Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23366 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 06/10/2017, (ud. 20/09/2017, dep.06/10/2017),  n. 23366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5020-2011 proposto da:

TEMPOR SPA, in persona del Presidente e Amm.re Delegato,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo

studio dell’avvocato FEDERICO HERNANDEZ, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCESCO HERNANDEZ giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI MILANO (OMISSIS);

– intimata –

sul ricorso 21716-2012 proposto da:

TEMPOR AGENZIA PER IL LAVORO SPA in persona del Presidente e Amm.re

Delegato, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANTONIO GRAMSCI 14,

presso lo studio dell’avvocato FEDERICO HERNANDEZ, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO HERNANDEZ

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI MILANO (OMISSIS);

– intimata –

sul ricorso 25072-2014 proposto da:

TEMPOR SPA in persona del Presidente e Amm.re Delegato, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio

dell’avvocato FEDERICO HERNANDEZ, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCESCO HERNANDEZ giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 163/2010 depositata il 16/12/2010, avverso la

sentenza n. 27/2012 depositata il 15/02/2012 e avverso la sentenza

n. 3519/2014 depositata il 01/07/2014 della COMM.TRIB.REG. di

MILANO;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito per il ricorrente l’Avvocato HERNANDEZ FILIPPO per delega

dell’Avvocato HERNANDEZ FEDERICO che ha chiesto l’accoglimento dei

ricorsi.

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. Si premette che la Tempor – Agenzia per il Lavoro spa ha proposto tre distinti ricorsi per cassazione che – per quanto relativi a tre diverse decisioni di merito – attengono al medesimo rapporto impositivo, e presentano stretta connessione soggettiva ed oggettiva. Questi elementi, evidenziati dalla stessa società ricorrente con nota 7 giugno 2017, rendono opportuna la riunione dei procedimenti.

p. 1.1 Ricorso 5020/11. Con questo ricorso la Tempor – Agenzia per il Lavoro spa propone quattro motivi per la cassazione della sentenza n. 163/06/10 del 16 dicembre 2010 con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto fondata la cartella di pagamento notificatale, in esito a controllo formale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, per il recupero di crediti d’imposta (Euro 112.064,00, per incrementi occupazionali in Sud-Italia L. n. 388 del 2000, ex art. 7 e succ.mod.) non indicati nel quadro RU del modello Unico 2006, relativo al periodo di imposta 2005.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – il credito in questione, effettivamente relativo ad incrementi occupazionali, doveva essere fatto valere in compensazione entro il termine di decadenza del 31 dicembre 2003, in quanto interamente maturato (come desumibile da un prospetto allegato a memoria difensiva dalla stessa società contribuente) nell’anno 2003 (L. m. 289 del 2002, art. 3, comma 2, primo periodo); – la possibilità di fruire della compensazione fino al 31 dicembre 2006 era sì prevista dalla legge (norma cit., secondo periodo), ma soltanto in caso di incapienza; – nella specie, la società non aveva provato, ed anzi nemmeno allegato, di non aver potuto tempestivamente fruire del credito in oggetto (nell’anno 2004) per incapienza, ex art. 63 cit..

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

p. 1.2 Con il primo motivo di ricorso la società contribuente lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che la mancata compensazione del credito d’imposta in oggetto entro il termine di decadenza era dovuto a sua condotta prudenziale e, dunque, a ritardo scusabile. Infatti, alla data di scadenza essa nutriva fondato convincimento che il credito fosse compensabile (in quanto aiuto di Stato alle imprese) solo fino al concorso del regime c.d. de minimis. Solo successivamente alla scadenza di legge si era, a suo dire, affermato l’opposto principio (talune sentenze 2004/2005, o.d.g. Camera dei Deputati 21.6.05 recante l’impegno a rivedere la Circ. AF 11/E del 13.2.03 in materia) che non si trattasse di aiuti di Stato alle imprese, con conseguente compensabilità integrale.

