Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23351 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 23/10/2020), n.23351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8158-2019 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GUALTIERO

SERAFINO n. 8, presso lo studio dell’avvocato ALDO CAMAIONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO CALABRO’;

– ricorrente –

contro

TIM – TELECOM ITALIA SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA DELLA CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

BIAGIO RICCARDO MAROTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 620/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Messina, con sentenza n. 620 pubblicata il 13.9.2018 ha respinto l’appello di R.S. confermando la decisione di primo grado con cui era stata rigettata la domanda di condanna della società datoriale Telecom Italia spa al pagamento di differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori;

2. la Corte territoriale ha dato atto di come fosse pacifico in causa che il lavoratore, inquadrato nel V livello del CCNL Telecomunicazioni, avesse svolto da luglio 2007 a febbraio 2009 le mansioni di “Coordinatore di Attività Operative”, successivamente quelle di “Addetto Competence Team” e da maggio 2919 il ruolo di “Specialista Attività tecniche”; ha ritenuto che tali mansioni fossero riconducibili al livello di inquadramento, anche in ragione del fatto che il predetto aveva operato presso la struttura “(OMISSIS)” sede di (OMISSIS) e poi presso la “(OMISSIS)”, che non avevano le caratteristiche di “settore operativo” a cui il contratto collettivo collegava l’inquadramento nel VI livello;

3. avverso tale sentenza R.S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso Telecom Italia spa;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. col primo motivo del ricorso R.S. ha dedotto violazione o falsa applicazione del CCNL 23 ottobre 2009, art. 23, contenente la declaratoria del VI livello nonchè dell’art. 1363 c.c.;

6. ha sostenuto come la Corte d’appello avesse valorizzato uno solo dei tratti caratterizzanti il VI livello contrattuale, cioè l’essere il dipendente addetto ad un “settore operativo”, e trascurato gli altri elementi, senza neppure ammettere le prove testimoniali articolate fin dal ricorso introduttivo di primo grado e idonee a dimostrare il possesso da parte del R. di “elevata e consolidata preparazione”, “di particolare capacità professionale e gestionale” oltre che il livello di complessità dell’attività svolta “con facoltà di decisione ed autonomia di iniziativa”, costituenti ulteriori elementi caratterizzanti il profilo rivendicato;

7. col secondo motivo il ricorrente ha denunciato violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., per avere la Corte di merito adottato una interpretazione esclusivamente letterale del CCNL, art. 23, senza indagare la comune intenzione delle parti anche attraverso il comportamento complessivo di parte datoriale; in particolare, senza valutare che il dipendente che aveva svolto il medesimo incarico prima del R. era inquadrato addirittura nel VII livello del CCNL mentre tutti gli altri lavoratori adibiti alle identiche mansioni in altre sedi erano inquadrati nel VI livello, come emerso anche dall’informativa sindacale acquisita nel giudizio di primo grado; ha aggiunto come fosse errata anche l’interpretazione letterale del termine “settore” che indica un ambito o campo di una determinata attività e che deve intendersi come comprensivo della struttura centrale e di quelle territoriali;

8. col terzo motivo di ricorso è censurata la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 1368 c.c., comma 1, che impone di interpretare le clausole ambigue secondo ciò che si pratica nel luogo di conclusione del contratto; parte ricorrente osserva che se si fa riferimento alla sua sede di lavoro, deve rilevarsi come il suo predecessore fosse inquadrato nel VII livello; se si fa riferimento ad altre sedi, i dipendenti ad esse addetti sono inquadrati nel VI livello, il che conferma come la società datoriale riconoscesse generalmente a chi svolgeva il ruolo di “Coordinatore” almeno il VI livello contrattuale;

9. il ricorso è improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c.;

10. occorre premettere che, secondo l’indirizzo consolidato, la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicchè anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 c.c., ss.), come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, nè del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (Cass. n. 6335 del 2014; n. 13860 del 2019);

11. questa Corte (Cass. n. 10434 del 2006; n. 14461 del 2006; n. 8037 del 2007; n. 3027 del 2009; n. 16295 del 2010 in motivazione) ha precisato come “l’interpretazione di una clausola di un contratto collettivo non può operarsi compiendo un esame parziale della stessa e tralasciando l’esame delle altre clausole con cui essa si integra e vicendevolmente si completa, anche in relazione all’esigenza della contrattazione in questione di apprestare una disciplina competa della realtà lavorativa del settore che è chiamata a regolare. Infatti nella contrattazione collettiva la comune intenzione delle parti non sempre è ricostruibile attraverso il mero riferimento “al senso letterale delle parole”, atteso che la natura di detta contrattazione sovente articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale etc.), la vastità e la complessità della materia trattata in ragione dell’interdipendenza di molteplici profili della posizione lavorativa (che sovente consigliano alle parti il ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione tra parti private come preambolo, premesse, note a verbale etc.), il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi che rendono indispensabile nella materia una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici che tenga conto di detta specificità, con conseguente assegnazione di un preminente rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 c.c.”;

12. proprio l’esigenza di una interpretazione complessiva delle clausole, presupposto per la ricostruzione della comune volontà delle parti, secondo i criteri invocati dalla stessa parte ricorrente, richiede l’esatto adempimento degli oneri di cui all’art. 369 c.p.c.;

13. secondo l’indirizzo consolidato (cfr. Cass. n. 4350 del 2015; n. 6255 del 2019), nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.;

14. nel caso di specie, il ricorrente, pur denunciando la violazione di disposizioni del CCNL telecomunicazioni e degli artt. 1363,1362 e 1368 c.c., ha omesso di depositare in allegato al ricorso per cassazione il contratto collettivo invocato e neppure ha indicato il luogo in cui esso fu depositato nei gradi di merito (Sezioni Unite, n. 25038/2013); nè può considerarsi sufficiente, in relazione alla funzione nomofilattica della S.C., la trascrizione nel corpo del ricorso del solo CCNL, art. 23, contenente la declaratoria del VI livello (nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la difesa di parte ricorrente ha precisato che “all’interno del fascicolo di 2 grado è stato allegato il fascicolo di 1 grado nel cui – Indice atti – al punto 5, lett. e), figura – Estratto CCNL -“; tali precisazioni non smentiscono i rilievi sopra svolti ma al contrario confermano il mancato rispetto degli oneri di cui all’art. 369 c.p.c., per l’omesso deposito del testo integrale del CCNL unitamente al ricorso per cassazione, risultando peraltro lo stesso prodotto nei gradi di merito solo “per estratto”;

15. per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato improcedibile;

16. le spese di lite sono regolate secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

17. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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