Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23359 del 19/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/09/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 19/09/2019), n.23359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6191/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

V.S., rappresentato e difeso dall’avv. Gianfranco Perulli,

elettivamente domiciliati presso la cancelleria;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1948/26/14 della Commissione Tributaria

Regionale del Veneto, depositata in data 27/11/2014 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 aprile

2019 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo contro V.S. per la cassazione della sentenza n. 1948/26/14 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, depositata in data 27/11/2014 e non notificata, che, in sede di giudizio di rinvio, ha accolto parzialmente l’appello del contribuente, limitando la somma da rimborsare ad Euro 14.439,59, pari alla maggiore imposta pagata in occasione della liquidazione del t.f.r., in controversia concernente l’impugnativa del silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso della maggiore irpef non dovuta, trattenuta dal datore di lavoro (C.N.R.) in sede di liquidazione e corresponsione del trattamento di fine rapporto di lavoro;

2. la fattispecie trae origine dal rapporto di lavoro dipendente che il ricorrente ha intrattenuto presso il C.N.R. dal 1 febbraio 1971 al 30 giugno 2002;

per disposizione del D.P.C.M. 8 giugno 1946, gli accantonamenti annuali per il t.f.r. venivano investiti in B.P.F. cointestati al Presidente dell’Ente ed al lavoratore dipendente;

la normativa fiscale regolante la materia prevedeva, inizialmente, l’esenzione dei B.P.F. da ogni tassazione e, successivamente, dei soli interessi, assoggettati anch’essi a tassazione dal 1986;

3. il ricorrente sostiene che il C.N.R. avrebbe illegittimamente assoggettato a tassazione, con l’aliquota del 30,82%, l’importo per gli interessi sui B.P.F., per un’imposta pari ad Euro 35.577,60;

secondo il ricorrente, l’amministrazione postale avrebbe proceduto a tassare gli interessi maturati sui B.P.F. al momento dell’incasso da parte del dipendente, per cui sugli stessi il datore di lavoro non avrebbe dovuto operare alcuna ritenuta alla fonte;

4.con la sentenza impugnata, la C.T.R. del Veneto (di seguito C.T.R.), ha ritenuto che “non avendo il contribuente nè detto, nè dimostrato, che le cedole debbano essere ancora incassate, (sono state consegnate il 30/6/2002), si ritiene che abbiano scontato l’aliquota del 12,50% allora vigente”;

5. a seguito del ricorso, V.S. resiste con controricorso;

6. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 30 aprile 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

7. il controricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con l’unico motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., del D.L. n. 556 del 1986, artt. 1 e 2, conv. dalla L. n. 759 del 1986, del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16 e 17, del D.L. n. 138 del 2011, art. 2, comma 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

1.2. il motivo è fondato e va accolto;

