Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23360 del 24/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/08/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 24/08/2021), n.23360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22726-2019 proposto da:

D.M.S., n.q di titolare dell’omonima ditta artigiana

di falegnameria, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO CANGELOSI;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO;

– controricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la

sede dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati LORELLA

FRASCONA’, GIANDOMENICO CATALANO;

– controricorrente –

contro

RISCOSSIONE SICILIA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1177/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata l’11/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Palermo, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto la domanda di D.M.S. volta ad accertare l’insussistenza di obblighi contributivi ed assicurativi nei confronti dell’INPS e dell’INAIL;

per quanto solo rileva in questa sede, la Corte di appello ha ritenuto che il datore di lavoro fosse tenuto al versamento del cd. “minimale contributivo” in difetto di prova, da parte del datore di lavoro, della ricorrenza di un’ipotesi che giustificasse il pagamento dei contributi in forma ridotta, non parametrata, cioè, alla retribuzione cd. “virtuale”;

avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione D.M.S., articolato in un unico ed articolato motivo;

hanno depositato controricorso l’INAIL e l’INPS;

e’ rimasta intimata la parte indicata in epigrafe;

la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico e articolato motivo di ricorso, è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte di appello attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella tenuta; inoltre è dedotta la contraddittorietà della motivazione;

il motivo è infondato;

occorre premettere che, secondo l’insegnamento di questa Corte (tra le ultime, Cass. n.22986 del 2020 e Cass. n. 15120 del 2019), consolidatosi dopo l’arresto delle Sezioni Unite n. 11199 del 2002, l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. “minimale contributivo”), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 (convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389), senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost. (c.d. “minimo retributivo costituzionale”), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre -con incidenza sul distinto rapporto di lavoro – ai fini della determinazione della giusta retribuzione (v. ex aliis Cass. n. 801 del 2012). La regola del minimale contributivo deriva dal principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell’obbligazione retributiva, ben potendo l’obbligo contributivo essere parametrato ad importo superiore a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro;

si è osservato come, nel settore dell’edilizia, il D.L. n. 244 del 1995, art. 29 (conv. in L. n. 341 del 1995) individui (espressamente) le ipotesi di esenzione dall’obbligo del minimale contributivo (in ragione – si reputa – della peculiarità del settore medesimo ove la possibilità di rendere la prestazione lavorativa è normalmente condizionata da eventi esterni che sfuggono al controllo delle parti). Nondimeno, si è ritenuto che, anche nei settori diversi da quello edile, la contribuzione sia dovuta nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione concordata della prestazione stessa che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro e non dalle ipotesi previste dalla legge e dal contratto collettivo (quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione);

come logico corollario si è precisato che “ove (…) gli enti previdenziali e assistenziali pretendano da un’impresa differenze contributive sulla retribuzione virtuale determinata ai sensi del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1, comma 1, anche con riferimento all’orario di lavoro, incombe al datore di lavoro allegare e provare la ricorrenza di un’ipotesi eccettuativa dell’obbligo” (così citata Cass. n.22986 del 2020);

ne deriva la conformità a diritto della soluzione adottata dalla Corte territoriale considerato che l’esenzione dall’obbligo contributivo (e di versamento dei premi) era, nel caso concreto, sostenuta dal datore di lavoro sulla base della necessità di adeguare la contribuzione alla prestazione effettivamente resa, nella ritenuta legittimità delle sospensioni concordate ma senza alcuna specificazione che le stesse (id est: le sospensioni) rientrassero tra quelle stabilite da fonti legali o contrattuali;

in definitiva, il ricorso va rigettato;

le spese vanno liquidate, in favore dell’INAIL, secondo soccombenza;

non si provvede, invece, nei confronti dell’INPS perché il controricorso è tardivo. Si tratta di materia (“omissione totale o parziale di contributi”) in relazione alla quale non opera la sospensione dei termini in periodo feriale (v. Cass., sez. un., n. 2145 del 2021); pertanto, il controricorso del 5.9.2019, pur considerando il termine più favorevole all’Istituto, coincidente con l’ultima notifica del ricorso del 24.7.2019, risulta depositato in violazione del disposto di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1. Non si provvede neppure in relazione alla società di riscossione, perché rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dell’INAIL, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021

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