Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23368 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/10/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 23/10/2020), n.23368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4951-2017 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VARRONE 9,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VANNICELLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUIGI ROBOL;

– ricorrente –

contro

F.M., S.L., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIANLUIGI BONFANTE;

– controricorrenti –

e contro

FE.EL.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 331/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 06/10/2016 R.G.N.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI di CAUSA

il sig. P.A. conveniva in giudizio, davanti al giudice del lavoro di Verona, il coniuge FE.El. (da cui si era separato), per accertarsi la prosecuzione della impresa familiare agricola (in essere dal 1976) oltre la data di separazione dei coniugi (1998), nonchè accertarsi il suo diritto ad una quota dell’80% dell’impresa in ragione del proprio lavoro, asseritamente prevalente; per il diverso caso di riconoscimento della cessazione dell’impresa, chiedeva la condanna della FE. a corrispondergli una quota dei quattro fondi, intestati alla sola convenuta in via esclusiva, per essere stati detti fondi acquistati con i proventi della impresa familiare.

La sig.ra FE. spiegava domanda riconvenzionale, chiedendo il rendiconto dell’impresa dal 1998.

Il giudizio di primo grado sì concludeva con sentenza non definitiva del 20.11.07, che riconosceva l’impresa dal 1976 al 1998 e dichiarava il diritto dell’attore al 50% dell’impresa. La sentenza definitiva del 18.5.08 liquidava, quindi, alla FE. il 50% degli utili dal 1998 al 2007.

La Corte d’Appello di Venezia con sentenza del 3.2.2011 riteneva cessata l’impresa familiare al 1998, ravvisando la formazione del giudicato sul punto, per effetto di mancata impugnazione, ed inammissibili le richieste istruttorie dell’attore, volte a dimostrare il lavoro del P., confermando altresì il diritto dei coniugi al 50% dell’impresa. La Corte veneziana dichiarava, inoltre, inammissibile la domanda diretta a far ricadere nell’impresa i quattro fondi intestati alla Fe., ritenendo la questione di proprietà non di competenza del giudice del lavoro; infine, rigettava la domanda riconvenzionale.

Avverso la pronuncia d’appello proponeva ricorso per cassazione il P. con due motivi, mentre la FE. restava intimata.

Con il primo motivo di ricorso veniva lamentata la violazione dell’art. 230 bis c.c., per avere ritenuto la Corte distrettuale inammissibile la domanda di attribuzione dei beni, benchè si fosse in presenza di incrementi dell’azienda e di beni acquistati con gli utili di essa. Con il secondo motivo di ricorso si deduceva vizio di motivazione, per aver la Corte distrettuale ritenuto carente la prova sul lavoro prevalente svolto nell’impresa.

Questa Corte con sentenza n. 7007 pubblicata l’otto aprile 2015 giudicava fondato il primo motivo di ricorso, essendo la domanda ammissibile e ritualmente proposta al giudice del lavoro, in quanto inerente agli incrementi dell’azienda o ai beni acquistati con gli utili di essa. Per contro, veniva considerato infondato il secondo motivo di ricorso, volto a dimostrare la prevalenza del lavoro del marito rispetto a quello della moglie, in quanto la Corte territoriale aveva adeguatamente motivato sul punto, valutando nel merito le acquisite emergenze istruttorie. Di conseguenza, veniva ribadito il principio di diritto, però inosservato dalla Corte veneziana, secondo cui,in tema d’impresa familiare, la cognizione del giudice del lavoro, ex art. 409 c.p.c., non è circoscritta all’accertamento del diritto alla remunerazione dei soggetti indicati dall’art. 230 bis c.c., ma comprende la domanda con la quale un coniuge, previo accertamento della partecipazione all’impresa familiare con l’altro coniuge, chieda, ai sensi della disposizione citata, l’attribuzione di beni o di quote di beni, che assuma acquistati con i proventi dell’impresa stessa, posto che tali pretese trovano titolo nel rapporto di collaborazione personale, continuativa e coordinata, riconducibile nella previsione dell’art. 409 c.p.c., n. 3, il quale non diversifica le controversie in ragione del fatto che sia stata proposta una domanda di accertamento ovvero di condanna (in senso conforme Cass. n. 158 del 1990). La sentenza impugnata veniva, dunque, cassata in accoglimento del primo motivo, e la causa rinviata, al fine di accertare il collegamento dei beni con l’impresa familiare, alla Corte d’Appello di Brescia, anche per il regolamento delle spese di lite.

