Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23350 del 15/10/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 23350 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: MATERA LINA

SENTENZA

sul ricorso 27334-2007 proposto da:
SAVARINO VITTORIO SVRVTR39A15H841Y, PENNICA SALVATORE
PNNSVT56A07H194P, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA C. GARAMPI 171, presso lo studio dell’avvocato
CAMPANELLA

MASSIMO,

rappresentati

e

difesi

dall’avvocato RACALBUTO GIUSEPPE;
– ricorrenti contro

GAMBINO ORNELLA
CIRAMI EMILIA

MARIA VALERIA GMBRLL73T51B602P,
CRMMLE39H41B602V,

GAMBINO ELVIRA

GMBLRM67A48B602V nella loro qualita’ di coeredi di

Data pubblicazione: 15/10/2013

GAETANO GAMBINO, elettivamente domiciliate in ROMA,
V. CRESCENZIO 82, presso lo studio dell’avvocato
BONOLI FEDERICO, rappresentate e difese dall’avvocato
GAMBINO ELVIRA MARIA RITA;
– controricorrenti nonchè contro

MARRONE SALVATORE, VIVIRITO MARIO UMBERTO, MARRONE
ANTONINO ;
– intimati –

sul ricorso 27775-2007 proposto da:
MARRONE SALVATORE MRRSVT53A03B520B, MARRONE ANTONINO
MRRNNN47P12B520B, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio
dell’avvocato GRIMALDI PAOLO, rappresentati e difesi
dall’avvocato GRECO FRANCESCO;
– ricorrenti contro

GAMBINO ORNELLA MARIA VALERIA GMBRLL73T51B602P,
CIRAMI EMILIA CRMMLE39H41B602V, GAMBINO ELVIRA
GMBLRM67A48B602V nella loro qualita’ di coeredi di
GAETANO GAMBINO, elettivamente domiciliate in ROMA,
V. CRESCENZIO 82, presso lo studio dell’avvocato
BONOLI FEDERICO, rappresentate e difese dall’avvocato
GAMBINO ELVIRA;
– controricorrenti nonchè contro

m

SAVARINO VITTORIO, VIVIRITO MARIO UMBERTO, PENNICA
SALVATORE;
– intimati –

sul ricorso 31845-2007 proposto da:
SAVARINO VITTORIO SVRVTR39A15H841Y, PENNICA SALVATORE

VIA C. GARAMPI 171, presso lo studio dell’avvocato
CAMPANELLA MASSIMO, rappresentati e difesi
dall’avvocato RACALBUTO GIUSEPPE;
– c/ric. e ricorrenti incidentali contro

GAMBINO ORNELLA MARIA VALERIA GMBRLL73T51B602P,
CIRAMI EMILIA CRMMLE39H41B602V, GAMBINO ELVIRA
GMBLRM67A48B602V nella loro qualita’ di coeredi di
GAETANO GAMBINO, elettivamente domiciliate in ROMA,
V. CRESCENZIO 82, presso lo studio dell’avvocato
BONOLI FEDERICO, rappresentate e difese dall’avvocato
GAMBINO ELVIRA MARIA RITA;
– controricorrenti al ricorso incidentale –

PNNSVT56A07H194P, elettivamente domiciliati in ROMA,

nonchè contro

MARRONE ANTONINO, VIVIRITO MARIO UMBERTO, MARRONE
SALVATORE;
– intimati –

avverso la sentenza n. 397/2007 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 23/04/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

ijus.„22■.,,,b.,.”2.,

udienza del 18/09/2013 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito

l’Avvocato

DARIO

GRECO,

con

delega

dell’avvocato GRECO FRANCESCO difensore di MARRONE
SALVATORE e ANTONINO, che si e’ riportato agli atti

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e per il rigetto del
ricorso R.G.n.27775/07 e per l’inammissibilità del
ricorso R.G.n. 31845/07.

depositati e ne ha chiesto l’accoglimento;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 13-3-2003 il Tribunale di Agrigento,
decidendo in ordine alle domande proposte da Gaetano Gambino nei
confronti di Vittorio Savarino, Salvatore Pennica, Mario Umberto

citazione del 4-3-2000, condannava i Marrone al pagamento in favore
dell’attore della somma di euro 25.822,84, a titolo di risarcimento
danni per le spese sostenute per la realizzazione delle fondazioni
dell’edificio dal predetto commissionato, di euro 10.347,58, per
rimborso delle spese dell’accertamento tecnico preventivo disposto
dal Tribunale prima della instaurazione del giudizio, di euro
71.011,15, quale spesa necessaria per rimuovere le fondazioni e
ripristinare lo stato originario dei luoghi, con facoltà degli stessi
convenuti di provvedere direttamente a tali lavori entro il termine di
quattro mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. Il Tribunale,
inoltre, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal
Savarino, condannava il Gambino al pagamento, in favore del
predetto convenuto, della somma di euro 26.472,25, quale compenso
per la progettazione, in base alla parcella vistata dal competente
Consiglio dell’Ordine. Il primo giudice, al contrario, in ordine alle
fessurazioni nelle fondazioni lamentate dall’attore e riscontrate dai
consulenti tecnici designati, escludeva ogni responsabilità del
Vivirito, il quale aveva redatto una corretta relazione geologica.

