Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23352 del 09/11/2011

Cassazione civile sez. II, 09/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 09/11/2011), n.23352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso r.g.n. 4870/2006 proposto da:

D.A. (c.f. (OMISSIS)); D’.Au.

(c.f. (OMISSIS)); M.M. (c.f.

(OMISSIS)), il secondo e la terza eredi di D.

F. parti tutte rappresentate e difese dall’avv. Bussa Andrea ed

elettivamente domiciliate presso lo studio del medesimo in Roma,

viale Glorioso 13, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.C.M. (c.f. (OMISSIS)) rappresentata e

difesa dall’avv. Caradonna Gianfranco ed elettivamente domiciliata

presso l’avv. Piero Conti con studio in Roma, via Filippo Nicolai 16

– int. A – giusta procura a margine del controricorso;

– contro ricorrente –

nonchè nei confronti di:

D.R., CF: (OMISSIS); C.L.;

C.M.;

– intimati-

avverso la sentenza 812/05 della Corte d’Appello di L’Aquila,

pubblicata il 26/09/05 e notificata il 7/12/2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

13/10/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito il procuratore delle parti ricorrenti avv. Andrea Bussa, che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.M.C. citò gli zii paterni A., M. L. e D.F., tutti figli di D’.Ag.

(o Au.), a sua volta figlio di D.G.A., nonchè D.R. affinchè venisse dichiarata la nullità o comunque l’inefficacia della compravendita intervenuta tra i primi ed il secondo, di un terreno di 1658 mt in (OMISSIS) ed al rilascio del medesimo nonchè al risarcimento dei danni, assumendo che l’atto traslativo sarebbe stato viziato perchè vi avrebbero preso parte solo alcuni dei comproprietari, ad eccezione di essa esponente che ripeteva il proprio titolo dalla successione – per rappresentazione del padre D. – dal comune avo D. G.A.; evidenziò al proposito che lo scioglimento di siffatta comunione aveva dato origine ad un giudizio divisionale che aveva visto l’assegnazione del cespite controverso agli zii senza però che del procedimento di assegnazione fosse stata data notizia ad essa attrice, colà rimasta contumace, di tal che l’ordinanza di assegnazione a seguito di estrazione a sorte dei lotti, impugnata ex art. 111 Cost., era stata annullata nel 1997, con rinvio al Tribunale.

I convenuti – ad eccezione degli eredi di D.M.L.:

L. e C.M., resistettero alla domanda rilevando: che il giudizio divisionale non era ancora stato concluso in sede di rinvio; che l’attrice non sarebbe stata legittimata all’azione in quanto il comune avo avrebbe liquidato la quota di legittima spettante a tre dei suoi sei figli ( D., padre dell’attrice, T. ed An.), così che legittimamente aveva disposto dei restanti beni in favore di A., M. L. e F., con una donazione avvenuta nel 1946, oramai inoppugnabile: essendo stato escluso, il padre dell’attrice, da detta donazione, la congiunta, allora attrice, non avrebbe potuto avanzare diritti su beni – quale quello in seguito venduto a D. R. – già usciti dal patrimonio dell’avo a seguito dell’atto di liberalità.

Il Tribunale di L’Aquila, ritenendo fondate le eccezioni dei convenuti, respinse la domanda con sentenza n. 162/2001.

La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza n. 812/2005, riformò tale decisione a seguito di una diversa interpretazione dell’oggetto dell’atto di donazione del 1946, ritenendo che lo stesso non riguardasse l’intero immobile bensì solo i tre quarti dell’intero, con la conseguenza che, essendo caduto il residuo quarto nella successione di D.G.A., ad essa avrebbe avuto diritto di partecipare il padre dell’appellante e quindi anche la medesima, per rappresentazione del primo.

La Corte di merito condannò pertanto gli appellati alla restituzione del bene ma escluse, siccome non provato, il risarcimento del danno richiesto dall’appellante. La Corte distrettuale pervenne a tale decisione osservando: a – che la particolare articolazione lessicale usata dal donante “dona irrevocabilmente … la nuda proprietà, riservandosi esso donante l’usufrutto vita sua naturale durante, dei tre quarti dell’intero dei seguenti immobili” e in particolare la cesura logica data dalla interpunzione , non avrebbe consentito di interpretare l’atto – come invece sostenuto dagli appellati- nel senso che la limitazione attenesse alla riserva di usufrutto; b – che a riprova di ciò non sarebbe risultata la volontà del donante di escludere gli altri legittimari dalla propria successione , tanto più che la donazione stessa sarebbe stata fatta a titolo di legittima e, per il supero, sulla disponibile, specificazione che non avrebbe avuto senso se il donante si fosse spogliato integralmente dei propri beni; c – che la conservazione, in mano del donante, della restante parte del patrimonio, non sarebbe stata in logico contrasto con l’obbligazione, assunta dai donatari, di provvedere all’assistenza ed ai bisogni del genitore; d – che la successiva compravendita, avendo ad oggetto un bene caduto in successione, senza la partecipazione di uno dei comproprietari (l’attuale appellata, per rappresentazione del padre premorto), avrebbe determinato l’insorgenza di un vizio genetico negoziale, incidente sulla formazione del consenso. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso D.A. e i due eredi di D. F.: D’.Au. e M.M., facendo valere due motivi; ha resistito con controricorso D.C.M.;