Il giudizio veniva, quindi, riassunto dal P. come da ricorso depositato l’otto luglio 2015. Nel giudizio di rinvio, rimasta contumace la FE., che non vi si costituiva, intervenivano volontariamente i sigg. F.M. e S.L., facendo presente che nelle more il Tribunale di Verona aveva accolto la loro domanda concernente il rivendicato acquisto del diritto di proprietà su tre dei quattro fondi per i quali il sig. P. aveva reclamato il suo diritto alla comproprietà, avendo essi stipulato promesse di vendita con la sig.ra FE., che vi si era obbligata. La sentenza del Tribunale veronese era stata, poi, confermata dalla Corte d’Appello di Venezia come da pronuncia n. 1083/2015, contro la quale il solo P. aveva in seguito proposto ricorso per cassazione.

Tanto premesso, la Corte d’Appello di Brescia, in sede di rinvio da Cass. n. 7007/15, con sentenza del sei ottobre – primo dicembre 2016 (notificata dall’avv. Gianluigi Bonfante quale difensore dei sigg.ri F.M. e S.L. il tre dicembre 2016 in via telematica), ritenuto ammissibile l’anzidetto intervento -avuto riguardo essenzialmente alle eventuali conseguenze dannose derivanti dalla causa di cui è processo in questo giudizio, in relazione al diritto riconosciuto ai suddetti F. e S. ex art. 2932 c.c. nel separato contenzioso, pendente, pur tenendo conto dei principi di diritto affermati dalla succitata cassazione, alla stregua pure delle risultanze peritali emergenti da apposita c.t.u., ritenuta altresì assodata l’acquisizione del diritto di proprietà a favore degli intervenuti, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Verona, n. 773/2007, condannava FE.El. al pagamento, in favore di P.A. della somma di Euro 115.202,00 (pari alla metà del valore complessivo dei tre fondi oggetto dei menzionati contratti di promessa di vendita, immobili già risultanti intestati alla sola FE., ma giudicati in realtà facenti parte del patrimonio dell’impresa familiare, cessata, in ragione del 50% per ciascun coniuge, (tale essendo la portata del diritto di partecipazione del P., come ormai definitivamente accertata) coerentemente); accertava inoltre il diritto dello stesso P. al trasferimento del 50% della proprietà del fondo B., unico dei quattro residuato dal patrimonio della disciolta impresa familiare. Condannava, infine, la convenuta FE. al pagamento della metà, compensata la restante quota, delle spese processuali, ivi comprese quelle riferite al giudizio di legittimità, nonchè per intero quelle relative agli intervenuti, ovviamente per questi ultimi nei soli riguardi del P..

Quest’ultimo, in seguito, ha impugnato la sentenza della Corte bresciana mediante ricorso per cassazione, di cui all’atto notificato a mezzo posta spedita il primo febbraio 2017, affidato a quattro motivi, cui hanno resistito i soli F.M. e S.L. con controricorso del 20/23 marzo 2017.