1

Vivirito, Antonino Marrone e Salvatore Marrone con atto di

Veniva altresì esclusa la responsabilità del Pennica, sul rilievo che
questi, quale geometra, aveva la qualifica necessaria per dirigere i
lavori di sbancamento, non i lavori di realizzazione della struttura in
cemento armato; nonché quella del Savarino, progettista dell’edificio

accertamenti tecnici effettuati che le fessurazioni non erano
imputabili ad errori di progettazione, ma all’errato livello di posa
delle fondazioni, che non poteva essere ascritto al predetto
convenuto, in quanto il medesimo non aveva diretto i lavori. Secondo
il Tribunale, pertanto, responsabili dei danni derivati al committente
dovevano ritenersi esclusivamente i Marrone, i quali, come
appaltatori, avrebbero dovuto adattare il piano di posa alla situazione
dei luoghi messa in luce dagli scavi, dovendo essi verificare la bontà
del progetto.
Con atto di citazione del 20-9-2003 proponevano appello
avverso la predetta decisione Elvira Gambino, Ornella Maria Valeria
Gambino ed Emilia Cirami, quali eredi di Gaetano Gambino,
chiedendo, in particolare, che venisse ravvisata anche una
responsabilità del progettista, il quale aveva stabilito una profondità
delle fondazioni di m. 1,20, e del direttore dei lavori, il quale aveva
• disposto la loro posa alla profondità di m. 1,30, disattendendo
entrambi la precisa indicazione data dal geologo, che aveva previsto
una profondità di dette fondazioni di m. 2,50 dal piano di campagna.

2

ed elaboratore dei calcoli in cemento armato, essendo emerso dagli

Gli eredi Gambino, inoltre, tenuto conto dei gravi vizi del progetto,
contestavano il diritto del Savarino al pagamento del compenso per
la redazione del progetto.
Nel costituirsi, il Savarino e il Pennica impugnavano con

appello incidentale il capo della sentenza di primo grado con cui era
stata disposta la compensazione delle spese di lite,
La stessa sentenza veniva altresì appellata, con atto di
citazione del 25-9-2003, da Antonino e Salvatore Marrone, i quali si
dolevano che il primo giudice avesse affermato la loro responsabilità
esclusiva, travalicando le domande proposte dall’attore, il quale,
peraltro, non aveva esposto le ragioni di fatto e di diritto della
domanda di risarcimento danni
Con sentenza in data 23-4-2007 la Corte di Appello di
Palermo, qualificato come appello principale quello proposto dagli
eredi Gambino e come appelli incidentali le altre impugnazioni, in
parziale riforma della sentenza di primo grado condannava il
Savarino ed il Pennica, in solido con i Marrone, al pagamento in
favore degli appellanti principali delle somme liquidate dal
Tribunale, ed eliminava la statuizione di condanna del Gambino al
pagamento, in favore del Savarino, della somma di euro 26.427,25;
dichiarava, invece, inammissibile l’appello incidentale proposto dal
Savarino e dal Pennica.

I

Avverso la predetta decisione hanno proposto ricorso per
cassazione Vittorio Savarino e Salvatore Pennica, sulla base di sette
motivi..
Atro ricorso, affidato ad un unico motivo, è stato proposto in

Vittorio Savarino e Salvatore Pennica hanno resistito al ricorso
dei Marrone con controricorso contenente ricorso incidentale, basato
sugli stessi motivi posti a base del ricorso principale.
Elvira Gambimo, Ornella Maria Valeria Gambino ed Emilia
Cirami, quali eredi di Gaetano Gambino, hanno resistito con distinti
controricorsi a tutti i ricorsi ex adverso proposti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi, ai
sensi dell’art. 335 c.p.c..
2)

Sempre in via preliminare, va rilevato che il ricorso

proposto in via principale da Antonino e Salvatore Marrone (iscritto
al n. .RG. 27775\2007) deve essere considerato come ricorso
incidentale, che si inserisce nell’ambito del primo ricorso principale,
proposto da Vittorio Savarino e Salvatore Pennica (iscritto al n.
R.G. 27334\2007), e che risulta tempestivo, essendo stato notificato
nel termine (quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale)
prescritto dagli artt. 370 e 371 c.p.c.

