Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2336 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. II, 26/01/2022, (ud. 13/12/2021, dep. 26/01/2022), n.2336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubalda – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 24163/17 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Ministro

pro-tempore, rappresentato e difeso “ex lege” dall’Avvocatura

generale dello Stato e domiciliato presso i suoi Uffici, in Roma, v.

dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

J.F., (C.F.: (OMISSIS)), in proprio e quale legale

rappresentante della s.r.l. TELERADIO DIFFUSIONE BASSANO,

rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in

calce al ricorso, dagli Avv.ti Paolo Pittori e Carlo Contaldi ed

elettivamente domiciliato presso il loro studio, in Roma, v.

Lungotevere dei Mellini, n. 24;

– controricorrente –

e

Z.M.V., in proprio e quale legale rappresentante

della s.r.l. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 490/2017 (pubblicata

il 14 marzo 2017);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 dicembre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Carrato Aldo.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con rituale ricorso depositato presso la cancelleria del Giudice di pace di Bassano del Grappa Z.M.V., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r., e J.F., in proprio e nella qualità di legale rappresentante di Teleradio Diffusione Bassano s.r.l., proponevano opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 38611/2011 emessa dal Ministero della Salute con riferimento alla violazione del divieto di pubblicizzare dispositivi medici previsto dal D.Lgs. n. 46 del 1997, art. 21, consistita nella propaganda televisiva di una pedana vibrante di cui la predetta emittente aveva mandato in onda la pubblicità.

Nella costituzione del citato Ministero, l’adito Giudice di pace, con sentenza n. 549/2013, accoglieva l’opposizione, annullando l’impugnata ordinanza-ingiunzione sul presupposto della mancata prova, da parte della P.A. ingiungente, dell’appartenenza della indicata pedana vibrante alla categoria dei dispositivi medici contemplati della menzionata norma.

2. Decidendo sull’appello formulato dal Ministero della salute, cui resistevano gli appellati, il Tribunale di Vicenza, con sentenza n. 490/2017 (pubblicata il 14 marzo 2017), rigettava il gravame, condannando il Ministero impugnante al pagamento delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata pronuncia il Tribunale vicentino, oltre a confermare quanto ritenuto dal giudice di prime cure sulla inidoneità della pedana a costituire un dispositivo medico, rilevava che, in ogni caso, al fine di poter essere inquadrata nell’ambito dei dispositivi tutelati dal D.Lgs. n. 47 del 1997, art. 21, avrebbe dovuto essere presentata come tale dal fabbricante nel mentre era stata proposta come terapeutica soltanto in sede di pubblicizzazione televisiva, per cui, tutt’al più, si sarebbe potuto discorrere di cattiva pubblicità, ma non riferita ad un dispositivo medico.

3. Avverso la richiamata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, riferito a due motivi, il Ministero della salute. Si è costituito con controricorso solo l’intimato J.F., in proprio e nella qualità di legale rappresentante di Teleradio Diffusione Bassano s.r.l., mentre l’altra parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente Ministero ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del D.Lgs. n. 46 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a) e g), dovendosi ritenere che – oltre a costituire la pedana vibrante un dispositivo medico in virtù della norma appena citata – quanto era avvenuto nella televendita promozionale costituiva espressione delle indicazioni fornite dal fabbricante del materiale pubblicitario.

2. Con la seconda censura il ricorrente Ministero ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, poiché, ancorché l’impugnata sentenza avesse accertato l’avvenuta presentazione della pedana vibrante in sede televisiva come dispositivo medico, pur erroneamente escludendo che detta presentazione fosse riferibile al fabbricante, avrebbe dovuto farne discendere la responsabilità solidale tanto dell’emittente televisiva che del fabbricante ai sensi della denunciata norma.

3. Rileva il collegio che si deve, in primo luogo, considerare l’irrilevanza della deduzione del ricorrente Ministero in relazione alla circostanza che la sentenza impugnata sia stata resa anche nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante, produttrice del contestato dispositivo, di cui era stato dichiarato il fallimento. E ciò sulla base del principio generale – richiamato dallo stesso ricorrente che le norme che disciplinano l’interruzione del processo sono preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento, la quale è l’unica legittimata a dolersi dell’irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva (eventualità che, nel caso di specie, non si è verificata), sicché la mancata interruzione del processo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, né essere eccepita dall’altra parte come motivo di nullità (cfr., ad es., Cass. nn. 15031 e 17199 del 2016).

4. Chiarito questo aspetto, rileva il collegio che i due motivi possono essere esaminati congiuntamente siccome all’evidenza connessi.

Essi sono fondati e meritano, perciò, accoglimento.

Innanzitutto è opportuno riportare il testo del D.Lgs. n. 46 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a), (recante “Attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici), secondo cui ai fini del citato decreto si intende per dispositivo medico: qualunque strumento, apparecchio, impianto, software, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software destinato dal fabbricante ad essere impiegato specificamente con finalità diagnostiche o terapeutiche e necessario al corretto funzionamento del dispositivo, destinato dal fabbricante ad essere impiegato sull’uomo a fini di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l’azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi.

Orbene, malgrado questa minuziosa esposizione di strumenti ed apparecchi assimilati, il giudice di appello non si è appropriatamente confrontato con la stessa al fine della qualificazione della pedana vibrante od oscillante tipo “Disirovery”, non potendosi disconoscere alla stessa l’idoneità a produrre effetti positivi di natura fisioterapica, con conseguenti benefici all’organismo umano e, quindi, tale da poter essere ricondotta un una delle categorie riportate nella citata disposizione normativa. Lo stesso Tribunale, peraltro, nel sostenere che tale dispositivo era stato presentato in sede di pubblicizzazione televisiva come apparecchio terapeutico, non smentisce tale ricostruzione orientata ad incasellare la speciale pedana in questione tra gli apparecchi inclusi nell’ambito della richiamata elencazione di cui alla riportata norma del D.Lgs. n. 46 del 1997.

