Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23367 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 06/10/2017, (ud. 21/09/2017, dep.06/10/2017),  n. 23367

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7949/2015 R.G. proposto da:

Danone s.a., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giuseppe Camosci e

Francesco Falcitelli, elettivamente domiciliata presso il loro

studio in Roma alla via Gian Giacomo Porro n. 8, per procura

notarile;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma alla via dei

Portoghesi n. 12 è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo n. 845/6/14 depositata il 28 luglio 2014;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 settembre

2017 dal Consigliere Enrico Carbone;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

Uditi gli Avv.ti Giuseppe Camosci per la ricorrente ed Eugenio De

Bonis per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con istanza del 25 febbraio 2004, la società di diritto francese Groupe Danone s.a. (oggi Danone s.a.) chiedeva al Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art. 10 della Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni il pagamento dell’importo di Euro 237.010,85 per credito d’imposta sui dividendi distribuiti il 16 dicembre 2003 dalla controllata italiana Sifit s.p.a.

La società transalpina impugnava l’atto di diniego, con esito sfavorevole sia in primo che in secondo grado; essa ricorre per cassazione con cinque motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, il secondo violazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, alla L. n. 241 del 1990, art. 21-septies, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10.

I motivi vanno trattati insieme per connessione logica, entrambi riguardando il preteso difetto di legittimazione del Centro Operativo di Pescara, che il giudice d’appello non ha rilevato d’ufficio, dichiarando anzi l’eccezione dell’appellante contraria al divieto dei nova.

1.1. I motivi primo e secondo sono inammissibili per difetto d’interesse, giacchè – come risulta dall’atto di primo grado riprodotto per autosufficienza nel controricorso – proprio Danone s.a. ha evocato in giudizio il COP, sicchè, ove questo fosse davvero privo di legittimazione, l’originaria impugnazione risulterebbe irrituale e l’impugnato diniego si consoliderebbe.

In ogni caso, la legittimazione del COP sussiste per diniego e revoca del credito d’imposta, atti di disconoscimento del beneficio, esclusi soltanto gli atti di recupero dei crediti indebitamente utilizzati (Cass. 20 luglio 2012, n. 12662).

2. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 10, p. 4, lett. b, Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, per aver il giudice d’appello negato la spettanza del credito d’imposta.

2.1. L’art. 10, p. 4, lett. b, Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni ratificata con L. n. 20 del 1992 attribuisce alla società madre francese ricevente dalla controllata italiana dividendi che darebbero diritto a credito d’imposta se ricevuti da residente italiano il diritto al pagamento da parte del Tesoro italiano di un ammontare pari alla metà di detto credito d’imposta, diminuito di una ritenuta alla fonte del 5%.

L’art. 4 direttiva 90/435/CEE sul regime fiscale comune delle società madri e figlie (vigente ratione temporis) dispone che lo Stato della società madre si astiene dal tassare gli utili distribuiti dalla figlia o li tassa autorizzando la madre a dedurre l’imposta pagata dalla figlia; l’art. 5 dispone che tali utili sono esenti da ritenuta alla fonte.

2.2. Nella specie, la società madre francese reclama il credito d’imposta di fonte convenzionale nonostante goda di una piena esenzione di fonte comunitaria, ritenendo che non osti l’esclusione dei dividendi dal proprio reddito imponibile, giacchè l’art. 10 Convenzione Italia-Francia richiede che la società madre sia solo “assoggettabile” ad imposta, “senza che sia necessario l’effettivo assoggettamento a tassazione del dividendo in capo al percipiente nel proprio Stato di residenza”, effettivo assoggettamento viceversa richiesto quando la società percettrice ha una partecipazione non qualificata (pag. 42-43 ricorso).

Chiamata a sostenere il terzo motivo di ricorso, questa tesi è priva di fondamento, alla luce dei seguenti rilievi.

2.3. Il fatto che la disciplina comunitaria non abbia determinato il superamento di quella convenzionale e anzi ne abbia lasciata impregiudicata l’applicazione (art. 7 direttiva madre-figlia) non significa che i rispettivi benefici siano cumulabili, essi operando viceversa su un piano di “alternatività”, giacchè la sommatoria della detassazione e del credito eccede la finalità di evitare la doppia imposizione, generando semmai una fattispecie di c.d. doppia non-imposizione (per la Convenzione italo-francese, Cass. 28 dicembre 2016, n. 27111; analogamente per la Convenzione italo-britannica, Cass. 12 marzo 2009, n. 5943).