Con il secondo motivo di ricorso la società contribuente lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 63,comma 2. Per avere la commissione tributaria regionale applicato il termine di decadenza relativo ai crediti 2003 all’intero credito dedotto in giudizio, pari ad Euro 112.067,14; nonostante che quest’ultimo fosse invece in parte relativo (per Euro 41.624,60) a crediti maturati nel periodo di imposta 2002, con conseguente compensabilità entro il maggior termine (qui rispettato) del 31 dicembre 2006, L. n. 289 del 2002, ex art. 63, comma 2 cit..

Con il terzo motivo di ricorso la società contribuente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 115 c.p.c.; art. 2697 c.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1e 23. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto che l’intero credito controverso fosse assoggettato, in quanto interamente imputabile al 2003, alla decadenza del 31.12.03; nonostante che fin dal ricorso introduttivo essa società avesse evidenziato che, in parte (Euro 41.624,60), si trattava di credito relativo al 2002. Circostanza che non poteva trarre smentita – a fronte della mancata contestazione ex adverso – dalla propria memoria difensiva depositata il 29.12.08 in altro procedimento, ed allegata nel presente.

Con il quarto motivo di ricorso la società contribuente deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – carenza motivazionale in ordine all’inesatta interpretazione della suddetta memoria difensiva, nella quale essa non aveva affatto imputato tutto il credito all’anno 2003 (semprechè non si trattasse di errore revocatorio, per il quale era stato introdotto separato procedimento ex art. 395 c.p.c., n. 4).

p. 1.3 Il primo motivo di ricorso è infondato, posto che nel caso di specie (concernente il rapporto tributario sostanziale, non quello sanzionatorio) rileva il regime obiettivo di spettanza ovvero non-spettanza, nelle annualità di riferimento, del credito d’imposta. Con conseguente ininfluenza delle ragioni soggettive che poterono indurre la società contribuente a contenere la richiesta per non esulare dai limiti del c.d. regime de minimis, in quanto aiuto di Stato alle imprese. In ogni caso, l’orientamento interpretativo di legittimità successivamente invalso è proprio nello stesso senso di quello dichiaratamente assunto dalla società ad autocontenimento iniziale della pretesa; nel senso, cioè, di ritenere compensabile il credito da incremento occupazionale solo entro i limiti del suddetto regime (Cass. nn. 21594/15; 21605/15; 20245/13). Su tale presupposto, non ha dunque luogo parlare di ritardo scusabile, ovvero di esonero (per l’anno 2003) dalla maturata decadenza.

p. 1.4 Gli altri tre motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per la loro stretta connessione, devono invece trovare accoglimento nei termini che seguono.

La commissione tributaria regionale ha esteso all’intero credito di Euro 112.064,00 il termine di decadenza del 31 dicembre 2003 ex art. 63, comma 2 (prima parte, così come riferita al primo periodo della L. n. 289 del 2002, comma 1 lett. a)); nonostante che parte di tale credito (per Euro 41.624,60) fosse stata dalla società contribuente – fin dal ricorso introduttivo – imputata all’anno 2002; ed alla tipologia di credito non sottoposta alla decadenza indicata.

In particolare, la commissione tributaria regionale non ha dato adeguatamente conto – nell’uniformare il regime di decadenza dell’intero credito – degli elementi probatori allegati dalla società in ordine alla tempestiva deduzione (quantomeno) del credito d’imposta relativo all’anno 2002, in quanto fruito (2005) prima del maturarsi di termini prescrizionali o decadenziali. Elementi probatori che la società aveva indicato nelle risultanze dei modelli F 24 utilizzati per la compensazione, e nella mancata contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria di quanto da essa dedotto, fin dal ricorso introduttivo, circa la data di insorgenza delle singole componenti creditorie ricomprese nell’ammontare totale.