Anche in questa occasione non si è costituita in giudizio la FE., rimasta perciò intimata (v. per costei pure la notificazione del ricorso per cassazione alla medesima, personalmente, presso la sua residenza in località (OMISSIS) di cui alla racc.ta a.r. (OMISSIS), con allegata annotazione di Poste Italiane, circa l’avvenuta consegna della spedizione in data sei febbraio 2017. Per contro, appare qui processualmente irrilevante l’errata notificazione del controricorso alla sig.ra Fe.El. presso la cancelleria della Corte d’Appello di Brescia ed in via telematica tramite p.e.c. all’avv. Silvia Girotto in data 20-03-2017, visto che anche nel giudizio di rinvio la predetta risultava contumace – cfr. infatti Cass. I civ. n. 19437 del 18/12/2003, secondo cui alla parte rimasta contumace nel giudizio “a quo”, la notificazione dell’impugnazione, salvo che non debba avvenire nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto all’atto della notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1 ove il contumace abbia provveduto in tal senso, va effettuata personalmente a norma degli artt. 137 e ss. c.p.c., dovendo considerarsi inesistente, e non soltanto nulla, la notificazione che, nella ricorrenza degli indicati presupposti, venga eseguita presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata. V. in senso analogo anche Cass. sez. un. civ. n. 9539 del 4/11/1996, Cass. lav. n. 4398 del 29/4/1998 e III civ. n. 10409 del 18/07/2002-, in quanto nel controricorso nulla è stato dedotto, nè opposto o richiesto contro la Fe., mentre veniva unicamente eccepita l’inammissibilità/improcedibilità del ricorso per l’istante P., del quale, ad ogni modo, veniva chiesto il rigetto).

Le parti qui costituite hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c., rappresentando, tra l’altro, la pendenza presso questa Corte (II sez. civ. – r.g. 26752/2015 – ud. 20.09.2019 – v. pag. 6 della memoria per il ricorrente e pagg. 11-12 di quella per il controricorrenti) del separato ricorso proposto dal P. avverso la succitata sentenza n. 1083/15 della Corte d’Appello di Venezia (con il rigetto del gravame interposto dallo stesso P. contro la pronuncia del Tribunale di Verona, in effetti favorevole agli attori) nell’altro contenzioso instaurato, ex art. 2932 c.c., dal F. e dalla S. contro la FE. per il rivendicato diritto al trasferimento della proprietà di tre fondi da quest’ultima promessi in vendita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

In primo luogo, vanno disattese le preliminari eccezioni d’inammissibilità del ricorso, sollevate dai controricorrenti, in quanto palesemente infondate, se non per certi versi anche pretestuose.

Infatti, sono stati dedotti il difetto di procura speciale e l’erronea indicazione della sentenza impugnata (“ovvero la n. 331/2010 comportando incertezza in ordine all’individuazione del provvedimento impugnato e conseguentemente l’inammissibilità dell’impugnazione”). Inoltre, è stata eccepita l’improcedibilità del ricorso per il mancato rispetto del termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, nonchè la sua inammissibilità, stante il mancato rispetto degli adempimenti di cui allo stesso art. 369, comma 4 visto che la sentenza n. 331/2016, pronunciata dalla Corte d’Appello di Brescia era stata notificata il tre dicembre 2016, e che quella depositata dal ricorrente non era quella notificata ma una mera copia.