2.4. La doppia non-imposizione si risolve in un’agevolazione fiscale (c.d. credito d’imposta figurativo).

In tal senso, a fini di promozione dello sviluppo economico, gli accordi bilaterali con paesi emergenti ospitano sovente una clausola di detassazione (tax sparing clause).

All’opposto, la Convenzione italo-francese vieta la doppia esenzione bilaterale (art. 15 Protocollo), mercè una tipica clausola di assoggettamento (subject to tax clause).

Il percettore francese di dividendi esenti che ottenesse anche l’avoir fiscal sommerebbe due benefici tributari, e la circostanza che uno di questi (il credito d’imposta) subisce un abbattimento marginale (ritenuta alla fonte del 5%) riduce l’effetto distorsivo della doppia non-imposizione, senza tuttavia eliderlo.

Quando insiste sulla dimensione astratta e formale del requisito dell'”assoggettabilità” ad imposta, il ricorso si scontra con l’elaborazione giurisprudenziale sulla doppia imposizione dei dividendi transfrontalieri, che qualifica l’assoggettamento fiscale in termini concreti ed effettivi, come ancora recentemente evidenziato da questa Corte (Cass. 24 febbraio 2017, n. 4771).

2.5. Nel coordinare regime di direttiva e regime di convenzione, la giurisprudenza unionale ha precisato che il credito d’imposta “è uno strumento fiscale diretto ad evitare, in termini economici, una doppia imposizione degli utili distribuiti sotto forma di dividendi: una prima volta a carico della società controllata e una seconda volta a carico della società capogruppo beneficiaria dei dividendi” (Corte giust. 25 settembre 2003, C-58/01, Ocè van der Grinten, p. 56).

La Corte del Lussemburgo ha altresì osservato che quando la società madre beneficia nel proprio Stato di una tassazione dei dividendi ad aliquota zero “il rischio di doppia imposizione (…) degli utili che le sono stati distribuiti dalla sua società figlia è escluso” (Corte giust. 8 marzo 2017, C-448/15, Wereldhave, p. 40).

Nella specie, poichè la società madre francese gode dell’esenzione dei dividendi in entrata, il credito d’imposta eccederebbe la ratio di neutralizzazione della doppia imposizione, questa intesa – secondo una classica distinzione – come doppia imposizione c.d. giuridica (due prelievi su stesso soggetto) e doppia imposizione c.d. economica (stesso prelievo su due soggetti).

2.6. Vale il seguente principio: “la società madre francese che riceve dalla società figlia italiana dividendi esenti da tassazione per effetto dell’attuazione in Francia della direttiva 90/435/CEE non ha diritto al credito d’imposta previsto dall’art. 10, p. 4, lett. b, Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, ratificata con L. n. 20 del 1992, in quanto l’esenzione di fonte comunitaria esclude la doppia imposizione che il credito di fonte pattizia è diretto a neutralizzare”.

3. Il quarto motivo di ricorso denuncia omissione di pronuncia sull’eccezione di violazione degli artt. 43 e 56 Trattato UE, il quinto violazione delle stesse norme, per aver il giudice d’appello omesso di rilevare la lesione dei principi comunitari di libero stabilimento e libera circolazione dei capitali, e per aver anzi omesso di pronunciarsi sull’eccezione sollevata al riguardo dalla società francese.

3.1. I motivi quarto e quinto sono inammissibili.

La denuncia di omissione di pronuncia postula la decisività del vizio prospettato, onde evitare cassazioni inutili (Cass. 2 agosto 2016, n. 16102); la denuncia di violazione di legge esige la specifica enunciazione dei profili di contrasto tra la ratio decidendi e le norme indicate (Cass. 29 novembre 2016, n. 24298).

Nella specie, non è reso esplicito in che modo il diniego del credito d’imposta possa discriminare la società francese rispetto all’italiana, atteso che quest’ultima sconta sui propri utili la tassazione del reddito d’impresa, mentre l’altra è percettrice netta del reddito di partecipazione costituito dai dividendi in entrata.

4. Il ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese processuali e raddoppio del contributo unificato.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna Danone s.a. a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dichiara che la ricorrente ha l’obbligo di versare l’ulteriore importo per contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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