La motivazione della commissione tributaria regionale risulta inoltre incongrua là dove attribuisce valore probatorio dell’opposta situazione (imputabilità dell’intero credito all’anno 2003 con conseguente integrale decadenza) a quanto la stessa società contribuente avrebbe affermato nella memoria integrativa del 29 dicembre 2008 (resa in altro procedimento, ma allegata al presente). Da tale memoria, infatti, non pare potersi logicamente trarre la conclusione del giudice di appello, posto che in essa si sosteneva (così come riportato in ricorso): “l’importo complessivo dei crediti di che trattasi (sia quelli afferenti la quota ordinaria che quella riferita alla quota per l’ulteriore agevolazione per le assunzioni al Sud) ammonta complessivamente per il periodo (2000-2003) ad Euro 655.077,00. Pertanto residuano alla scrivente ulteriori crediti a tale titolo per un valore di Euro 112.065,82”.

Si tratta di affermazione priva di natura ammissiva dell’intera imputazione all’anno 2003, e necessitante di valutazione alla luce dell’intero quadro istruttorio; dalla quale emergevano elementi di segno contrario, concernenti il fatto che parte del credito controverso non fosse comunque suscettibile di incorrere nella decadenza del 31 dicembre 2003.

Nè la circostanza, dichiarata nella memoria difensiva, che l’importo di Euro 112.065,82 costituisse una rimanenza del maggior importo 2000/2003 di Euro 655.077,00 deponeva necessariamente – in assenza di altri riscontri, non indicati dal giudice di merito – nel senso che il credito dedotto in giudizio dovesse in effetti riferirsi, nella sua globalità, all’anno 2003 ed alla relativa decadenza.

Nemmeno appariva decisivo – per il 2002 – che la società non avesse provato, nè allegato, una situazione di incapiente compensabilità nelle annualità di spettanza, dal momento che quest’ultima non aveva, nella specie, rilevanza legale; ciò perchè l’art. 63, comma 2 L. cit. richiedeva tale prova solo per la fruizione del credito dopo la scadenza del termine dichiarativo ultimo, e non nel caso in cui tale termine (come si sarebbe verificato nella specie, in presenza di crediti 2002) fosse stato rispettato.

Va d’altra parte considerato, ad esclusione della decadenza per il credito maturato nel 2002, che la stessa amministrazione finanziaria nell’interpretazione dell’art. 63 cit. – ebbe a riferire la decadenza del 31 dicembre 2003 ai soli crediti maturati con riferimento all’anno 2003; escludendo, al contempo, la sussistenza di un termine decadenziale (fatta salva la prescrizione) per quelli maturati in precedenza.

Con la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 127/E del 4 ottobre 2004, infatti, si è affermato che: “La fruizione del credito d’imposta relativo agli incrementi occupazionali rientranti nel regime agevolativo previsto dall’originario L. n. 388 del 2000, art. 7 e nel regime di cui al D.L. n. 209 del 2002, art. 2 indicati, rispettivamente, ai precedenti punti 1) e 2), non è soggetta ad alcun vincolo temporale, posto che per l’utilizzo del bonus maturato le richiamate disposizioni non fissano alcun termine. Pertanto, salva l’ipotesi di decorso del termine di prescrizione, il bonus maturato nei precedenti periodi d’imposta può ancora essere legittimamente fruito, anche se lo stesso non risulta evidenziato nelle dichiarazioni dei redditi relative a ciascun periodo d’imposta di maturazione del bonus stesso. (…) Con specifico riferimento al credito d’imposta maturato a decorrere dal 1 gennaio 2003 ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 63 di cui al precedente punto 3), va invece evidenziato che la L. n. 289 del 2002, art. 63, comma 2 dispone che “il contributo di cui al comma 1, lett. a), primo periodo (credito fruibile in via automatica relativo ad incrementi della base occupazionale rilevati al 7 luglio 2002) può essere attribuito comunque non oltre il 31 dicembre 2003; quelli di cui al comma 1, lettera a), secondo e terzo periodo, (credito fruibile in seguito ad istanza per incrementi superiori a quello rilevato al 7 luglio 2002) e lettera b) (credito fruibile in seguito ad istanza per incrementi occupazionali dal 1 gennaio 2003, spettanti a soggetti che al 7 luglio non avessero registrato incrementi occupazionali), possono essere attribuiti comunque non oltre il 31 dicembre 2006. (…) Pertanto, il bonus maturato a decorrere dal 1 gennaio 2003, a differenza di quello maturato nei periodi anteriori e riferito ai precedenti regimi agevolativi, non può essere fruito in epoca successiva alle date indicate nel comma 2 del menzionato articolo 63 (rispettivamente, 31 dicembre 2003 e 31 dicembre 2006), fatta salva l’ipotesi di “incapienza”, che – come evidenziato nella circolare n. 16/E del 9 aprile 2004 – si verifica nell’ipotesi in cui il contribuente non abbia saldi netti a debito risultanti dai modelli di versamento unificato, ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997.”

