Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23351 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 06/10/2017, (ud. 19/06/2017, dep.06/10/2017),  n. 23351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 415/2010 R.G. proposto da:

GESTIONE SERVIZI PENNACCHI, in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, P.E., rappresentata e

difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Luigi

Ciotti presso il cui studio legale in Roma, alla via A. Chinotto, n.

1, è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

Sezione staccata di Latina, n. 787/39/2008, depositata in data 19

dicembre 2008;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 giugno

2017 dal Cons. Lucia Luciotti.

Fatto

PREMESSO

– che sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. a seguito verifica fiscale condotta nei confronti della società contribuente, l’Agenzia delle entrate emetteva avviso di rettifica della dichiarazione ai fini IVA relativamente all’anno 1990, contestando la mancata riduzione della detrazione d’imposta, in presenza di operazioni esenti costituite da addebiti di interessi risultanti da sei fatture non assoggettate ad IVA D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10, che non erano state tenute in considerazione per il calcolo del cd. “pro rata”, ai fini della determinazione della percentuale di indetraibilità dell’imposta ai sensi dell’art. 19, commi 3 e 4 citato decreto;

– che l’atto impositivo veniva annullato dalla CTP di Roma, con sentenza n. 357/03/1996, confermata dalla CTR con sentenza 219/14/1998, che però, su ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, veniva cassata con rinvio da questa Corte con sentenza n. 8264 del 2002 e che la successiva sentenza n. 872/40/2004 emessa dalla CTR in sede di rinvio, dichiarativa dell’estinzione del giudizio conseguente ad una irregolare notifica dell’atto di riassunzione, veniva nuovamente cassata con rinvio da questa Corte con sentenza n. 7970 del 2007;

– che la CTR laziale, chiamata nuovamente a pronunciarsi in sede di rinvio, con la sentenza impugnata n. 787/39/2008 ha accolto l’originario appello proposto dall’amministrazione finanziaria avverso la sentenza della CTP di Roma, sostenendo, per quanto ancora qui di interesse, in relazione alla dichiarazione integrativa di condono presentata dalla società contribuente ai sensi della L. n. 431 del 1991, artt. 49 e 51 che la stessa non potesse considerarsi “operante e produttiva di effetti, attesa la presenza di errori materiali e di calcolo, quali errati riporti di credito ed erroneo calcolo del pro-rata” e, nel merito, che “le operazioni eseguite per addebito di interessi”, risultanti dalle sei fatture contestate, non potevano ritenersi “nè accessorie nè occasionali alle operazioni imponibili”, nè era provato che costituissero rimborso di anticipazione di somme fatte in nome e per conto della controparte, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 15,comma 1, n. 3, ma, costituendo “finanziamento alle società del Gruppo”, andavano considerate ai fini del calcolo della riduzione della detrazione ex art. 19, comma 3 D.P.R. citato, nella versione applicabile ratione temporis;

– che avverso tale statuizione la società ricorrente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso e ricorso incidentale, la ricorrente replicando con controricorso e con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

– che con il primo motivo di ricorso principale viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 49 sostenendosi che la CTR ha escluso l’operatività del condono L. n. 413 del 1991, ex art. 49 che rendeva definitiva la dichiarazione IVA sulla rilevata “presenza di errori materiali e di calcolo, quali errati riporti di credito ed erroneo calcolo del pro-rata”, posto che la dichiarazione di estinzione del giudizio a seguito di adesione al predetto condono è preclusa, secondo la prospettazione di parte ricorrente, nella sola ipotesi prevista dal citato art. 49, comma 2;

– che, come reso evidente anche dal quesito che accompagna il motivo di ricorso ex art. 366 bis c.p.c., vigente ratione temporis, in cui la ricorrente domanda a questa Corte “se sia nulla la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che, nonostante l’eccezione in tal senso del contribuente, in presenza di dichiarazione integrativa di condono non abbia dichiarato l’estinzione del procedimento pur non avendo acclarato la sussistenza delle ipotesi di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 49, comma 2”, il motivo è inammissibile in quanto maschera sotto la dedotta violazione di legge quello che all’evidenza è vizio motivazionale, censurandosi l’affermazione dei giudici di appello secondo i quali la “presenza di errori materiali e di calcolo, quali errati riporti di credito ed erroneo calcolo del pro-rata” precludesse l’operatività della dichiarazione integrativa presentata dalla società contribuente;