Invero, nessun dubbio o incertezza nell’individuazione del provvedimento impugnato è ravvisabile dal testo del ricorso per cassazione nell’interesse dell’istante P., laddove, in particolare, a pag. 2 (primi tre righi) vi è testuale riferimento alla “sentenza della Corte d’Appello di Brescia – Sezione Lavoro n. 331/2016, pubblicata il 6 ottobre 2016 e notificata su istanza di parte il 3 dicembre 2016” (analogamente, sebbene con mero parziale, ma evidentissimo errore materiale, da refuso, si legge nelle conclusioni ivi rassegnate in calce a pagina 18 – n. 331/2010 di data 25.5.2010, pubblicata il 6 ottobre 2016 e notificata il 3 dicembre 2016), quindi tempestivamente impugnata con l’atto spedito a mezzo posta raccomandata il primo febbraio 2017 (perciò nel 60 giorno dalla notifica, ai sensi dell’art. 325 c.p.c., comma 2). Il ricorso, inoltre, risulta in atti depositato il 21 febbraio 2017 (quindi nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1,, cui poi ha fatto seguito l’iscrizione a ruolo del primo marzo 2017) e reca a margine il “mandato alle liti”, conferito all’avv. Luigi Robol del foro di Rovereto (cassazionista, come si evince anche dalla scheda informatica approntata dall’ufficio in data 23.10.2019), con in calce la firma del mandante seguita da pedissequa sottoscrizione per autentica a cura dello stesso avvocato, che firmava altresì il ricorso e le relate di notifica, siccome autorizzato ex L. n. 53 del 1994 dal competente Consiglio dell’Ordine, per conto di P.A., mandato quindi formulato nei seguenti termini: “Delego a rappresentarmi, difendermi ed assistermi nel presente procedimento, in ogni fase successiva occorrenda avv. Luigi Robol conferendogli tutte le facoltà di legge, ivi comprese quelle di transigere etc.”. Trattasi, pertanto, di procura speciale indubbiamente valida (in part. ex art. 83 c.p.c., comma 3 e artt. 365 e 366 c.p.c.), atteso il suo univoco riferimento al presente procedimento (v. inoltre Cass. Sez. 6 – 1, n. 24670 del 03/10/2019, secondo cui, mentre l’apposizione del mandato a margine del ricorso già redatto esclude di per sè ogni dubbio sulla volontà della parte di proporlo, quale che sia il tenore dei termini usati, la mancanza di tale prova e la conseguente incertezza sull’effettiva volontà della parte non può tradursi in una pronuncia di inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale, ma va superata attribuendo alla parte la volontà che consenta alla procura di produrre i suoi effetti, secondo il principio di conservazione degli atti (art. 1367 c.c. e art. 159 c.p.c.); pertanto, nel caso di procura apposta in calce o a margine del ricorso per cassazione, il requisito della specialità resta assorbito dal contesto documentale unitario, derivando direttamente dalla relazione fisica tra la delega, ancorchè genericamente formulata, e il ricorso. In senso conforme, v. anche Cass. I civ. n. 5722 del 19/04/2002, n. 4868 del 7/3/2006. V. parimenti anche Cass. sez. un. 108 del 10/04/2000: nel caso in cui la procura non espliciti in modo chiaro la volontà di proporre ricorso in cassazione – per essersi fatto uso di timbri predisposti per altre evenienze o per essere impiegati in ogni circostanza -, mentre l’apposizione del mandato a margine del ricorso già redatto esclude di per sè ogni dubbio sulla volontà della parte di proporlo, quale che sia il tenore dei termini usati nella redazione dell’atto, la mancanza di una prova siffatta e la conseguente incertezza in ordine alla effettiva portata della volontà della parte, non può tradursi in una pronuncia di inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale, ma va superata attribuendo alla parte la volontà che consenta all’atto di procura di produrre i suoi effetti, secondo il principio di conservazione dell’atto (art. 1367 c.c.), di cui è espressione, a proposito degli atti del processo, l’art. 159 c.p.c.. Principi, peraltro, già affermati pure da Cass. sez. un. 11178 del 27/10/1995.

Cfr. ancora, similmente, Cass. lav. n. 19923 del 23/07/2019, secondo cui in tema di procura alle liti, apposta in calce o a margine del ricorso per cassazione, il mancato riferimento a tutti gii intimati non determina violazione del requisito della specialità, che è con certezza deducibile, in base all’interpretazione letterale, teleologica e sistematica dell’art. 83 c.p.c., dal fatto che il mandato forma materialmente corpo con il ricorso, essendo la posizione topografica della procura idonea – salvo che dal suo testo si ricavi il contrario – a dar luogo alla presunzione di riferibilità al giudizio cui l’atto accede.

Cass. II civ. n. 14437 del 27/05/2019: è validamente rilasciata la procura apposta in calce al ricorso per cassazione, ancorchè il mandato difensivo sia privo di data, poichè l’incorporazione dei due atti in un medesimo contesto documentale implica necessariamente il puntuale riferimento dell’uno all’altro, come richiesto dall’art. 365 c.p.c. ai fini del soddisfacimento del requisito della specialità).