non hanno svolto difese D.R.; L. e C.M.; entrambe le parti costituite hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Il Procuratore generale in udienza ha concluso per la inammissibilità del ricorso in quanto nello stesso sarebbero state esposte congiuntamente censure attinenti a vitia in procedendum ed a errores in judicandum, rendendo incerto il contenuto dell’impugnazione: ritiene la Corte che l’eccezione non sia condivisibile in quanto non si ravvisa alcuna contraddizione logica che incida sulla comprensione del contenuto dei motivi – nè tanto meno del ricorso mettendo ovviamente in relazione l’intestazione delle censure con il loro contenuto.

2 – Con il primo motivo viene denunziata la violazione o falsa applicazione di norme di diritto indicate, solo nel corpo della censura, con riferimento: alle regole di ermeneutica – art. 1362 c.c., comma 1; alle disposizioni sulla nullità dei contratti derivante dalla mancanza di consenso art. 1325 c.c., n. 1 e art. 1418 cod. civ.; all’interesse ad agire art. 100 c.p.c. – pendendo il giudizio sulla divisione.

3 – I ricorrenti portano a sostegno della censura innanzi tutto un’erronea delibazione del contenuto dell’atto di donazione, sostenendo che, laddove la Corte di Appello aveva letto “tre quarti dell’intero” una corretta analisi dei caratteri grafici avrebbe imposto di leggere “tre parti dell’intero”; deducono poi l’incongruenza logica nel supporre donati solo i tre quarti dell’intero, a fronte della riserva di usufrutto, che non avrebbe avuto senso se il donante si fosse riservato (in piena proprietà) anche una quarta parte del compendio; assumono altresì i ricorrenti che la precisione con cui i beni donati sarebbero stati identificati, con riferimento alle persone dei soli tre fratelli Ag.

P. e Ca., avrebbe portato ulteriore argomento per la patrocinata, diversa interprelazione.

Le suesposte censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

3/a – Sono inammissibili allorchè viene dedotta una violazione della norma di ermeneutica che impone di interpretare il contenuto del negozio sulla base della volontà espressa dalla lettera dello stesso, in quanto, i tre aspetti messi in evidenza non attengono alla astratta interpretazione della norma quanto piuttosto all’argomentazione svolta dalla Corte; giova poi rilevare che esula dal controllo di legittimità la delibazione della corrispondenza della realtà fattuale a quella descritta nella motivazione della sentenza, non senza omettere di sottolineare che il preteso errore interpretativo riguardante il termine “parti”, da sostituire a quello di “quarti”, mal si sarebbe conciliato con l’uso dell’articolo determinativo maschile “i” concordato con quest’ultimo termine.

3/b – Non si rinviene poi nel motivo in esame alcun apporto argomentativo a sostegno della pretesa contraddizione logica in cui sarebbe incorso il giudice dell’appello nel ritenere – sostanzialmente – compatibile tra la riserva di usufrutto e la limitazione della donazione a tre parti/quote dell’intero.

3/c – Di nessun pregio – nella prospettiva della specificità dei motivi del ricorso – è infine la sottolineatura dell’analitica indicazione dei beni donati.

3/d – Consegue dalle considerazioni svolte la infondatezza delle censure attinenti alla violazione delle norme sulla nullità dei contratti per carenza di una delle parti necessarie del negozio traslativo.

4 – Del pari inammissibile è la censura relativa alla carenza di interesse della contro ricorrente alla pronunzia in questione -in ragione del fatto che sarebbe ancora in corso il giudizio di divisione – dal momento che, non sussistendo alcun nesso di pregiudizialità in senso tecnico tra la presente causa ed il giudizio divisionale, l’interesse all’accoglimento della domanda agita in questa sede permane intatto alla luce delle accolte premesse.

5 – Con il secondo motivo si deduce un vizio di motivazione – sotto il profilo della insufficienza – in relazione alla erronea interpretazione della donazione del 1946- e della omessa valutazione dell’eccezione di novità di causa petendi posta a base dell’appello avversario, facente leva su due circostanze nuove rispetto a quelle poste a base delle difese esposte in primo grado, vale a dire l’esistenza di una scrittura privata del 1952, avente ad oggetto la divisione in quattro parti uguali del patrimonio paterno effettuata dai quattro fratelli P., Ca., Au. e D. e la pretesa usucapione da parte di D.D. – padre dell’appellante del predio in contestazione.

5/a – Il motivo è inammissibile in quanto le due circostanze sopra indicate non sono state neppure menzionate – e men che mai utilizzate – nella decisione.

6 – Le spese seguono la soccombenza e vanno pertanto poste a carico delle parti ricorrenti.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile della Corte di Cassazione, 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2011

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