Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23365 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 06/10/2017, (ud. 20/09/2017, dep.06/10/2017),  n. 23365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28036-2013 proposto da:

COSP TECNO SERVICE SCARL, in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

GIAMBATTISTA VICO 22, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO

SANTACROCE, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ANDREA FIORELLI, SALVATORE MILETO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 89/2013 della CTR di PERUGIA, depositata il

14/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2017 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del lo motivo di

ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato MILETO che ha chiesto

l’accoglimento.

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. La società cooperativa Tecno Service a r. l. impugnava la cartella notificata da Equitalia Umbria s.p.a. relativa alla liquidazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2007. La cartella aveva ad oggetto l’Ires e l’ulteriore credito d’imposta per l’incremento dell’occupazione ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 7. La commissione tributaria provinciale di Terni accoglieva in parte il ricorso affermando che il credito di imposta ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 7 non poteva essere recuperato a mezzo dell’iscrizione a ruolo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis in quanto era necessaria la notifica di un avviso di accertamento.

Proponeva appello l’ufficio e la commissione tributaria regionale dell’Umbria lo accoglieva sul rilievo che il ricorso alla procedura di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis per il recupero del credito di imposta era legittimo. Rilevava, inoltre, che anche il credito di imposta disciplinato dalla L. n. 289 del 2002 poteva essere fruito nei limiti della regola del “de minimis” stabilito dalla L. n. 388 del 2000, art. 7.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la società Cosp Tecno Service società cooperativa a responsabilità limitata svolgendo tre motivi. L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio con controricorso.

3. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, della L. n. 289 del 2002, art. 63, della L. n. 388 del 2000, art. 7. Sostiene che il ricorso alla procedura di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis è da ritenersi illegittimo per il recupero di crediti d’imposta di cui si sia fruito ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 7.

4. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 289 del 2002, art. 63, della L. n. 388 del 2000, art. 7, dell’art. 12 preleggi, nonchè in relazione ai regolamenti CE n. 2204/2002 e n. 800/2008. Sostiene che la normativa nazionale, ed in particolare la L. n. 289 del 2002, art. 63 prevede una fattispecie in contrasto con la normativa comunitaria ed in particolare con il regolamento 2204/2002 poichè limita la fruibilità del bonus occupazionale entro i limiti imposti dalla regola del de minimis.

5. Con il terzo motivo deduce omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che la CTR ha errato nel ritenere che la società non avesse documentato il credito di imposta relativamente all’anno 2003, dato che essa contribuente aveva presentato idonee istanze all’amministrazione finanziaria.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è infondato. Invero la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis è ammissibile, e può evitare l’attività di rettifica, quando il dovuto sia determinato mediante un controllo della dichiarazione meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo (Cass. n. 5318/2012; Cass. n.14070/2011; Cass. n. 12762/2006). Con tali modalità non possono risolversi questioni giuridiche sicchè la negazione della compensazione di un credito di imposta non può essere ricondotta al mero controllo cartolare in quanto implica verifiche e valutazioni giuridiche; con la conseguenza che il disconoscimento del credito e l’iscrizione della conseguente maggiore imposta deve avvenire previa emissione di motivato avviso di rettifica (Cass. n. 11292/2016). Ne discende che il disconoscimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di un credito d’imposta non può avvenire tramite l’emissione di cartella di pagamento avente ad oggetto il relativo importo, senza essere preceduta da un avviso di recupero di credito d’imposta o, quanto meno, bonario. Nel caso che occupa l’amministrazione finanziaria ha proceduto al recupero nei confronti della società ricorrente dell’ulteriore credito d’imposta esposto in dichiarazione attraverso l’emissione di un avviso bonario notificato il 21 settembre 2010, a seguito del quale la contribuente ha presentato memoria difensiva fornendo giustificazioni e solo successivamente, in data 19 aprile 2011, è stata notificata la cartella di pagamento relativa alla liquidazione automatica ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis. La notifica dell’avviso bonario, in luogo dell’avviso di recupero, rende legittima, dunque, l’emissione della cartella ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis. L’emissione dell’atto di recupero, invero, deve ritenersi una procedura facoltativa rispetto alla notifica dell’avviso bonario nell’ottica della necessità di portare a conoscenza del contribuente le ragioni per le quali si procede al recupero del credito d’imposta. Invero la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421, prevede che “Ferme restando le attribuzioni e i poteri previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 31 e ss. e successive modificazioni, nonchè quelli previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e seguenti, e successive modificazioni, per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, e successive modificazioni, l’Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60…”.

2. Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato. Ciò in quanto la L. n. 289 del 2002, art. 63, comma 1, nel rinnovare il regime di incentivi alle assunzioni, già disposto con la L. n. 388 del 2000, art. 7, ha mantenuto esplicitamente ferme, per quanto non diversamente regolato, le disposizioni di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 7, che, relativamente all’ulteriore credito d’imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate, testualmente dispone (al comma 10, u.p.): “All’ulteriore credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola de minimis di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità europee 96/C68/06, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C68 del 6 marzo 1996, e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione purchè non venga superato il limite massimo di Lire 180 milioni nel triennio”. Il quadro normativo rivela che, nel legittimo esercizio dei suoi poteri discrezionali, il legislatore nazionale ha inteso riconoscere il beneficio dell’ulteriore credito d’imposta di cui si tratta in misura limitata e non in rapporto al numero dei lavoratori effettivamente assunti. In tale prospettiva, nel riconoscere il beneficio in oggetto, il legislatore nazionale ha fatto proprio -in via di rinvio alla relativa fonte normativa – al criterio comunitario c.d. de minimis, che, nell’ambito dell’ordinamento sopranazionale, fissa, nell’importo di Euro 100.000 nel triennio, il limite quantitativo al di sotto del quale gli aiuti di Stato non incorrono nel divieto di cui all’art. 92 (poi 87), par. 1 Trattato CE (Cass. nr.21797/2011; Cass. n. 20245/2013). Erroneamente la ricorrente afferma che il credito di imposta per l’incremento occupazionale non può essere considerato aiuto di Stato poichè l’incentivo non riguarda le imprese ma l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori in condizioni disagiate. Ciò in quanto l’incentivo accordato per l’incremento occupazionale ha senza alcun dubbio significativi riflessi sul bilancio dell’impresa e quindi non può negarsi la natura sostanziale di aiuto di Stato ed i benefici sono accordati dal legislatore nei limiti ed alle condizioni da esso fissati entro un preciso quadro di programmazione economica sicchè in tema di agevolazioni la sussistenza dei presupposti deve essere vagliata sulla base del sistema normativo nazionale (cfr. Cass. n. 16734/2015; Cass. n. 21594/2015).

3. In ordine al terzo motivo di ricorso, si osserva che esso è infondato. Invero la L. n. 289 del 2002, art. 63, comma 3, prevede che per maturare il diritto ai contributi i datori di lavoro devono, in ogni caso, inoltrare al centro operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate una istanza preventiva contenente i dati stabiliti con provvedimento del direttore della medesima Agenzia, emanato entro il 31 gennaio 2003, occorrenti per stabilire la base occupazionale di riferimento, il numero, la tipologia, la decorrenza e la durata dell’assunzione, l’entità dell’incremento occupazionale nonchè gli identificativi del datore di lavoro e dell’assunto. Nel caso che occupa la documentazione che la CTR ha ritenuto mancante con riguardo all’anno 2003, secondo quanto afferma la ricorrente, è stata presentata alla agenzia delle entrate nell’anno 2006. Dunque il deposito della documentazione deve considerarsi tardivo, per il che la circostanza del non aver la CTR esaminato i documenti prodotti è priva di decisività con riguardo a tale periodo di imposta.

3. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere all’agenzia delle entrate e le spese processuali che liquida in Euro 7.800,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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