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via autonoma da Antonino e Salvatore Marrone.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti,
atteso il principio di unità dell’impugnazione, sancito dall’art. 333
c.p.c. -il quale implica che l’impugnazione proposta per prima
determina la pendenza dell’unico processo nel quale sono destinate a

simultaneamente, tutte le eventuali impugnazioni successive proposte
avverso la stessa sentenza, le quali, in conseguenza, possono
assumere soltanto carattere incidentale-, nei procedimenti con
pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la
notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il
ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i
loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso
procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi
dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 dello stesso codice.
Tuttavia, l’inosservanza della forma del ricorso incidentale, in
ragione della mancanza di una espressa affermazione da parte della
legge circa l’essenzialità dell’osservanza di tale requisito formale, va
apprezzata secondo i principi generali relativi alla nullità per
inosservanza dei requisiti formali; con la conseguenza che -una volta
che l’impugnazione principale e quella successiva autonomamente
proposta, anziché esercitata in via incidentale, siano state riunite ai
sensi dell’art. 335 c.p.c.- essa non impedisce la conversione di detto
ricorso in ricorso incidentale, qualora esso risulti proposto nel

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confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise

rispetto dei termini temporali entro i quali avrebbe dovuto proporsi,
cioè entro i quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso
principale, determinandosi in tale ipotesi il verificarsi di una
fattispecie di idoneità del secondo ricorso a raggiungere quello

stesso scopo che avrebbe raggiunto la rituale proposizione
dell’impugnazione nella forma incidentale (Cass. 30-12-2009 n.
27887; Cass. 6-8-2004 n. 15199; Cass. SU.. 25-6-2002 n. 9232).
3) Il ricorso incidentale proposto dal Savarino e dal Pennica
(iscritto al n. 31845\2007) è, invece, inammissibile, alla luce del
principio costantemente affermato dalla giurisprudenza, secondo cui
la rituale proposizione del ricorso per cassazione determina la
consumazione del diritto di impugnazione; con la conseguenza che
non solo non è possibile presentare motivi aggiunti, oltre a quelli già
formulati, ma neppure è consentita la proposizione di un altro
ricorso. Pertanto, la consumazione del diritto di impugnazione
conseguente alla proposizione di ricorso principale per cassazione
esclude che la stessa parte, ricevuta la notificazione del ricorso di
altro contendente, possa introdurre nuovi e diversi motivi di censura
o anche ripetere le stesse censure già avanzate con il proprio
originario ricorso con un successivo ricorso incidentale che, se
proposto, va dichiarato inammissibile, pur restando esaminabile
come controricorso nei limiti in cui sia rivolto a contrastare

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f

l’impugnazione avversaria (cfr. Cass. S.U. 22-2-2012 n. 2568; Cass.
S.U. 10-3-2005 n. 5207; Cass. 2-12- 2000 n. 15407).
4) Con il primo motivo, articolato in due censure, i ricorrenti
principali lamentano: A) omessa istruttoria-violazione e falsa

prova e dell’art 115 comma l c.p.c.; B) violazione e falsa
applicazione dell’art. 245 c.p.c. e dell’art. 24 Cost, conseguente alla
lesione del diritto alla prova e del diritto di difesa. Sostengono che
la Corte di Appello ha basato il proprio convincimento su circostanze
di fatto (analiticamente indicate nel ricorso con le lettere a-i) che
non risultano in alcun modo dimostrate dall’attrice, sulla quale
incombeva il relativo onere probatorio. Rilevano, inoltre, che il
giudice di primo grado ha negato in modo arbitrario l’ammissione
delle testimonianze e degli altri mezzi istruttori richiesti dagli
odierni ricorrenti su questioni rilevanti della controversia.
Il motivo si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti
di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: a) “Può il giudice porre a
fondamento della propriqdecisione fatti dei quali non risulta essere
stata fornita alcuna prova dalla parte interessata (testi-interrogatori
formali), sollevando in tal modo la stessa dallo specifico onere
probatorio, in totale ed aperta violazione degli artt. 2697 comma 1
c.c. e 115 comma 1 c.p.c.?” b) “Può il giudice, in assenza delle
condizioni e dei presupposti che giustifichino il giudizio di

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applicazione dell’art. 2697 comma l c.c. in materia di onere della

superfluità di cui all’art. 209 c.p.c., non ammettere i mezzi istruttori
(testi-interrogatori formali) rilevanti e concludenti richiesti dalla
parte, esercitando, in tal modo, una illegittima ed arbitraria
limitazione del diritto di prova, in completa violazione dell’art. 245

Il motivo è inammissibile, in quanto i due quesiti di diritto
posti non appaiono rispondenti ai requisiti richiesti dall’art. 366 bis
c.p.c., applicabile rottone temporis al ricorso in esame.
E invero, ai sensi della menzionata disposizione di legge, il
quesito inerente ad una censura in diritto -dovendo assolvere alla
funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del
caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale- non
può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella
fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter
comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compiuto
dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso
non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del
motivo, ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla
fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura
così come illustrata nello svolgimento del motivo (v. Cass. 7-3-2012
n. 3530; Cass. 25-7-2008 n. 20454; Cass. 14-2-2008 n. 3519), né può
risolversi in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già

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c.p.c. e del diritto di difesa, sancito dall’art. 24 Cost.?”

presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di
risolvere il caso “sub iudice” (Cass. S U. 2-12-2008 n. 28536).
Nella specie, i quesiti di diritto formulati dai ricorrenti
partono rispettivamente dall’assunto che a base della decisione

che non siano stati ammessi mezzi istruttori (prova testimoniale e
interrogatorio formale) rilevanti e concludenti richiesti da una parte;
e chiedono di sapere se il giudice possa porre a fondamento della
propria decisione fatti non provati dalla parte interessata e possa non
ammettere i mezzi istruttori rilevanti e concludenti richiesti da una
parte.
Gli interrogativi posti, pertanto, appaiono tautologici e
generici, e si risolvono in astratte petizioni di principio, prive di
qualsiasi contestualizzazione rispetto alla fattispecie concreta.
Se, dunque, su un piano teorico e astratto, i quesiti posti
meriterebbero una risposta negativa, è evidente che tale risposta
sarebbe priva di decisività rispetto alle questioni concretamente
prospettate nel presente giudizio.
Nè varrebbe sostenere, in contrario, che gli anzidetti quesiti
non sarebbero generici perché andrebbero letti e valutati alla luce del
motivo al quale accedono. In conformità della giurisprudenza
formatasi in materia, infatti, deve escludersi la possibilità di
desumere il quesito dal contenuto del motivo (Cass. S.U. 16-11-2007

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impugnata siano stati posti fatti non provati dalla parte interessata, e

n. 23732) o di integrarlo con quest’ultimo, in quanto ciò
comporterebbe una sostanziale abrogazione della norma di cui all’art.
366 bis c.p.c. (Cass. S.U. 11-3-2008 n. 6420).
La seconda censura mossa con il motivo in esame, relativa alla

testimoniale, presenta un ulteriore profilo di inammissibilità. Poiché,
infatti, si tratta di richieste istruttorie non accolte in primo grado e
non reiterate dai convenuti in appello, i ricorrenti non possono
dolersi in questa sede della mancata ammissione di tali mezzi, in
ordine alla quale il giudice di appello correttamente non si è
pronunciato.
5) Con il secondo motivo i ricorrenti principali lamentano
l’improcedibilità per tardività dell’appello dei Marrone, e la
violazione e falsa applicazione dell’art. 325 c.p.c. Sostengono che il
mancato rispetto del termine breve, contrariamente a quanto ritenuto
dal giudice del gravame, comporta l’improcedibilità ed
inammissibilità dell’appello dei Marrone, con conseguente passaggio
in giudicato di tutti i capi della sentenza di primo grado riguardanti
la responsabilità diretta degli stessi convenuti a scapito del Savarino
e del Gambino e, pertanto, dei capi della sentenza concernenti: a) la
responsabilità individuata nella causazione del difetto tecnico
strutturale ed assegnata alla ditta Marrone; b) il rigetto di ogni
ipotesi di solidarietà.

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mancata ammissione dell’interrogatorio formale e della prova

Con il terzo motivo il Savarino e il Pennica denunciano la
violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., nonché
l’improcedibilità per carenza di interesse dell’atto di appello
principale degli eredi Gambino, limitatamente al profilo della

Gambino non avevano interesse ad impugnare il capo della sentenza
di primo grado che aveva affermato la responsabilità esclusiva dei
Marrone, in quanto con tale pronuncia il Tribunale aveva accolto la
domanda dell’attore, “di assegnare a chi di dovere la responsabilità
dei dissesti”.
Con il quarto motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa
applicazione dei principi generali in materia di solidarietà, nonché il
vizio di ultrapetizione. Sostengono che nell’atto di citazione di
primo grado non vi è alcuna richiesta di applicazione del principio di
solidarietà passiva, essendosi il Gambino limitato a chiedere la
condanna di chi di ragione fra i convenuti al risarcimento dei danni
subiti dall’attore. Deducono, pertanto, che nel pronunciare la
condanna del Savarino e del Pennica in solido con i Marrone, il
giudice di appello è incorso nella violazione del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Rilevano, inoltre, che,
vertendosi nell’ambito di un rapporto di natura extracontrattuale, la
Corte di Appello ha errato nel non aver diviso, in maniera distinta e
separata, la responsabilità del dissesto tra i quattro soggetti del

responsabilità, nei confronti dei ricorrenti. Sostengono che gli eredi

rapporto processuale e, soprattutto, nell’assegnare ai medesimi
condebitori la facoltà di trasformare l’obbligazione di pagamento in
una obbligazione di fare, stante la mancanza di alcun legame
effettivo tra le parti.

la formulazione di un quesito di diritto, così come richiesto dal
citato art. 366 bis c.p.c.
8) Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano 1 — illogicità, la
contraddittorietà e il difetto di motivazione in ordine alla stima in
euro 71.011,15 della spesa occorrente per la rimozione delle
fondazioni ed il ripristino dello stato originario dei luoghi.
Sostengono che il giudice di appello ha confermato il relativo punto
della decisione muovendo dall’assunto secondo cui il Savarino e il
Pennica, in appello, invece di introdurre la questione nei termini di
cui all’appello incidentale, avevano depositato la comparsa di
costituzione contenente le eccezioni di cui sopra solo all’udienza di
prima comparizione; con la conseguenza che le censure mosse sulla
quantificazione del danno patito dagli eredi Gambino venivano
ritenute inammissibili, perché la questione risultava coperta dal
giudicato. Rilevano che la stima del danno materiale faceva parte
integrante della comparsa di costituzione depositata dagli appellati
ed era, dunque, valutabile dalla Corte, indipendentemente dal fatto
che avesse costituito oggetto di appello incidentale. Aggiungono che

1 motivi in esame sono inammissibili, non concludendosi con

la illogicità della stima effettuata dai giudici di merito si desume
chiaramente dal raffronto tra il costo accertato sostenuto dal
committente, di lire 50.000.000, e quello di euro 71.011,15
erroneamente fissato dal C.T.U.