Del resto, ai sensi del combinato disposto dello stesso D.Lgs. n. 46 del 1997, artt. 1,16 e 23, si è già affermato che deve considerarsi soggetto alla sanzione amministrativa prevista dall’art. 23 chiunque “metta in servizio” (con ciò intendendosi ogni attività di commercializzazione sul mercato comunitario) “dispositivi medici”, ossia qualsiasi apparecchio destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell’uomo a scopo di terapia o attenuazione di una malattia, privo di certificazione di conformità e della relativa marcatura CE (v. Cass. n. 14276/2007) od in mancanza della prescritta comunicazione dovuta dal produttore al Ministero della salute ai sensi del medesimo D.Lgs. art. 13, comma 3.

Osserva, poi, il collegio che risulta, altresì, errata l’impugnata sentenza nella parte in cui ha escluso la responsabilità concorrente della società emittente televisiva (oggi ricorrente) che aveva proceduto alla televendita promozionale di tale dispositivo, in violazione dello stesso D.Lgs. art. 21.

La più recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 10892/2018), occupatasi di una fattispecie identica relativa alla pubblicizzazione dello stesso tipo di dispositivo (la cui condotta era stata accertata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 44), ha espresso il principio – da cui non si ha alcun motivo per discostarsi secondo cui, in caso di pubblicità televisiva di dispositivi medici in assenza della prescritta autorizzazione ministeriale, nella vigenza della disciplina dettata dal testo unico della radiotelevisione prima che fosse modificato dal citato D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 44, dell’illecito amministrativo rispondono, oltre al produttore del dispositivo, il direttore responsabile della rete televisiva e la società titolare dell’emittente.

Ai fini della presente decisione viene in rilievo la circostanza che gli accertamenti relativi all’illecito in questione risultano essere stati effettuati il 20 gennaio 2010, sicché alla fattispecie deve ritenersi applicabile il testo del D.Lgs. n. 177 del 2005 nella versione vigente dal 1 dicembre 2007 al 29 marzo 2010, prima cioè che intervenissero le modifiche di cui al citato D.Lgs. n. 44 del 2010.

Il citato D.Lgs. n. 177 del 2005, art. 2, in particolare, oltre a fornire al comma 1, lett. a), la definizione di programmi televisivi, ed alla lett. z) la definizione di televendita, cui è stata ricondotta l’attività di pubblicità svolta in assenza di autorizzazione oggetto di causa, alla lett. d) individua la figura del “fornitore di contenuti”, inteso quale soggetto che ha la responsabilità editoriale nella predisposizione dei programmi televisivi o radiofonici e dei relativi programmi-dati destinati alla diffusione anche ad accesso condizionato su frequenze terrestri in tecnica digitale, via cavo o via satellite o con ogni altro mezzo di comunicazione elettronica, e che è legittimato a svolgere le attività commerciali ed editoriali connesse alla diffusione delle immagini o dei suoni e dei relativi dati.

Trattasi di definizione che si attaglia propriamente a descrivere anche la figura del legale rappresentante dell’emittente televisiva, qualità appunto ricoperta all’epoca dei fatti dall’odierno ricorrente (né peraltro la successiva modifica dell’art. 2 ad opera del menzionato D.Lgs. n. 44 del 2010, che oggi alla lett. b) individua come “fornitore di servizi di media”, la persona fisica o giuridica cui è riconducibile la responsabilità editoriale della scelta del contenuto audiovisivo del servizio di media audiovisivo e ne determina le modalità di organizzazione, risulta contraddire la sostanza della norma applicabile alla fattispecie).

Una volta, quindi, da ritenersi sussistente la responsabilità per l’illecito oggetto di causa non solo in capo al produttore del dispositivo medico, ma anche in capo al fornitore dei contenuti (oggi fornitore dei servizi di media), dovendosi reputare che la detta qualità imponga altresì di verificare che i contenuti anche pubblicitari diffusi non violino le norme, anche di rilievo pubblicistico, poste a tutela dell’interesse alla correttezza delle informazioni pubblicitarie di prodotti in grado di incidere sulla salute collettiva, ne deriva l’erroneità della soluzione alla quale è pervenuto il giudice di appello, che ha escluso detta responsabilità in capo al ricorrente, anche nella qualità di legale rappresentante della società titolare dell’emittente televisiva, con riferimento all’accertamento dell’illecito di cui si è discorso.

5. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere accolto, con la conseguente cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale monocratico di Vicenza, in persona di altro magistrato, che si uniformerà al principio di diritto in base al quale – sulla premessa che deve intendersi come “dispositivo medico” rientrante nell’ambito di applicabilità dell’art. 1, comma 2, lett. a), ogni strumento od apparecchio che sia in concreto dotato di una idoneità a produrre effetti terapeutici benefici su uno o più degli apparati od aspetti funzionali dell’organismo umano anche con finalità di riabilitazione fisioterapica – dell’illecito amministrativo ricondotto alla loro pubblicità televisiva in assenza della prescritta autorizzazione ministeriale come prescritta dal D.Lgs. n. 46 del 1997, art. 21, nella vigenza della disciplina dettata dal testo unico della radiotelevisione prima che fosse modificato dal D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 44, rispondono, oltre al produttore del dispositivo, il direttore responsabile della rete televisiva e la società titolare dell’emittente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio al Tribunale monocratico di Vicenza, in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 13 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

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