Le doglianze in oggetto, in definitiva, pongono in luce tanto l’insufficienza motivazionale della sentenza impugnata, quanto l’effettiva sussistenza della violazione normativa lamentata; nella parte in cui la commissione tributaria regionale ha indistintamente esteso all’intero credito il termine decadenziale del 31 dicembre 2003, senza considerare che, per una parte del credito, nessun termine di perenzione (nè di prescrizione nè di decadenza) era maturato.

Ne segue, in accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, la cassazione della sentenza, con conseguente rinvio alla commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

Quest’ultima dovrà riesaminare la fattispecie di decadenza valutando gli elementi di prova forniti dalla società contribuente in ordine al fatto che una parte del credito controverso (anteriore all’anno 2003) fosse stata tempestivamente dedotta in compensazione. Dovrà inoltre il giudice di rinvio stabilire, all’esito di tale accertamento, l’effettiva compensabilità del credito alla luce del su richiamato regime de minimis; provvedendo anche sulle spese del presente procedimento.

p. 2.1 Ricorso 21716/12. Con questo ricorso la Tempor Agenzia per il Lavoro spa propone sei motivi per la cassazione della sentenza n. 27/43/12 del 15 febbraio 2012 con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione da essa proposto – ex art. 395 c.p.c., n. 4 – contro la suddetta sentenza della commissione tributaria regionale Lombardia n.163/06/10 del 16 dicembre 2010 (ric.5020/11).

Nella sentenza n. 27/43/12, impugnata con il ricorso qui in esame n. 21716/12, la commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che il ricorso per revocazione – proposto per l’erronea imputazione integrale del credito d’imposta al 2003 invece che, in parte, al 2002, con conseguente diverso termine decadenziale di compensabilità – fosse inammissibile sotto un duplice aspetto: a. (prima ratio decidendi) per avere la Tempor proposto, avverso la stessa sentenza CTR cit., ricorso per cassazione (ric. n. 5020/11 su riportato): D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64; b. (seconda ratio decidendi) per carenza dei requisiti (tratti dalla giurisprudenza di legittimità ed amministrativa) dell’ errore percettivo sul fatto immediatamente rilevabile (svista), e della non contestazione del fatto medesimo.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso la società contribuente lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64,artt. 395 e 398 c.p.c.. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione per il solo fatto che avverso la stessa sentenza della CTR fosse stato proposto ricorso per cassazione; nonostante che, ex art.64 cit., quest’ultimo ricorso non potesse avere ad oggetto l’accertamento fattuale invece oggetto di revocazione (imputazione annuale del credito d’imposta).

Con il secondo motivo di ricorso la società deduce violazione o falsa applicazione delle stesse norme. Per avere la commissione tributaria regionale escluso (come ulteriore motivo di inammissibilità) la revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4), nonostante che l’errore in questione (imputazione di parte del credito d’imposta, pari ad Euro 41.624,60, al 2002 e non al 2003) fosse reso evidente: da quanto da essa ricorrente sostenuto fin dal ricorso in opposizione alla cartella; – dai Mod.F24 di compensazione allegati; – dalla mancata contestazione da parte dell’agenzia delle entrate; – dall’esatta lettura della propria memoria difensiva 29.12.08, nella quale essa non aveva mai affermato che l’intero credito opposto in compensazione si riferisse al 2003.

