Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23366 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/10/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 23/10/2020), n.23366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18277-2017 proposto da:

S.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIVORNO 42,

presso lo studio dell’avvocato PEPPINO LONETTI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROSSELLA LONETTI;

– ricorrente –

contro

MARCO POLO S.R.L IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MARCELLO PRESTINARI, 13, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

PALLINI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 650/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/02/2017 R.G.N. 4404/2014.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 17.2.2017, ha accolto parzialmente il gravame interposto da S.E., nei confronti della S.r.l. Marco Polo, avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede n. 3793/2014, con la quale era stata respinta la domanda del lavoratore diretta ad ottenere il pagamento delle differenze maturate – a causa del mancato riconoscimento, da parte della società datrice, dell’aumento del 10% previsto dal R.D. n. 692 del 1923 – a titolo di straordinario per il lavoro eccedente le 36 ore settimanali, di lavoro festivo diurno o effettuato nelle festività nazionali ed infrasettimanali, nonchè di retribuzione per le festività nazionali infrasettimanali e per quelle coincidenti con la domenica, dal gennaio 2004 al settembre 2010;

che, pertanto, la Corte di merito, in parziale riforma della sentenza del primo giudice, ferma nel resto, ha condannato la Marco polo S.r.l. al versamento, in favore dell’appellante, di Euro 84,27, oltre accessori, per le festività nazionali coincidenti con la domenica;

che la Corte di merito ha ritenuto fondato il relativo motivo di gravame, in quanto basato “sulla giurisprudenza della Cassazione per la quale il compenso aggiuntivo, previsto dalla L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 3, spetta al lavoratore retribuito in misura fissa senza distinzione nell’ambito delle categorie previste dall’art. 2095 c.c. e si riferisce alle giornate di festività nazionali cadenti di domenica non lavorate e anche alle altre festività in quanto indicate dalla legge (Cass. n. 13842/15)”;

che per la cassazione della sentenza ricorre S.E. articolando due motivi contenenti più censure, cui resiste con controricorso la Marco Polo S.r.l. in liquidazione;

che sono state comunicate memorie nell’interesse del lavoratore;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 36 Cost.; D.Lgs. n. 66 del 2003, artt. 3,4 e 5; artt. 2126,1218,2697,1418 e 1419 c.c.; art. 4 della Carta Sociale Europea del 3.5.1996 (ratificata dallo Stato italiano con la L. n. 30 del 1999) e, nella sostanza, si censura il capo della sentenza oggetto del presente giudizio, con il quale sono state respinte le domande relative al compenso per lavoro straordinario prestato oltre le 48 ore settimanali, e si assume che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente asserito che l’art. 36 della Carta costituzionale si riferisce alla proporzionalità o adeguatezza della retribuzione globale e non ai singoli emolumenti; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 36 Cost.; “L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 5 come modificato dalla L. 31 marzo 1954, n. 90, art. 1; art. 12 delle disp. gen.”, e si censura il capo della pronunzia impugnata con il quale è stata respinta la domanda attinente al ricalcolo della retribuzione percepita per il lavoro prestato nei giorni festivi sulla base della retribuzione omnicomprensiva; si deduce, altresì, che al lavoratore spetterebbe “la differenza del compenso delle prestazioni lavorative eseguite nelle festività nazionali ed infrasettimanali”, che “non era stato determinato sulla base della retribuzione onnicomprensiva o comprensiva di tutti gli emolumenti obbligatori, ordinari, continuativi e determinati o determinabili (quale lo stipendio, la contingenza, l’indennità speciale aziendale, gli scatti di anzianità, l’ind. int., l’indennità convenzionale, l’elemento distinto retributivo compreso quello ad personam, la 13 e 14 mensilità e l’emolumento econ. ex art. 10 CCNL 95, per la maggiore produttività, essendo tutti, senza eccezione alcuna, come risulta in via comunque assorbente, dai prodotti, incontestati, prospetti paga, emolumenti retributivi, ordinari, obbligatori, continuativi e determinati o determinabili) e della maggiorazione contrattuale festiva”;

che il primo motivo non può essere accolto, innanzitutto, in quanto il ricorrente non ha impugnato il capo della sentenza con il quale sono state respinte le domande concernenti il compenso per il lavoro straordinario asseritamente prestato oltre le 40 ore ed entro le 48 ore settimanali (v. in particolare, le pagine 5 e 6 della sentenza impugnata); per la qual cosa, su tale capo, la pronunzia impugnata è divenuta irrevocabile; inoltre, i giudici di appello hanno reputato, altresì, la non fondatezza della domanda subordinata (relativa al compenso per il lavoro straordinario eccedente le 48 ore settimanali), sulla base di due ragioni distinte ed autonome: “fermo quanto sopra esposto in ordine alla riconducibilità del compenso per lavoro straordinario alle previsioni di cui alla contrattazione collettiva, l’appellante non ha neanche offerto elementi indicativi sulla prestazione di lavoro oltre le 48 ore”;

che il ricorrente – a fronte di una sentenza fondata su due rationes decidendi, quali, da un lato, la determinazione del compenso per il lavoro straordinario rimessa alla contrattazione collettiva (cfr., in termini, e tra le molte, Cass. nn. 13842/2015; 15781/2007; 5922/2006; 5934/2004); e, dall’altro, la carenza di elementi delibatori indicativi della prestazione di lavoro oltre le 48 ore – si è limitato a censurare solo i profili attinenti al primo aspetto, con conseguente inammissibilità del motivo relativamente a tale doglianza; ed invero, alla stregua dei consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità, “poichè il ricorso per cassazione si caratterizza come rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione” (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 22183/2020; 16314/2019; 26244/2018; 18641/2017; 4293/2016; 7932/2013; 3386/2011);

che il secondo motivo non è meritevole di accoglimento, in quanto la Corte territoriale è pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio uniformandosi agli ormai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo -, secondo cui “In tema di retribuzione nel lavoro subordinato, ai fini della determinazione della base di calcolo degli istituti indiretti (tredicesima mensilità, ferie, festività, ex festività soppresse e permessi retribuiti) non vige nell’ordinamento un principio di omnicomprensività, sicchè il compenso per lavoro straordinario va computato, a tali fini, solo ove previsto da norme specifiche o dalla disciplina collettiva”; pertanto, “la retribuzione corrisposta per prestazioni continuative e sistematiche di lavoro straordinario, non facendo parte della retribuzione normale anche se corrisposta in maniera fissa e stabile, non rileva ai fini del trattamento retributivo per le festività infrasettimanali, poichè la L. n. 260 del 1949, art. 5, nel testo di cui alla L. n. 90 del 1954, fa riferimento alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio” (cfr., ex multis, Cass. nn. 28937/2018; 25760/2017; 25761/2016; 9764/2000);

che, dunque, la sentenza impugnata – che ha reputato che la maggiorazione prevista dalla L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 2, come modificato dalla L. n. 90 del 1954, sia istituto propriamente contrattuale rimesso all’autonomia delle parti, le quali possono determinarne il quantum e la base di calcolo – non incorre nelle dedotte violazioni, poichè il CCNL Federambiente del 2003, applicabile ratione temporis alla fattispecie, non prevede una nozione omnicomprensiva della retribuzione del lavoro festivo, ma dispone, all’art. 24, che “la base di calcolo è la retribuzione individuale”, con la conseguenza che la retribuzione da considerare per il lavoro prestato nelle festività infrasettimanali non è, nè alla stregua della disciplina legale, nè alla stregua di quella negoziale, la retribuzione omnicomprensiva, come dedotto, invece, dal lavoratore;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

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