Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23351 del 24/08/2021

Cassazione civile sez. II, 24/08/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 24/08/2021), n.23351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23987-2019 proposto da:

A.J., rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO

ALESSANDRINI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

nonché contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI BARI;

– resistente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 1629/2019 del TRIBUNALE di

L’AQUILA, depositato il 14/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. A.J. ha proposto ricorso, sulla scorta di quattro motivi; per la cassazione del decreto con cui il tribunale di L’Aquila, Sezione specializzata in materia di Protezione Internazionale, gli ha negato, confermando il provvedimento della Commissione. Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona, il riconoscimento dello status di rifugiato, richiesto in via principale, nonché la protezione sussidiaria e quella umanitaria, richieste in via gradatamente subordinata.

Il tribunale di L’Aquila, dopo un’ampia premessa sui presupposti per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione internazionale invocate e sul ruolo attivo richiesto all’autorità amministrativa e al giudice dell’impugnazione nell’istruzione di tali domande, ritiene che la vicenda narrata dall’odierno ricorrente non integri gli estremi per il riconoscimento di alcuna protezione internazionale. Il ricorrente afferma, infatti, di aver lasciato la (OMISSIS), suo Paese di provenienza, nel novembre 2016 a seguito di violenze e minacce perpetrate dai suoi familiari nei confronti della propria compagna e suoi. Il sig. A. professa, come tutta la sua famiglia, la religione (OMISSIS). Conosciuta la propria attuale compagna, anche lei di religione (OMISSIS), e manifestata la volontà di sposarla, organizza un incontro tra le rispettive famiglie, entrambe (OMISSIS). In occasione di quell’incontro il patrigno della ragazza rivela al padre dell’odierno ricorrente che il vero padre della giovane, mai conosciuto da costei, professava il credo musulmano. I familiari del ricorrente negano per tale ragione l’assenso al matrimonio e, una volta che la coppia aveva avviato la convivenza, si recano nella casa e picchiano la donna fino a farla abortire. Tale situazione – induce la coppia ad abbandonare la (OMISSIS), affidando le figlie alla nonna materna, sperando un giorno di potere in Italia ricostituire il nucleo familiare. Prima di arrivare in Italia, il ricorrente afferma di aver soggiornato per circa sette mesi in Libia. Il Tribunale rileva, in primo luogo, che il sig. A. non ha supportato in alcun modo la narrazione, non producendo i certificati medici attestanti il ricovero in ospedale della donna e la nascita delle figlie. La vicenda appare inoltre scarsamente plausibile poiché non si comprende la ragione per la quale il padre del ricorrente avrebbe dovuto non accettare la ragazza sol perché figlia naturale di un uomo di religione musulmana. In ogni caso, anche a voler credere alla narrazione, non sussistono gli elementi per riconoscere la protezione internazionale: non ricorre una situazione di fatto integrante persecuzione per motivi religiosi ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, perché a ben vedere la domanda è presentata da un soggetto che non ha subito alcuna persecuzione, essendo volte le attenzioni dei familiari alla sua compagna, la quale pure non può dirsi a stretto rigore perseguitata per motivi religiosi, essendo lei rimasta libera di professare la propria fede, ossia la fede (OMISSIS). La situazione che occorre è piuttosto quella di un padre che contrasta il matrimonio del figlio.

Deve altresì escludersi il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, pOiché il ricorrente non è stato condannato a morte né rischia l’esecuzione della pena capitale, così come non risulta dal racconto che abbia subito torture o trattamenti inumani. I rischi paventati dal ricorrente non hanno nulla a che fare con una situazione di conflitto che genera un clima di violenza indiscriminata, avendo il sig. A. dichiarato di temere di far ritorno in (OMISSIS) per il pericolo di incorrere nelle violenze dei propri familiari. In ogni caso, per fugare ogni dubbio, il tribunale riporta un frammento del rapporto COI redatto dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Roma Tre” del maggio 2018, dal quale risulta che le violenze diffuse nella zona del (OMISSIS) erano per lo più rivolte al sabotaggio d’impianti petroliferi. Il Collegio esclude, infine, la protezione umanitaria, poiché i gravi motivi umanitari devono correlarsi alla vicenda personale del richiedente ai fini della concessione della stessa. Nel caso di specie, pur risultando dal rapporto annuale di Amnesty International 2017-2018 sullo stato della: (OMISSIS) diffuse violazioni dei diritti umani ed episodi di torture e maltrattamenti, non sussiste una condizione di vulnerabilità del ricorrente, la cui storia personale non è segnata da episodi di confronto-scontro con le criticità dell’impianto democratico del Paese di provenienza. Si esclude, altresì, che il richiedente abbia intrapreso un serio percorso d’integrazione in Italia e che, in caso di rientro in (OMISSIS), vedrebbe compromesse la propria dignità e il diritto ad un’esistenza libera.

Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″ il sig. A.J. deduce l’omessa motivazione circa uno dei motivi di impugnazione e/o fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria e/o umanitaria da parte dell’odierno ricorrente in quanto soggetto richiedente protezione proveniente dalla Libia. Il tribunale ha infatti valutato esclusivamente la situazione del Paese d’origine, la (OMISSIS); e non anche quella del Paese di provenienza, la Libia, trascurando che il sig. A. non era semplicemente transitato dalla Libia – per giungere in Italia ma vi aveva abitato, recidendo i legami con la (OMISSIS). La Commissione Territoriale e il tribunale, preso atto che l’ultima dimora dell’odierno ricorrente era stata la Libia e che a causa della guerra civile egli aveva perso tutto, compreso il lavoro, avrebbero dovuto esaminare la richiesta di protezione prendendo in considerazione non soltanto la situazione sociopolitica della (OMISSIS) ma anche quella della Libia, che come risulta da un frammento riportato tratto da un documento dell’UNHCR è caratterizzata da una continua mancanza di stato di diritto e di ordine.