Neppure sussiste l’improcedibilità eccepita dai controricorrenti, per cui non è ravvisabile la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), tenuto conto di quanto dedotto nello stesso controricorso circa la notificazione in data 3.12.2016 della impugnata sentenza n. 331/2016, nonchè del fatto che la copia di tale sentenza, in atti prodotta, reca, in calce, una pagina concernente la sua relazione di notifica, a cura dell’avv. Gianluigi Bonfante, quale difensore dei sigg.ri F.M. e S.L., in via telematica al sig. P.A., rapp.to e difeso dall’avv. Luigi Robot, all’indirizzo p.e.c. avvluigirobolountooec.it (estratto dall’albo degli Avvocati di Rovereto), completa di attestazione di conformità datata 01.12.2016, firmata digita/mente in pari data alle ore 16:57:40 (v. il retro della suddetta pagina) dal medesimo avv. Gianluigi Bonfante (cfr., inoltre, Cass. sez. un. civ. n. 10648 del 2/5/2017, secondo cui deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione dell’improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio. V. parimenti, tra le altre, Cass. V civ. n. 4370 del 14/02/2019, secondo cui il ricorso di cassazione non è improcedibile ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, per omesso deposito da parte del ricorrente della sentenza impugnata, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice in quanto prodotta dalla parte resistente, atteso che una differente soluzione, di carattere formalistico, determinerebbe un ingiustificato diniego di accesso al giudizio di impugnazione in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale).

Superate, pertanto, le anzidette eccezioni in rito, vanno qui di seguito brevemente sintetizzati i motivi addotti a sostegno del ricorso dell’istante P.:

1) violazione dell’art. 419 c.p.c. – inammissibilità dell’intervento, a suo tempo spiegato soltanto in sede di rinvio dagli attuali controricorrenti, nonchè inammissibilità dell’art. 344 c.p.c. per il rito lavoro;

2) violazione degli artt. 344 e 404 c.p.c. – inammissibilità dell’intervento – assenza dei presupposti per l’opposizione di terzo (la succitata sentenza pronunciata nell’altro giudizio, in accoglimento dell’azione costitutiva di cui all’art. 2932 c.c. non comportava il trasferimento del diritto di proprietà. Infatti, essendo ancora pendente presso questa Corte la relativa controversia, l’effetto reale si sarebbe potuto determinare soltanto con il passaggio in giudicato della domanda proposta dai suddetti F. e S., di modo che non sussisteva il diritto, che invece secondo C. App. Brescia poteva loro risultare pregiudicato);

3) violazione o falsa applicazione dell’art. 2932 c.c. – inefficacia sentenza costitutiva non definitiva – appartenenza dei ben; all’impresa familiare – illegittimità della liquidazione per equivalente (doglianze in effetti connesse alla precedente censura, sostenendosi in pratica che l’effetto reale della promessa di vendita si determina soltanto al passaggio in giudicato della sentenza di merito, che abbia accolto la domanda fondata ai sensi dell’art. 2932 c.c., sentenza quindi avente natura costitutiva, perciò insuscettibile di provvisoria esecuzione in parte qua, come da citata giurisprudenza);

4) nullità del procedimento – omessa pronuncia in relazione alla richiesta di attribuzione di macchinari e attrezzature agricole.

Va inoltre evidenziato, per quanto possa occorre anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, quindi in relazione agli errores in procedendo in effetti denunciati dal P., che nelle conclusioni del ricorso de quo (v. pag. 18) il ricorrente ha chiesto di accertare e dichiarare la “nullità” della surriferita pronuncia n. 331/2010 (rectius, ma per evidente e riconoscibilissimo refuso, n. 331/2016), pubblicata il 6 ottobre 2016 e notificata il 3 dicembre 2016, per tutti i motivi sopra esposti, con conseguente cassazione, con o senza rinvio.

Orbene, alla stregua delle surriferite emergenze processuali, appaiono fondati i rilievi mossi da parte ricorrente con il primo ed il quarto motivo.