Con il terzo motivo di ricorso (di cui la ricorrente evidenzia la stretta connessione con quello di cui alla seconda parte del secondo motivo di ricorso) si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omessa motivazione (in ipotesi di mancata statuizione implicita sul punto) in merito al fatto che i motivi di revocazione sarebbero potuti essere proposti anche nell’ambito del ricorso per cassazione.

Con il quarto motivo di ricorso la società contribuente lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; per avere la CTR affermato che essa aveva formulato un motivo di ricorso per revocazione (omessa motivazione nella sentenza revocanda) inammissibile; là dove nessun motivo di tal genere era in realtà stato formulato.

Con il quinto motivo di ricorso, si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omessa o insufficiente motivazione in ordine alla fondatezza dell’unico motivo di revocazione proposto (aver collocato nel 2003 crediti afferenti al 2002).

Con il sesto motivo di ricorso la società contribuente deduce violazione degli artt. 112-115 c.p.c. (in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1). Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto che la revocazione non potesse basarsi su documenti (quelli di sgravio dell’ufficio) prodotti successivamente alla sentenza revocanda; nonostante che tale produzione non fosse finalizzata a sostenere la revocazione, bensì a dimostrare come l’ufficio avesse infine riconosciuto le sue ragioni.

p. 2.2 Questo ricorso deve ritenersi inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

La revocazione risulta infatti proposta avverso la stessa sentenza (n. 163/06/10 del 16 dicembre 2010) che trova qui cassazione per le considerazioni testè svolte nella disamina del ricorso n. 5020/11. Ricorso, quest’ultimo, che viene parzialmente accolto proprio sul punto del rilevato errore del giudice di merito nell’indistinta imputazione dell’intero credito dedotto in giudizio all’anno 2003; con conseguente erronea statuizione di globale decadenza dall’istanza di compensazione. Sicchè l’interesse della società contribuente di far emergere l’indebita unificazione temporale – e così ottenere lo scorporo del credito 2003 da quello dell’anno precedente – risulta già raggiunto all’esito non della revocazione della sentenza per errore di fatto, bensì della sua cassazione per le indicate ragioni.

p. 3.1 Ricorso 25072/14. Con questo ricorso la Tempor – Agenzia per il Lavoro spa propone tre motivi per la cassazione della sentenza n. 3519/14 del 26 giugno 2014 con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittima la cartella di pagamento (n. (OMISSIS)) notificatale a seguito della citata sentenza CTR Lombardia n.163/06/10 del 16 dicembre 2010. Sentenza quest’ultima con la quale – come detto – era stata ritenuta fondata la cartella di pagamento (n. (OMISSIS)) notificata alla società, in esito a controllo formale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, per il recupero di crediti d’imposta non indicati nel quadro RU del modello Unico 2006, relativo al periodo di imposta 2005.

Nella sentenza qui impugnata (n. 3519/14) la commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: – la cartella opposta fosse legittima, perchè puramente consequenziale, ex art. 68 cit., all’avvenuto riconoscimento di fondatezza della pretesa erariale da parte della citata sentenza CTR 163/06/10 (pagamento frazionato in corso di giudizio, a nulla rilevando la pendenza di ricorso per cassazione avverso quest’ultima decisione); – l’avvenuto annullamento, da parte della sentenza della commissione tributaria provinciale Milano n. 214/47/2011 (non definitiva), dell’ulteriore atto di recupero del credito (n. 0002) medio tempore notificato dall’agenzia in esito a nuovo accertamento per gli stessi fatti, non ostasse alla legittimità della cartella qui opposta, trattandosi di controversie differenti e di cartella puramente esecutiva della citata sentenza CTR 163/06/10.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

Nessuna attività difensiva è stata posta in essere, in questa sede, da Equitalia Nord spa, pure intimata in giudizio.