Dall’esposizione dei fatti riportati nella sentenza impugnata,
non risulta che gli appellati con la comparsa di costituzione avessero
contestato la congruità del quantum liquidato dal primo giudice a
titolo risarcitorio in favore dell’attore. Il giudice di appello,
pertanto, non era tenuto a motivare sul punto. Non è vero, al
contrario, che la mancata valutazione al riguardo discendeva dalla
ritenuta inammissibilità dell’appello incidentale proposto dal
Savarino e dal Pennica: a pag. 6 della sentenza impugnata, infatti, si
dà atto che l’appello incidentale proposto dai predetti concerneva
solo la compensazione delle spese di lite.
Non essendo stata prospettata la questione del guaritimi in
appello, non possono essere prese in alcuna considerazione in questa
sede le doglianze mosse con il motivo in esame riguardo alla
eccessività dell’importo liquidato in favore dell’attore.
9) Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano l’illogicità, la
contraddittorietà e il difetto di motivazione della sentenza impugnata
sul capo relativo alle reciproche responsabilità. Sostengono, in
particolare, che la responsabilità principale del dissesto costruttivo è

Il motivo è infondato.

da addebitare all’impresa esecutrice dei fratelli Marrone, che non ha
realizzato le fondazioni a regola d’arte, sia in considerazione dei
materiali utilizzati, sia per la brevità del tempo (solo 4 giorni)
intercorso tra l’avvio della posa in opera delle fondazioni (19-6-

committente deve essere considerato corresponsabile, in quanto, in
particolare, oltre ad avere affidato incautamente l’incarico di
direzione dei lavori ad un tecnico non abilitato e ad avere
inadeguatamente scelto l’impresa appaltatrice, ha lasciato
colpevolmente marcire a cielo aperto il manufatto per 17 mesi,
lasciandole esposte alle intemperie dopo la fine dei lavori.
Aggiungono che responsabile dell’evento risulta anche il geologo
Vivirito, il quale non ha effettuato carotaggi o sondaggi in loco, e ha
omesso di controllare e vigilare nella fase esecutiva dell’opera.
Secondo i ricorrenti, al contrario, nessuna responsabilità può essere
ascritta a carico del Savarino, il quale è stato investito dal
committente del limitato incarico di redazione di un progetto e dei
calcoli in cemento armato, mentre non ha mai ricevuto l’incarico
della direzione dei lavori, che è stata colpevolmente affidata dal
Gambino ad un soggetto, il Pennica, che non possedeva i requisiti di
idoneità richiesti dalla legge per tale attività. 1 ricorrenti, pertanto,
sostengono che il Savarino non può essere ritenuto responsabile del
danno verificatosi alle fondazioni nella fase esecutiva dell’opera, di

14

1997) e la fine dei lavori di posa (23-6-1997). Rilevano che il

specifica competenza dell’impresa Marrone, anche perché il
committente e l’impresa appaltatrice non gli hanno comunicato
l’avvio della fase esecutiva, e cioè dello scavo e della posa delle
fondazioni. Deducono che il professionista, con incarico di solo
progettista\calcolista, assume un’obbligazione di mezzi e non di
risultato, e che nella specie il progetto e i calcoli non sono stati
intaccati dagli esiti dell’A.T.P. e della consulenza tecnica d’ufficio.
Ad avviso dei ricorrenti, inoltre, nessuna responsabilità è dato
ravvisare in capo al Pennica, il quale non possedeva i requisiti
d’idoneità richiesti dalla legge per l’assunzione dell’incarico della
direzione dei lavori; circostanza, questa, di cui era ben a conoscenza
il committente.
Il motivo è privo di fondamento, essendo la decisione
impugnata sorretta, in punto di affermazione di responsabilità dei
ricorrenti, da una motivazione esauriente e immune da vizi logici,
che ha preso in considerazione ogni aspetto rilevante ai fini della
decisione, prospettato in appello dagli odierni ricorrenti..
La Corte di Appello, sulla base delle risultanze della
consulenza tecnica d’ufficio, ha accertato, con apprezzamento in
fatto non sindacabile in sede di legittimità, che le notevoli
fessurazioni riscontrate nelle fondazioni dell’erigendo edificio sono
da ricondurre alle errate previsioni progettuali del Savarino, il quale
aveva stabilito per le stesse una profondità di m. 1,20, disattendendo

4

le precise indicazioni geologiche date dal Vivirito (che aveva
ritenuto necessaria una profondoità di m. 2,50).
In particolare, come è stato evidenziato nella sentenza
impugnata, nella relazione di accertamento tecnico preventivo l’ing.