Invero, risultando pacifico l’intervento nel processo dei signori F. e S. soltanto nel giudizio di rinvio a seguito della pronuncia di cassazione n. 7007/15 in data 4/11/2014 – 8/4/2015 (nei soli confronti del P., ricorrente, e della FE., intimata – giudizio poi riassunto con atto depositato l’otto luglio 2015), avuto riguardo al carattere, c.d. chiuso,di tale giudizio, appaiono giustificate le lamentele in proposito formulate, visto che sono poi affrontate anche ulteriori questioni, del tutto nuove rispetto al pregresso iter processuale (cfr. Cass. II civ. n. 2456 del 16/04/1984, secondo cui nel giudizio di rinvio, che è giudizio a cognizione limitata il cui thema decidendum è insuperabilmente fissato, sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo, dalla sentenza di cassazione che lo dispone, non è consentito l’intervento di terzi in causa che comporterebbe l’inammissibile introduzione di una nuova ed autonoma situazione di diritto o di interesse con la domanda della tutela relativa. In senso analogo v. Cass. III civ. n. 4351 del 12/10/1977: l’art. 394 c.p.c., secondo cui nel giudizio di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, va inteso nel senso che tale richiamo debba essere contenuto entro i confini di compatibilità con le norme del giudizio di rinvio, che è caratterizzato dalla particolare natura di giudizio a cognizione limitata, nel quale le parti non possono dedurre nuove domande o eccezioni nuove, nè prospettare difese non fatte valere nella precedente fase di merito. Conseguentemente deve ritenersi inammissibile l’intervento di terzo in sede di rinvio. V. parimenti Cass. I civ. n. 829 del 10/04/1964, secondo cui non può essere consentito l’intervento di un nuovo soggetto nel giudizio di rinvio, anche se si tratti di colui che è titolare del diritto, fatto valere nel processo da altro soggetto carente di legitimatio ad causam.

Similmente, Cass. II civ. n. 2689 del 6/11/1964: il giudizio di rinvio, anche quando segua alla cassazione di una sentenza per non integrità del contraddittorio in secondo grado, ha un ambito soggettivamente limitato, per cui possono parteciparvi le parti che sono chiamate ad integrare il contraddittorio, mentre non possono spiegare intervento i soggetti che avrebbero potuto farlo in appello. L’inammissibilità dell’intervento del terzo nel giudizio di rinvio, attenendo alla legittimazione in causa del terzo e, quindi, alla regolare costituzione del giudizio, può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato del processo). Nè, per altro verso (di certo all’epoca della pronuncia il cui dispositivo risulta letto all’udienza del sei ottobre 2016) era ravvisabile de jure una successione (a titolo particolare, ex art. 111 c.p.c.) dei sigg. F. e S. nel diritto controverso in contestazione, di cui era titolare la Fe. (formalmente unica intestataria), visto che la sentenza di accoglimento della domanda formulata ai sensi dell’art. 2932 c.c. non costituisce titolo esecutivo se non al momento del suo passaggio in giudicato, con conseguenti effetti reali in relazione al diritto di proprietà promesso in vendita (salvo poi quanto previsto dagli artt. 404 e ss. o 391-ter c.p.c. per i casi di opposizione di terzi e, in tema di trascrizione, dagli artt. 2644 e 2645-bis c.c., artt. 2647,2652 e 2653 e ss. nonchè art. 2688 c.c., la cui efficacia resta comunque subordinata al passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento della domanda, tant’è che in caso di pronuncia definitiva di rigetto è dovuta la cancellazione della trascrizione stessa). Infatti, nell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, l’esecutività provvisoria, ex art. 282 c.p.c., della sentenza costitutiva emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., è limitata ai capi della decisione che sono compatibili con la produzione dell’effetto costitutivo in un momento successivo, e non si estende a quelli che si collocano in rapporto di stretta sinallagmaticità con i capi costitutivi relativi alla modificazione giuridica sostanziale, sicchè non può essere riconosciuta al capo decisorio relativo al trasferimento dell’immobile contenuto nella sentenza di primo grado, nè alla condanna implicita al rilascio dell’immobile, poichè l’effetto traslativo della proprietà del bene scaturente dalla stessa sentenza si produce solo dal momento del passaggio in giudicato, con la contemporanea acquisizione dell’immobile al patrimonio del destinatario della pronuncia (Cass. II civ. n. 8693 del 3/5/2016, che quindi nella specie cassava la sentenza di merito, pronunciata sull’erroneo presupposto della provvisoria esecutività. In senso conforme, v. anche Cass. sez. un. civ. n. 4059 del 22/02/2010, nonchè Cass. nn. 690 del 2006 e 8250 del 2009. Cfr. altresì Cass. II civ. n. 22997 del 26/09/2018, secondo cui, in particolare, solo con il passaggio in giudicato della sentenza costitutiva di accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica sorge l’obbligo, anche per l’eventuale successivo mancato saldo del prezzo, al quale è subordinato l’effetto traslativo della proprietà. Ne consegue che è illegittima l’imposizione, con la sentenza emessa ex art. 2932 c.c., di un termine per l’assolvimento delle condizioni alle quali risulta subordinato l’effetto traslativo che debba decorrere anticipatamente rispetto al passaggio in giudicato della pronuncia costitutiva.