p. 3.2 Con il primo motivo di ricorso la società contribuente lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio, nonchè violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 8,36 e 68. Ciò sulla base di plurime censure, sotto-censure, ulteriori ragioni ed ulteriori motivi di impugnazione che possono tutti ricondursi ai seguenti profili di sintesi: a. erroneo disconoscimento della prevalenza della citata sentenza n.214/47/2011 sulla n.163/06/10, in quanto sentenza esecutiva successiva a quest’ultima; e, di conseguenza, erronea affermazione di legittimità della cartella qui opposta D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, in quanto basata su una sentenza (163/06/10) appunto superata da quella successiva; b. omessa considerazione di due ulteriori sentenze CTP Milano passate in giudicato tra le parti (n. 86/21/12 e n. 137/12), le quali avevano dichiarato cessata la materia del contendere per effetto dello sgravio delle somme iscritte a ruolo disposto dall’ agenzia delle entrate dopo la citata sentenza n.214/47/2011, ad essa sfavorevole; c. erronea affermazione circa la differenza di controversie tra i giudizi rispettivamente definiti con le sentenze n. 214/47/2011 e n. 163/06/10, trattandosi invece sempre della stessa pretesa erariale sostanziale per recupero di credito occupazionale d’imposta 2005, e per lo stesso importo di Euro 112.064,00.

Con il secondo motivo di ricorso la società contribuente lamenta omesso esame e violazione dell’art. 2909 c.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68; per avere la commissione tributaria regionale omesso di considerare l’effetto preclusivo derivante, in particolar modo, dalle citate sentenze n. 86/21/12 e n. 137/12, in quanto passate in giudicato sulla stessa controversia.

Con il terzo motivo di ricorso la società contribuente lamenta omesso esame di un fatto decisivo, e violazione altresì del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 10 e 12; per non avere la commissione tributaria regionale rilevato l’illegittimità di una nuova iscrizione a ruolo (cartella n. (OMISSIS), qui opposta) successivamente allo sgravio del medesimo importo per effetto di sentenze passate in giudicato (le citate n.86/21/12 e n.137/12), ovvero esecutive prevalenti (n. 214/47/2011).

p. 3.3 I tre motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per la loro stretta connessione, sono destituiti di fondamento.

Essi sovrappongono indebitamente due piani distinti: quello dell’accertamento di fondatezza del credito erariale, e quello della sua (provvisoria) realizzazione in pendenza di giudizio (profilo, quest’ultimo, per il quale il contraddittorio venne instaurato anche nei confronti di Equitalia Nord).

La sentenza n. 163/06/10 si è occupata del primo aspetto, affermando l’effettiva spettanza del credito all’amministrazione finanziaria, stante l’intervenuta decadenza di Tempor, L. n. 289 del 2002, ex art. 63, comma 2, nella compensabilità del credito d’imposta per incremento occupazionale.

Le sentenze n. 214/47/2011 e nn. 86/21/12-137/12 si sono, per contro, occupate di un atto di recupero dell’importo e di riscossione in applicazione del regime di realizzazione frazionata del credito tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68.

E’ dunque vero che la controversia tra le parti – in senso sostanziale – è sempre la stessa (spettanza del suddetto credito d’imposta, invariabilmente determinato nel medesimo importo e sulla base del medesimo accertamento), ma ciò non toglie che l’ampio contenzioso sviluppatosi tra le parti abbia avuto ad oggetto – come anticipato – due fasi distinte di questo unitario rapporto giuridico d’imposta: l’una di accertamento impugnatorio di fondatezza nel merito della originaria cartella (n. (OMISSIS)), l’altra di regolare attivazione della riscossione frazionata a seconda dell’esito via via registratosi nei giudizi di merito (n.(OMISSIS)).

Quanto detto vale anche per le sentenze n. 86/21/12 e n. 137/12, la cui non-preclusività ai fini di causa discende dal fatto che esse non siano state rese, appunto, sul fondo dell’imposizione, bensì soltanto sul diritto dell’amministrazione di porre in riscossione provvisoria il credito ancora in corso di accertamento giudiziale. Da qui è scaturita la pronuncia di cessazione della materia del contendere per intervenuto sgravio, la quale – ancorchè definitiva in senso formale – si è limitata a prendere atto della circostanza che l’agenzia delle entrate aveva effettuato lo scarico di ruolo in ottemperanza alla sentenza di primo grado, risultata favorevole alle ragioni della società contribuente.