trasversali, ha osservato che tale dissesto deve ricondursi all’errata
progettazione delle fondazioni, non adeguate strutturalmente a
sopportare le distorsioni indotte dalle deformazioni che si verificano
nel terreno del sottosuolo, costituito da argille inorganiche di elevata
plasticità. Alle stesse conclusioni è pervenuto l’ing. Di Novara, il
quale ha evidenziato che la parte del piano di posa posta ad una
profondità inferiore a quella prevista nella relazione geologica
poggia direttamente su terreno di natura vegetale con scarse
caratteristiche meccaniche, mentre le fondazioni poste ad una
maggiore profondità presentano migliori caratteristiche meccaniche.
Alla stregua di simili emergenze, legittimamente la Corte di
Appello ha affermato la responsabilità del Savarino, dipendendo i
vizi riscontrati da una progettazione inadeguata alle condizioni
geologiche del terreno.
Non ha pregio, invero, l’assunto dei ricorrenti, secondo cui la
responsabilità andrebbe posta a carico esclusivo dell’appaltatore,
rientrando tra i compiti di quest’ultimo l’indagine sulla natura e
consistenza del suolo

16

Di Mino, rilevata la presenza nelle fondazioni di notevoli lesioni

Come è stato puntualizzato da questa Corte, infatti, l’obbligo
di controllare la validità del progetto in relazione alle caratteristiche
geologiche del terreno su cui l’edificio deve sorgere grava sia
sull’appaltatore che sul progettista, il quale nella redazione

condizioni. Pertanto, il fatto che la traduzione del modello in
un’opera concreta spetti all’appaltatore, non fa venir meno la
responsabilità del progettista nei confronti del committente, qualora
i vizi e le manchevolezze della costruzione dipendano da una
progettazione rivelatasi inadeguata alle condizioni geologiche del
terreno sul quale il progettista non aveva svolto la necessaria
indagine geognostica. In tal caso, infatti, si tratta di imperfetto
adempimento dell’obbligazione assunta con il contratto d’opera
professionale (art. 2235 c.c.) -in ordine al quale non è stato
comunque eccepito, nella specie, trattarsi di prestazione implicante
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà-, che è fonte di
responsabilità, allorché l’inadeguata progettazione in relazione alle
caratteristiche geologiche del terreno abbia costituito, come nel caso
in esame, uno degli antecedenti eziologicamente rilevanti dei difetti
della costruzione (Cass. 31-5-2006 n. 12995; Cass. 23-9-1996 n.
8395;). Il progettista e l’appaltatore, pertanto, sono responsabili in
solido per i difetti della costruzione dipendenti dal cedimento delle
fondazioni dovuto alle caratteristiche geologiche del suolo,

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dell’incarico professionale affidatogli deve tenere conto anche di tali

rientrando nei compiti di entrambi l’indagine sulla natura e
consistenza del terreno edificatorio (Cass. 27-8-2012 n. 14650).
La decisione gravata risulta adeguatamente motivata anche
nella parte in cui ha ritenuto che la posa in opera di fondazioni ad

geologo e il conseguente dissesto debbano essere ascritti anche al
Pennica. AI riguardo, il giudice del gravame ha spiegato, con
argomentazioni corrette sul piano logico e giuridico, che
quest’ultimo, nella qualità di direttore dei lavori, avrebbe dovuto
verificare che la superficie interessata dalle fondazioni fosse
rispondente a quella contemplata nel progetto ed approvata dagli
organi competenti, nonché verificare, quanto alla profondità delle
fondazioni, la bontà del progetto, e dare dunque le direttive che si
rendessero necessarie per la corretta esecuzione dell’opera, anche
sospendendo, se necessario, i lavori in attesa di studiare le soluzioni
più opportune.
Il tutto in linea con il principio affermato dalla giurisprudenza,
secondo cui, in tema di responsabilità conseguente a vizi o
difformità dell’opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del
committente presta un’opera professionale in esecuzione di
un’obbligazione di mezzi e non di risultato ma, essendo chiamato a
svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di
peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse

una profondità notevolmente inferiore a quella raccomandata dal

intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in
corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si
aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere
valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma

nelle obbligazioni del direttore dei lavori, l’accertamento della
conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto,
sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole
della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti
tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti
costruttivi; sicchè non si sottrae a responsabilità il professionista che
ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al
riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte
dell’appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente (v. Cass.
24-4-2008 n. 10728; Cass. 20-7-2005 n. 15255;).
Del pari ineccepibili appaiono le argomentazioni svolte nella
sentenza impugnata per escludere che il Perrica possa invocare a suo
favore, onde ritenersi immune da responsabilità, la mancanza della
qualifica (laurea in ingegneria) necessaria per l’espletamento delle
funzioni di direttore dei lavori di realizzazione delle strutture in
cemento armato. Tale valutazione risulta supportata da una
motivazione congruente e come tale non sindacabile in questa sede,
con cui è stato rilevato che elementari regole di correttezza, oltre che