1.3. con la sentenza n. 8831/2014, la Cassazione, nel cassare la sentenza di appello, rinviando nuovamente il giudizio alla C.T.R., ha statuito: “Va, in primo luogo, affermato che, come già precisato da questa Corte, “in tema di imposte sui redditi, i buoni postali fruttiferi e i relativi interessi, compresi quelli emessi dopo il 20 settembre 1986 (che sono assoggettati alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta sugli interessi introdotta dal D.L. 19 settembre 1986, n. 556, convertito nella L. 17 novembre 1986, n. 759), corrisposti al dipendente dal C.N.R., quale datore di lavoro, al termine del rapporto di lavoro e a titolo di trattamento di fine rapporto, sono assoggettati alla relativa tassazione stabilita dal D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16 e 17. Infatti, ai sensi di tali disposizioni, il trattamento di fine rapporto e le indennità equipollenti, comunque denominate, sono soggetti, con tassazione separata, all’imposta sul reddito delle persone fisiche, applicabile anche quando detto trattamento non venga corrisposto interamente in denaro ma, anche solo in parte, attraverso la consegna di buoni postali fruttiferi (con i relativi interessi) nei quali il datore di lavoro abbia investito i contributi accantonati per il trattamento di quiescenza del personale dipendente, al fine di conservare il potere di acquisto delle somme a tale scopo destinate”; la stessa Corte ha poi soggiunto e precisato che “è da escludere che, qualora detta ritenuta sia stata applicata sugli interessi eventualmente riscossi dal datore di lavoro (nella specie, C.N.R.), nel periodo di tempo in cui i titoli sono rimasti nella sua disponibilità e prima della loro consegna al dipendente alla cessazione del rapporto di lavoro, si configuri un’ipotesi di illegittima duplicità di imposizione sugli interessi medesimi (ritenuta alla fonte a titolo di imposta e tassazione separata sull’indennità di fine rapporto, comprensiva di detti interessi, corrisposta al dipendente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro)” (Cass. 19598/2005, v. anche 24203/2008; 451/2013; 17987/2013). La stessa Corte, tuttavia, ha anche rilevato la diversità di ragionamento che deve essere svolto con riferimento all’ipotesi in cui sui B.P.F., emessi dopo il 20-9-1986 e consegnati al dipendente a titolo di T.F.R., siano maturati interessi non riscossi dal C.N.R. e siano stati quindi ricompresi nel conteggio complessivo del T.F.R. senza avere ancora scontato la ritenuta a titolo di imposta; in tale ipotesi,-sulla quale la C.T.R. non ha fatto chiarezza (e che costituisce accertamento ineludibile al fine della corretta applicazione delle su menzionate disposizioni di legge alla fattispecie in questione), “al fine di evitare una illegittima duplice imposizione sugli interessi (a titolo di ritenuta di imposta e di tassazione sul trattamento di fine rapporto), la tassazione in sede di liquidazione di detto trattamento non può che essere limitata all’eventuale differenza tra l’aliquota applicata su tutta la indennità e quella relativa alla ritenuta a titolo di imposta operata sugli interessi dei buoni postali fruttiferi – direttamente nei confronti del dipendente, a cui i titoli sono stati consegnati dall’ente datore di lavoro in adempimento dell’obbligo di corresponsione della indennità medesima – al momento dell’incasso dei titoli e della riscossione degli interessi stessi” (Cass. 19598/2005); su tale punto, pertanto, il Giudice di merito dovrà rivalutare la situazione concreta accertando l’ipotesi verificatasi nella fattispecie in questione ed eventualmente procedere al calcolo di quanto dovuto”;

nel caso di specie, la C.T.R., dopo aver precisato che i limiti del suo sindacato erano relativi alla verifica dell’importo consegnato al contribuente come interessi non ancora riscossi dal datore di lavoro ed al calcolo dell’eventuale maggiore imposta versata, ha concluso nel senso di ritenere che la prova dell’incasso degli interessi da parte del dipendente derivasse dal silenzio tenuto sul punto da quest’ultimo e dal lungo lasso di tempo trascorso dalla consegna dei titoli, avvenuta il 30/6/2002;

il giudice di rinvio, quindi, considerando l’intero importo degli interessi maturati sulle cedole consegnate al dipendente (di Euro 115.436,74), ha applicato su tale ammontare l’aliquota del 12,50% (pari ad Euro 14.439,59), ritenendo che fosse corrispondente alla maggiore imposta pagata dal dipendente in occasione della liquidazione del T.F.R.;

in tal modo, la C.T.R., contravvenendo al principio che il contribuente, che chieda il rimborso della maggiore imposta versata, abbia l’onere di dimostrare di averne diritto, ha anche eluso il dictum della Corte, che aveva demandato al giudice di rinvio la verifica della fattispecie concreta, ai fini dell’individuazione della disciplina normativa applicabile, ritenendo significativo, in mancanza di ulteriori elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, il semplice silenzio del contribuente, unitamente al decorso del tempo;

di conseguenza, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.T.R. del Veneto, in diversa composizione, perchè provveda al nuovo esame della fattispecie, liquidando anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2019

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