.a. nei confronti della pronunzia del Tribunale di Trapani del 28/7/2003 di rigetto della domanda di risarcimento dei danni da risoluzione di contratto di appalto stipulato dalla società in bonis con lo I.A.C.P. di Trapani.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il FALLIMENTO propone ora ricorso per Cassazione, affidato ad unico, complesso motivo.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Con UNICO MOTIVO il ricorrente denunzia violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, norme di diritto ed ex n. 5 stesso comma, non contiene una valida motivazione.

Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 366 bis c.p.c. e dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

Va anzitutto premesso che il motivo risulta formulato denunziandosi contestualmente vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, laddove la disciplina in tema di ricorso per Cassazione risultante dalla richiamata riforma del 2006 impone invero l’autonoma e separata prospettazione dei vizi asseritamente affettanti l’impugnata decisione.

L’art. 366 bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che in caso di proposizione di motivi di ricorso per Cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi affinchè non risulti elusa la ratio dell’art. 366 bis c.p.c. deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, debbono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di Cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione (v. Cass., Sez. Un., 9/3/2009, n. 5624).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108) -, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 11/1/2001, n. 15949).

Quanto al pure denunciato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso;

b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione;

c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, il motivo reca due quesiti che risultano formulati in modo invero difforme rispetto allo schema sopra delineato, in quanto connotati da genericità e mancanza di riferibilità al caso concreto dedotto all’esame della Corte, e pertanto sforniti di collegamento tale da consentire di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), non consentendo di poter circoscrivere la pronuncia nei limiti di un relativo accoglimento o rigetto, a fortiori in presenza di motivi come nella specie altresì carenti di autosufficienza (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064).

E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione dei quesiti di diritto implicita nella formulazione dei motivi di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.

Il motivo non reca invero nemmeno la chiara indicazione – nei termini più sopra indicati – delle ragioni del denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione, oltre che carente di autosufficienza, come nella specie violativa del consolidato principio in base al quale quando nel ricorso per Cassazione è denunziata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina;

diversamente il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass., 16/1/2007, n. 828).

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata al difensore della parte costituita;

rilevato che il ricorrente Fallimento ha presentato memoria;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione, non infirmate dalle osservazioni dal ricorrente esposte nella memoria secondo cui “a parte il rilievo che con riferimento ai motivi di gravame, a pag. 4 del testo del ricorso a codesta Suprema Corte, è stato esplicitamente fatto rinvio RICETTIZIO all’intero contenuto dell’atto di appello … tenuto conto della esposizione dei fatti contenuta nel ricorso e del RINVIO RICETTIZIO all’atto di appello disatteso dalla Corte di Palermo, si trattava, quindi, della circostanza della violazione dell’obbligo di custodia ex art. 58 c.p.c. da parte di un cancelliere e del relativo accertamento NON DISPOSTO dal giudice di appello, nonchè, SECONDO motivo, della non motivata ammissibilità o meno della preclusione ex art. 2909 c.c.; motivi di ricorso, pertanto, ben distinti, per ciascuno dei quali sono stati formulati, a pag. 4, del ricorso a Codesta Suprema Corte i due DIVERSI quesiti, rispettivamente sotto le lett. a) e b)”, che i rilievi esposti nella relazione invero confermano, appalesandosi il tenore dei richiamati quesiti (“a) …

è ammissibile una preclusione ex art. 2909 c.c. per la circostanza, indipendente dalla volontà della parte attrice, relativa a due dei tre convenuti in solido, rimasti contumaci sebbene solidalmente controparti nel medesimo ed unico procedimento giudiziario conclusosi tra le parti con la sentenza del Tribunale di Trapani n. 495 depositata l’8/10/1997? b) ed inoltre, con riferimento alla stessa predetta norma di rito, non avrebbe il Giudice, nella sentenza di appello che forma oggetto del presente ricorso a codesta Suprema Corte, avuto l’obbligo di disporre la ricerca dei documenti prodotti dalle parti e necessariamente riscontrabili nel fascicolo, avendone altresì, ex art. 58 c.p.c. a sua volta il cancelliere l’obbligo di custodia?”) invero difforme dallo schema ivi delineato;

considerato che l’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide invero anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463;

Cass. Sez. Un., 25/11/2008. n. 28054; Cass. Sez. Un., 30/10/2008, n. 26020), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444);

ritenuto doversi altresì sottolineare come il ricorso risulti altresì carente di autosufficienza, laddove viene fatto riferimento ad elementi od atti attinenti al giudizio di merito senza invero debitamente riportarli nel ricorso (es., i “documenti prodotti dalle parti e necessariamente riscontrabili nel fascicolo”);

atteso che a tale stregua le deduzioni dell’odierno ricorrente in realtà si risolvono nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr., da ultimo, Cass., 18/4/2006, n. 8932), per tale via in realtà sollecitando, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443);

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

considerato che non è invece a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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