19

alla stregua della “diligentia quam in concreto”. Rientrano, pertanto,

precise regole deontologiche, avrebbero dovuto indurre il Pennica a
non accettare l’incarico e a prospettare l’impossibilità di espletarlo
al committente, essendo evidente che la mancanza di tale requisito
essenziale doveva essergli ben nota, laddove è ben plausibile che il

estranee alle sue competenze, solo in seguito alla ricezione della
lettera del Comune di Ravanusa del 19-6-1997.
Nell’affermare la responsabilità degli odierni ricorrenti,
d’altro canto, la Corte di Appello non ha omesso di esaminare le
deduzioni svolte dai medesimi, secondo cui il dissesto per cui è
causa dovrebbe essere ricondotto alla imbibizione causata dagli
eventi atmosferici, cui per molto tempo le fondazioni sarebbero state
esposte per l’incuria del Gambino, dopo la consegna dell’opera. Il
giudice del gravame ha rilevato che tale tesi difensiva non ha trovato
alcun riscontro probatorio; ed ha altresì posto in evidenza che, in
realtà, l’opera non è mai stata consegnata al committente, in quanto,
a causa dell’accertata discordanza tra la superficie che, secondo il
progetto, avrebbe dovuto essere impegnata dalle fondazioni e quella
in effetti occupata dalle medesime, in data 24-7-1997 venne operato
dai Vigili Urbani del Comune di Ravanusa il sequestro del cantiere,
cui seguì la sospensione dei lavori disposta con ordinanza sindacale
del 29-7-1997 e, infine, la revoca della concessione edilizia, disposta
con ordinanza sindacale del 30-9-1997. Tali rilievi hanno

Gambino sia venuto a conoscenza delle norme specifiche in materia,

ragionevolmente indotto la Corte territoriale ad escludere che possa
ascriversi al committente il fermo dei lavori nel periodo considerato
e in quello immediatamente successivo, essendosi, anzi, dato atto in
sentenza che il Gambino, dopo aver incaricato un nuovo tecnico di

concessione edilizia, rilasciata il 7-4-1998, e ottenne dal GIP, il 9-61988, un provvedimento di dissequestro, a seguito del quale fu
riscontrata l’inutilizzabilità delle fondazioni per i dissesti oggetto
della controversia.
Si tratta, all’evidenza, di tipici accertamenti in fatto riservati
al giudice di merito, che in quanto sorretti da una motivazione esente
da vizi logici si sottrae al sindacato di questa Corte.
Inammissibili, infine, appaiono le deduzioni svolte dai
ricorrenti riguardo ad una eventuale corresponsabilità del geologo
Vivirito, avendo la Corte territoriale dato atto, a pag. 7 della
sentenza impugnata, che nessuna censura è stata mossa in appello nei
confronti dell’operato di quest’ultimo. Come è noto, infatti, è
inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che sollevi una
questione, per la quale siano necessari accertamenti di fatto, che non
abbia formato oggetto del giudizio di appello, come fissato e
delimitato dalle impugnazioni delle parti (tra le tante v. Cass. S.U.
20-1-1998 n. 494).

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redigere un nuovo progetto, chiese celermente una nuova

10) Con il settimo motivo i ricorrenti denunciano l’illogicità,
la contraddittorietà e il difetto di motivazione della sentenza
impugnata sul capo inerente l’annullamento della condanna del
Gambino al pagamento della parcella in favore dell’ing. Vittorio

perché la sua obbligazione è di mezzi e non di risultato, sia perché,
non avendo il predetto svolto alcuna attività nella fase esecutiva, è
mancato da parte sua qualsiasi apporto causale al verificarsi del
danno in parola.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
La Corte di Appello ha negato il diritto del Savarino al
pagamento del compenso richiesto per la progettazione con una
motivazione corretta sul piano logico e giuridico, basata sul rilievo
dei gravi vizi dell’opera progettata, ai quali, come si è detto in
precedenza, secondo le risultanze degli elaborati tecnici, sono
riconducibili le notevoli fessurazioni riscontrate nelle fondazioni
dell’erigendo edificio..
Nella specie, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione
del principio, più volte affermato dalla giurisprudenza, secondo cui
l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria o di architettura,
pur avendo per oggetto una prestazione d’opera professionale,
costituisce una obbligazione non di mezzi, ma di risultato,
impegnando il professionista alla prestazione di un progetto

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Savarino. Sostengono che il Savarino ha diritto al compenso, sia

concretamente utilizzabile, anche dal punto di vista tecnico e
giuridico; con la conseguenza che legittimamente il committente, in
base al principio inaclimplenti non est adimplendum di cui all’art.
1460 c.c.., rifiuta di corrispondere il compenso al professionista,

concreto non utilizzabile (Cass. 2-2-2007 n. 2257; Cass. 21-3-1997
n. 2540; Cass. 24-4-1996 n. 3879; Cass. 19-7-1993 n. 8033).
11) Con l’unico motivo di ricorso incidentale i Marrone
lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 163 n. 4 e
164 c.p.c., nonché l’omessa e contraddittoria motivazione in ordine
all’eccezione, da essi proposta con l’atto di appello, di nullità
dell’atto di citazione di primo grado per carenza della esposizione
dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della
domanda, non avendo l’attore indicato alcun inadempimento o fatto
illecito degli appaltatori.
L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto: “Poiché nel contratto di appalto tra
privati di opere edili le obbligazioni dell’appaltatore sono di varia e
diversa natura, l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo
grado, proposto dal committente per difetti dell’opera appaltata
originante da un’errata progettazione e da un’errata .direzione dei
lavori, deve necessariamente contenere, ai sensi dell’art. 163 c.p.c.,
l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le