Nè in tali pronunce poteva ravvisarsi l’accertamento di un contegno di acquiescenza dell’amministrazione finanziaria e di sostanziale suo riconoscimento di non debenza della somma oggetto di recupero; atteso che lo sgravio era stato dall’ufficio disposto non su tale presupposto, ma in attuazione del principio desumibile dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2; e, dunque, pur sempre in via interinale e fatto salvo l’esito dell’accertamento di merito (nel corso del quale l’amministrazione finanziaria ha sempre tenuto ferma la propria posizione creditoria).

Vale, in proposito, quanto statuito dall’indirizzo giurisprudenziale di legittimità (con riguardo alla materia delle impugnazioni, ma sulla base di un principio di più ampia portata), secondo cui la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado non comporta acquiescenza alla sentenza; in particolare, è stato affermato che non può considerarsi tale (e, dunque, non implica rinuncia alla pretesa nè riconoscimento del diritto del contribuente) l’adozione, da parte dell’amministrazione finanziaria, di un provvedimento di sgravio relativo a somme iscritte a ruolo ed oggetto di cartelle annullate dal giudice di primo grado, nelle more del giudizio di appello (Cass. ord. 11769/12; in termini, Cass. ord. 21385/12).

In conseguenza dello sgravio, l’amministrazione ha poi proceduto a nuova iscrizione a ruolo ed emissione di ulteriore e diversa cartella in ragione dell’esito a sè favorevole registratosi nel giudizio di appello; anche in tal caso, dunque, stessa controversia, ma diverso titolo di riscossione frazionata in corso di causa. Nemmeno sotto questo profilo, è dunque riscontrabile la denunciata violazione delle norme che presiedono alla formazione del ruolo e delle conseguenti cartelle.

E’ pertanto evidente come l’impostazione difensiva – volta a porre sullo stesso piano le varie sentenze succedutesi, per poi regolarle secondo il mero ordine temporale di incidenza e superamento – non può essere condivisa. Perchè inidonea a dare conto della situazione di progressiva modulazione della pretesa in rapporto all’andamento di lite; e perchè fondata su una mescolanza di profili (rispettivamente, di merito e di riscossione frazionata) che esattamente la sentenza qui impugnata ha tenuto distinti.

In definitiva, dall’intero svolgimento dell’ampio ed articolato contenzioso tra le parti non è dato di individuare un accertamento sulla fondatezza della pretesa impositiva suscettibile di preclusivamente fondare il ne bis in idem paventato dalla odierna ricorrente.

Resta peraltro fermo che – a seguito della cassazione con rinvio della sentenza-base n.163/06/10, come qui disposta – la pretesa impositiva non potrà che conformarsi all’esito definitivo del giudizio; anche per quanto concerne i limiti e le condizioni della eventuale riscossione frazionata in corso di causa.

p. 4. Quanto alle spese di lite, rilevando i ricorsi (ancorchè riuniti) nella loro autonomia e specificità (Cass. 15860/14), se ne ritiene la compensazione con riguardo al n. 21716/12; con accollo alla società ricorrente, in ragione di soccombenza, nel ricorso n.25072/14 (liquidazione come in dispositivo).

PQM

 

LA CORTE

– Riuniti i ricorsi nn. 21716/12 e 25072/14 al ricorso n. 5020/11;

– Accoglie il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso n.5020/11, respinto il primo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione;

– Dichiara inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso n. 21716/12; spese compensate;

– Rigetta il ricorso n. 25072/14, ponendo le spese dell’agenzia delle entrate, liquidate in Euro 5.000,00 oltre quelle prenotate a debito, a carico della società ricorrente;

– v.to il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso n. 25072/14.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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