Con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. A.J. deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a), b), c), , per avere il tribunale escluso la sussistenza di un danno grave, potendo il ricorrente avvalersi della protezione offerta dal Paese d’origine. Al contrario, avendo il richiedente rappresentato una situazione di grave pericolo per l’incolumità personale propria e della propria compagna, sussisterebbero le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui alla lett. b), in quanto il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 5 elenca tra i possibili responsabili del danno grave anche soggetti non statuali, allorché gli organi statuali interni o internazionali non siano in grado di fornire una protezione adeguata, alla stregua dell’art. 6 stesso decreto. Non rileva, dunque, da chi proviene il rischio di danno grave, bensì se lo Stato sia in grado di garantire tutela alle vittime della violenza, profilo che il tribunale ha totalmente omesso di approfondire. Si contesta, altresì, la negazione dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria di cui al cit. art. 14, lett. c), richiamando un rapporto di Amnesty Intetnational del 2014-2015 attestante violenze e conflitti su tutto il territorio (OMISSIS).

Con il terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. A.J. deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, per avere il tribunale apoditticamente escluso che la (OMISSIS) sia interessata da fenomeni di violenza indiscriminata, derivanti da conflitti armati, senza procedere ai doverosi accertamenti sulla situazione generale del Paese secondo quanto previsto dal citato articolo. Parte ricorrente cita vari precedenti dello stesso tribunale di L’Aquila, i quali hanno riconosciuto a cittadini (OMISSIS) per lo più provenienti dall'(OMISSIS) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), in base proprio alle precarie condizioni di sicurezza della (OMISSIS), contestando dunque la difformità di orientamenti giurisprudenziali in ordine a situazioni identiche. Nel caso di specie, dunque, il tribunale avrebbe violato i propri doveri istruttori officiosi, trascurando di esaminare la situazione attuale ed effettiva del Paese d’origine del richiedente.

Con il quarto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. A.J. deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, nonché dell’art. 10 della direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27, in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 e art. 19, comma 1, all’art. 2 Cost. e all’art. 3 CEDU, nella parte in cui il tribunale nega il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il tribunale, in merito alla richiesta di protezione umanitaria, ha omesso di considerare l’integrazione sociale dello straniero, da valutare unitamente allo specifico e concreto rischio di veder compromessi i propri diritti umani in caso di rientro in (OMISSIS). Quali indici del percorso di integrazione rilevano l’inserimento nel mondo del lavoro, la formazione linguistica, l’accesso all’istruzione, la disponibilità di un alloggio e altri ancora. Il raggiungimento di un livello di integrazione sociale, personale e lavorativa nel Paese d’accoglienza deve costituire un elemento nella valutazione comparativa cui è chiamato il giudice, sicché il tribunale di L’Aquila, omettendo di valutare tale profilo, ha trascurato una circostanza che concorre a delineare la situazione di vulnerabilità personale, che costituisce il presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il Ministero dell’Interno non ha depositato controricorso, ma un mero atto di costituzione.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 7 ottobre 2020, per la quale non sono state depositate memorie.

Il sig. A.J. è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Il primo motivo, relativo all’omessa motivazione sulla richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria e/o umanitaria da parte del sig. A. in quanto proveniente dalla Libia, è da rigettare, per il principio che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani; senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (2861/18, 31676/18, 10835/20); nella specie il ricorrente non riferisce di aver dedotto, in sede di merito, circostanze relative al suo soggiorno in Libia la cui prospettazione determinasse l’insorgenza del dovere di cooperazione istruttoria del tribunale (cfr. Cass. ord. n. 2355/2020: “il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte”).

Il secondo motivo va giudicato inammissibile, perché non si confronta con il giudizio del tribunale di scarsa credibilità del racconto. La questione dell’efficienza della polizia risulta infatti irrilevante, nella prospettiva della protezione internazionale, alla luce della statuizione, non efficacemente censurata, di inattendibilità della narrazione fornita dal richiedente in ordine alle minacce asseritamente subite da lui e dalla sua compagna.

Il terzo motivo, relativo al diniego di protezione ex art. 14, lett. c), è inammissibile; il tribunale ha fondato il proprio giudizio sulle c.o.i offerte dal report dell’Università Roma Tre del maggio 2018, che il ricorrente pretende di confutare non con altre c.o.i. più aggiornate, ma con precedenti giurisprudenziali difformi.

Anche il quarto motivo, relativo al diniego della protezione umanitaria, è inammissibile. La decisione del tribunale risulta infatti fondata sulla duplice considerazione che, per un verso, il sig. A. non avrebbe patito, rientrando in (OMISSIS), alcuna effettiva compromissione della sua dignità e del proprio diritto ad un’esistenza libera e, per altro verso, che il medesimo non aveva intrapreso un serio percorso d’integrazione in Italia (non essendo al riguardo sufficiente la presenza in Italia della di lui compagna, anch’ella in attesa dell’esame della richiesta di protezione). Si tratta di un apprezzamento di fatto che il ricorrente non ha censurato sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi, essendosi limitato ad un’enunciazione astratta degli indici di inserimento che si risolve in una richiesta di riesame del merito.

Il ricorso è rigettato.

Nulla per le spese, non avendo il Ministero sostanzialmente espletato attività difensiva. Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021

 

 

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