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quando questi, come nel caso in esame, abbia fornito un progetto in

ragioni della domanda e, quindi, deve essere indicata quale delle
è

obbligazioni contrattuali dell’appaltatore risulti inadempiuta o quale
fatto illecito possa essere ritenuto fonte di responsabilità
extracontrattuale, dovendosi in difetto ritenere la nullità dell’atto

Il motivo è infondato.
Dalla

lettura

dell’atto

di

citazione

di

primo

grado,

integralmente trascritto nel ricorso dei Marrone, si evince che
l’attore, dopo avere indicato l’attività prestata nella vicenda da
ciascuno dei convenuti e precisato, in particolare, che i lavori erano
stati affidati in appalto ai fratelli Antonino e Salvatore Marrone, ha
rilevato che dall’accertamento tecnico preventivo espletato dall’ing.
Di Mino era emerso che molte delle travi di fondazione mostravano
“macroscopiche lesioni”, in quanto non erano “state rispettate le
indicazioni date dal geologo nella sua relazione allegata al progetto
e depositata all’Ufficio del Genio Civile di Agrigento assieme ai
calcoli del c.a..” Il Gambino, conseguentemente, nel dedurre la
totale inutilizzazione delle strutture di fondazione, ha chiesto
A

procedersi alla nomina di un consulente tecnico d’ufficio

“per

accertare le cause dei dissesti strutturali riscontrati, indicando a chi
vanno addebitate le responsabilità dei dissesti medesimi”, con la
conseguente condanna, all’esito di tali accertamenti tecnici, di

“chi

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introduttivo del giudizio”.

di ragione fra i convenuti al risarcimento dei danni subiti
dall’attore”.
Orbene, i riferimenti contenuti in tale atto rendono evidente
come la richiesta di eventuale condanna dei Marrone fosse collegata

risultata affetta da vizi che ne comportavano l’inutilizzabilità, a
causa del mancato rispetto delle indicazioni date dal geologo nella
sua relazione allegata al progetto..
Il tutto alla luce del principio acquisito in giurisprudenza,
secondo cui l”indagine sulla natura e sulla consistenza del suolo
edificatorio rientra tra gli obblighi dell’appaltatore, in quanto
l’esecuzione a regola d’arte di una costruzione dipende
dall’adeguatezza del progetto rispetto alle caratteristiche geologiche
del terreno su cui devono porsi le fondazioni; con la conseguenza
che, nell’ipotesi in cui detta indagine non presenti difficoltà
particolari, superiori alle conoscenze che devono essere assicurate
dall’organizzazione necessaria allo svolgimento dell’attività edilizia,
l’appaltatore deve rispondere, in solido con il progettista (a sua volta
responsabile per inadempimento del contratto d’opera professionale,
essendosi rivelata inadeguata la progettazione) dei vizi dell’opera
dipendenti dal cedimento delle fondazioni dovuto alle caratteristiche
geologiche del suolo, non tenute presenti dal progetto (Cass. 23-91996 n. 8395). Nell’appalto sia pubblico che privato, infatti, rientra

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alla loro qualità di appaltatori ed esecutori materiali dell’opera

tra gli obblighi di diligenza dell’appaltatore, senza necessità di una
specifica pattuizione, esercitare il controllo della validità tecnica del
progetto fornito dal committente, anche in relazione alle
caratteristiche del suolo su cui l’opera deve sorgere, posto che dalla
corretta progettazione, oltre che dall’esecuzione dell’opera, dipende
il risultato promesso. L’appaltatore, pertanto, non può esimersi
dall’obbligo di accertare le caratteristiche idrogeologiche del terreno
sul quale l’opera deve essere realizzata, potendo la sua responsabilità
essere esclusa solo se le condizioni geologiche non siano accertabili
con l’ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali (Cass. l 82-2008 n. 3932); ipotesi, quest’ultima, che nella specie non è stata
nemmeno prospettata dai ricorrenti incidentali..
11) In definitiva, il ricorso incidentale del Savarino e del
Pennica deve essere dichiarato inammissibile, mentre il ricorso
principale e quello incidentale dei Marrone devono essere rigettati.
Segue, per rigore di soccombenza, la condanna dei ricorrenti
principali e di quelli incidentali al pagamento delle spese in favore
degli eredi Gambino, che si liquidano nella misura indicata in
dispositivo in relazione a ciascuno dei tre controricorso dai
medesimi depositato.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso
incidentale del Savarino e del Pennica, rigetta il ricorso principale e

quello incidentale dei Marrone, condanna i ricorrenti principali e
quelli incidentali al pagamento delle spese in favore degli eredi
Gambino, che liquida per ciascun controricorso in euro 3.200,00, di
cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge..
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18-9-2013
Il Consigliere estensore

Il rek
idente

L

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