Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2336 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2017, (ud. 23/06/2016, dep.31/01/2017),  n. 2336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1752-2014 proposto da:

A.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PLE

CLODIO 13, presso lo studio dell’avvocato DANIELE BERARDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO ROSA giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante p.t.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NICOLO’ TARTAGLIA 5, presso

lo studio dell’avvocato ALESSANDRO DI GIOVANNI, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12393/2013 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 06/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato DANIELE BERARDI per delega non scritta;

udito l’Avvocato ALESSANDRO DI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI

A.M. convenne in appello dinanzi al Tribunale di Roma G.G. e l’Ina-Assitalia, impugnando la sentenza del Giudice di Pace che ne aveva rigettato la domanda di risarcimento danni conseguente ad un incidente automobilistico, ritenendolo responsabile esclusivo dell’accaduto.

L’impugnazione fu rigettata.

Avverso la sentenza della Corte capitolina l’ A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di 4 motivi di censura Resiste la compagnia assicurativa con controricorso.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

La sentenza impugnata, scevra nel suo argomentare il rigetto del gravame da vizi logico-giuridici, e scevra altresì da vizi di incompletezza o incoerenza, si sottrae tout court alle doglianze ancor oggi rappresentate in questa sede dall’odierno ricorrente, i cui motivi di censura sono irrimediabilmente destinati ad infrangersi sul corretto e condivisibile impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello, dacchè essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e di un (asseritamente decisivo) difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360, n. 5, codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).

Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.

Liquidazione come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 2200, di cui 200 per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del predetto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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