Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23368 del 16/11/2016

Cassazione civile sez. VI, 16/11/2016, (ud. 18/10/2016, dep. 16/11/2016), n.23368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25597-2015 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEATRO

VALLE 51, presso lo studio dell’avvocato VIRGILIO STOCCO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO SURIANO giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.F., O.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA, 42, presso lo studio dell’avvocato

GUIDO LANCIANO, che li rappresenta e difende giusta procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2982/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

14/05/2015, depositata il 17/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. – Con sentenza resa pubblica nella motivazione il 17 giugno 2015, la Corte di appello di Roma, in riforma della gravata decisione del Tribunale della medesima città – che aveva accolto la pretesa spiegata da B.L. per conseguire la corresponsione, da parte dei convenuti O.G., P.F. e S.S., di somme a titolo di differenze di canoni di locazione per immobile ad uso abitativo, condannando i predetti conduttori al pagamento di Euro 50.213,80, oltre accessori -, accertava che la somma dovuta dai conduttori appellanti alla locatrice appellata era di Euro 5.490,00, dichiarandola totalmente compensata con il maggior credilo vantato dagli stessi conduttori.

2. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.L. in base a due motivi.

Resistono con controricorso O.G. e P.F., mentre non ha svolto attività difensiva l’intimato S.S..

3. – Con il primo mezzo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 169 c.p.c. e art. 77 disp. att. c.p.c., per aver la Corte territoriale affermato che l’appellata (originaria ricorrente) “non ha provveduto a depositare il proprio fascicolo di parte di primo grado” (così da non consentire l’esame di taluni documenti e, segnatamente, della sentenza n. 7130/03, costituente giudicato tra le parti), là dove, invece, una siffatta affermazione “non risponde la vero”, posto che detto fascicolo non era stato ritirato, bensì era “rimasto inserito nel fascicolo d’ufficio”; così da doversi reputare smarrito, con conseguente onere della Corte di appello di disporre apposite ricerche e la relativa ricostruzione.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Con esso si contesta un errore di fatto del giudice di appello, ossia che questi abbia falsamente percepito la circostanza materiale del ritiro del fascicolo della parte, la dove (come si assume in ricorso) ciò sarebbe in contrasto con le evidenza di causa, le quali darebbero conto, in assenza di qualsiasi apposizione sul fascicolo d’ufficio “della data del ritiro e della firma dell’avvocato”, che il fascicolo anzidetto non sarebbe stato ritirato.

Tale censura, però, non è denunciabile in questa sede, bensì, in quanto integrante l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione (tra le molte, Cass., 19 aprile 2013, n. 9637), avrebbe dovuto, semmai, essere proposta con il mezzo della revocazione (tra le tante, Cass., 9 ottobre 2015, n. 20240).

4. – Con il secondo mezzo è dedotta violazione o falsa applicazione della L. n. 431 del 1998, art. 2, commi 1 e 6, e art. 14, comma 5, della L. n. 392 del 1978, art. 79 e art. 1597 c.c..

Ci si duole che il caso oggetto di cognizione sia stato deciso dalla Corte territoriale in applicazione del principio di diritto enunciato da Cass., 5 giugno 2009, n. 12996 (“Nel caso di pendenza, alla data di entrata in vigore della L. n. 431 del 1988, di un contratto di locazione ad uso abitativo con canone convenzionale ultralegale rispetto a quello c.d. equo da determinarsi ai sensi della L. n. 392 del 1978, artt. 12 e segg. qualora sia intervenuta la sua rinnovazione tacita ai sensi della L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 6, il conduttore – in difetto di una norma che disponga l’abrogazione dell’art. 79 della menzionata L. n. 392 del 1978 in via retroattiva o precluda l’esercizio delle azioni dirette a rivendicare la nullità di pattuizioni relative ai contratti in corso alla suddetta data – è da considerarsi legittimato, in relazione al disposto della medesima L. n. 431 del 1998, art. 14, comma 5 ad esercitare l’azione prevista dall’indicato art. 79 diretta a rivendicare l’applicazione, a decorrere dall’origine del contratto e fino alla sua naturale scadenza venutasi a verificare successivamente alla stessa data in difetto di idonea disdetta, del canone legale con la sua sostituzione imperativa, ai sensi dell’art. 1339 c.c., al pregresso canone convenzionale illegittimamente pattuito. Tale sostituzione, in ipotesi di accoglimento dispiega i suoi effetti anche con riferimento al periodo successivo alla rinnovatone tacita avvenuta nella vigenza della L. n. 431 del 1998”.

La ricorrente assume che tale principio non sarebbe condivisibile per le seguenti ragioni: 1) non potrebbe reputarsi applicabile il principio degli effetti retroattivi della nullità L. n. 392 del 1978, ex art. 79 (che non integrerebbe una “radicale inefficacia ab origine”), essendo il conduttore tenuto al pagamento del canone sino all’intervento del giudice; 2) la nuova locazione non potrebbe essere regolata, ex art. 1597 c.c., in base alle condizioni della precedente, in assenza di volontà delle parti in ordine al canone legale, dovendo quindi il rinnovo aversi per il canone convenzionale; 3) l’ultrattività della previgente disciplina sul corrispettivo della locazione dopo la rinnovazione tacita del rapporto maturata sotto la vigenza della L. n. 431 del 1998 sarebbe da escludersi in forza della esegesi del combinato disposto della L. n. 431 del 1998, artt. 2 e 14.

4.1. – Il motivo non può trovare accoglimento, anche ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

Occorre, infatti, dare continuità al principio di diritto espresso da Cass., 5 giugno 2009, n. 12996, il quale costituisce ormai “diritto vivente” (tra le altre, successivamente: Cass., 19 luglio 2013, n. 17696; Cass., 9 ottobre 2013, n. 24498; Cass., 29 dicembre 2013, n. 26802; Cass., 30 giugno 2015, n. 3596; Cass., 29 settembre 2015, n. 19231) – e non è scalfito dagli argomenti addotti dalla ricorrente, in ogni caso già sostanzialmente esaminati dalla stessa sentenza del 2009 (ad es. sub 1 e 3)) o da altri precedenti (ad es., sub 2, in Cass. n. 19231 del 2015) o che (come sub 1)) contrastano comunque con i principi più generali, risalenti e consolidati in giurisprudenza, in tema di effetti della nullità contrattuale e di sostituzione delle clausole nulle.

5. – Sussistendone i presupposti, ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., il ricorso può, dunque, essere avviato alla trattazione camerale, per essere ivi rigettato.”;

che la relazione ex art. 380-bis c.p.c. ed il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte in camera di consiglio sono stati notificati ai difensori delle parti;

che il ricorrente ha depositato memoria in prossimità di detta adunanza;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis c.p.c.;

che i rilievi critici contenuti nella memoria di parte ricorrente non colgono nel segno;

che, infatti, in essa si assume che non si tratterebbe di mera “svista di carattere materiale” e, tuttavia, occorre ribadire che l’errore dedotto è proprio sulla percezione del deposito, nel grado di appello, del fascicolo di parte e, dunque, della sua stessa presenza materiale, che la Corte di appello ha escluso e che la ricorrente sostiene, invece, esservi; non è, quindi, ravvisabile alcuna valutazione giuridica su tale fatto (decisivo e non costituente “punto controverso”), mentre la valutazione in iure del giudice del gravame attiene soltanto agli effetti del mancato deposito di detto fascicolo;

che, dunque, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza;

mentre, non occorre provvedere sulle spese nei confronti dell’intimato che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti, in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 3 della Corte suprema di Cassazione, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2016

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