V. ancora Cass. III civ. n. 12236 del 12/06/2015: qualora, pendente un giudizio concernente il pagamento di canoni locatizi rimasti inadempiuti, sopravvenga, all’esito di un diverso procedimento tra le stesse parti, una sentenza ex art. 2932 c.c., di trasferimento dell’immobile, oggetto del contratto di locazione, al conduttore, quest’ultimo resta obbligato a corrispondere alla controparte i canoni non versati fino alla data del passaggio in giudicato della decisione, la cui natura costitutiva la qualifica come produttiva di effetti “ex nunc” da tale data, senza essere connotata, in quanto tale, da provvisoria esecutività ex art. 282 c.p.c. se non limitatamente ai capi decisori che non si collochino in rapporto di stretta dipendenza con quelli costitutivi relativi alla modificazione giuridica sostanziale.

Cfr. pure Cass. III civ. n. 4907 del 28/02/2011, secondo cui la sentenza di esecuzione in forma coattiva dell’obbligo di contrarre, ex art. 2932 c.c., produce gli effetti del contratto definitivo, che è destinata a surrogare, solo col passaggio in giudicato. Pertanto, prima di tale momento, il creditore del promissario acquirente non può iniziare l’esecuzione forzata sul bene che ha formato oggetto del contratto preliminare, in quanto non ancora entrato nel patrimonio del debitore, a nulla rilevando che la sentenza medesima sia stata trascritta).

Ne deriva, evidentemente, che il secondo ed il terzo motivo di ricorso restano assorbiti in relazione all’accoglimento del prima preliminare censura.

Deve, inoltre, essere accolta la quarta doglianza, palesemente fondata, visto che non risulta intervenuta alcuna pronuncia di merito in ordine alle ulteriori richieste formulate dal ricorrente, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. (v., infatti, Cass. I civ. n. 1755 del 27/01/2006: l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5. c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare -o non giustificando adeguatamente- la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro “ex actis” dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo. In senso conforme, Cass. II civ. n. 12475 del 7/7/2004. Parimenti, v. Cass. V civ. n. 11459 del 30/04/2019, secondo cui l’illogica dichiarazione di assorbimento di un motivo di appello si risolve in una omessa pronuncia e, come tale, può essere censurata in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Cfr., ancora, in senso analogo Cass. Sez. 6 – 3 n. 6835 del 16/03/2017 e Cass. lav. n. 22759 del 27/10/2014, secondo la quale l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonchè, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 V. altresì Cass. Sez. 3, n. 1196 del 19/01/2007).

Pertanto, in accoglimento dei suddetti motivi l’impugnata sentenza va cassata, per quanto di ragione, con conseguente rinvio alla Corte di merito per nuovo esame delle domande del P. (con riferimento a quelle di cui sopra, non integramente accolte, e quelle per le quali vi è stata la rilevata omessa pronuncia), osservati i principi di diritto sopra richiamati, provvedendo quindi all’esito anche al regolamento delle spese di questo ulteriore giudizio di legittimità.

Atteso, infine, l’esito positivo dell’impugnazione qui proposta dal P., non sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte ACCOGLIE il primo ed il quarto motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo. CASSA, per l’effetto, l’impugnata sentenza e RINVIA, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara insussistenti i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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