– che è inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, in quanto la ricorrente, pur prospettando, questa volta correttamente, il vizio motivazionale della sentenza impugnata per avere la CTR omesso ogni motivazione in ordine agli asseriti errori invalidanti della dichiarazione integrativa L. n. 413 del 1991, ex art. 49ha trascurato di formulare il c.d. “momento di sintesi” previsto dall’art. 366 bis c.p.c. vigente ratione temporis; che non può individuarsi nell’affermazione conclusiva dei motivo (pag. 10 del ricorso) non essendo in essa esplicitati chiaramente il fatto controverso e le ragioni che rendono inidonea la motivazione a giustificare la decisione;

– che in relazione alla questione posta nei predetti due motivi non può esimersi dal ricordare che i principi espressi dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee nella sentenza resa in causa C132/06, per affermare l’incompatibilità del condono ai fini IVA di cui alla L. n. 289 del 2002 con l’ordinamento eurounitario in materia di tributi armonizzati, secondo questa Corte (cfr. Cass. n. 17371 del 2009) vanno estesi a qualsiasi forma di condono, compresa quella prevista dalla legge di condono che viene in rilievo nel presente giudizio, non essendo possibile “dubitare che la normativa introdotta con la L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 44e segg. in materia di Iva delinei io stesso meccanismo e soggiaccia pertanto alle stesse censure formulate avverso le disposizioni della L. n. 289 del 2002, arti. 8 e 9” essendo comune ad entrambe le forme condonistiche quella “rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta” tale da pregiudicare “seriamente ii corretto funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto” (cfr. Cass. n. 20068 e n. 20069 del 2009, n. 25701 del 2009, n. 28018 del 2009, n. 4331 del 2016);

– che è inammissibile anche il terzo motivo di ricorso, sia per l’inadeguatezza del quesito di diritto che lo conclude, sia perchè la ricorrente, pur deducendo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 4, (in rubrica risultando erroneamente indicata la L. n. 413 del 1991), in realtà lamenta che la CTR non avrebbe accertato, con adeguata “indagine di fatto”, nè “minimamente motivato” (ricorso, pag. 12), “i carattere accessorio dell’attività finanziaria esercitata dalla società” (ricorso, pag. 10), verificando se le operazioni finanziarie poste in essere “comportassero un uso estremamente limitato di beni o servizi per i quali l’IVA è dovuta” (così, sempre a pag. 12 del ricorso), atteso che tali operazioni, in base alla disposizione censurata, non concorrono al calcolo del “pro rata”;

– che è noto che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (Cass. n. 195 del 2016), nella specie dedotto con il quarto motivo;

– che anche il quarto mezzo di impugnazione, con cui la ricorrente lamenta l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata laddove la CTR ha escluso che le operazioni di finanziamento avessero carattere accessorio ed occasionale, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, comma 4, o costituissero anticipazione di somme fatte in nome e per conto della controparte, escluse dall’imponibilità ex art. 15, comma 1, n. 3 D.P.R. citato, è inammissibile per un duplice ordine di ragioni; la prima, perchè viene cumulativamente e, quindi, inammissibilmente prospettato il vizio di motivazione sotto i diversi e configgenti profili dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione; la seconda, perchè il motivo, al pari del secondo sopra esaminato, è privo dei momento di sintesi (Cass. n. 4556 de 2009; n. 19425 del 2015);

– che il motivo di ricorso incidentale, con cui è prospettata la mancata rilevazione del giudicato interno sull’eccezione di estinzione del giudizio per adesione della società contribuente al condono di cui alla L. n. 413 del 1991, in violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 371 c.p.c., in quanto espressamente condizionato all’accoglimento dei motivi di ricorso principale, resta assorbito in quanto dichiaratamente condizionato;

– che, in estrema sintesi, il primo motivo di ricorso va dichiarato infondato, inammissibili il terzo ed quarto, assorbiti il secondo ed il motivo di ricorso incidentale, e la ricorrente condanna al pagamento delle spese dei giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

PQM

 

dichiara inammissibili i motivi di ricorso principale, assorbito quello incidentale, e condanna la ricorrente ai pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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