Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23350 del 09/11/2011

Cassazione civile sez. II, 09/11/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 09/11/2011), n.23350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2448-2006 proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 149, presso lo studio dell’avvocato LANZILAO

MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato ATTARDI SEBASTIANO;

– ricorrente –

contro

P.S.A. (OMISSIS), V.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, C.SO VITTORIO

EMANUELE II 187, presso io studio dell’avvocato LICATA ANTONELLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato TRANTINO ENRICO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 735/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 12/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito il. P.M. in persona de L Sostituto Procuratore Generale dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto dei ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 9.5.1998 P.S.A. e V.A. convenivano davanti al Pretore di Catania C.G. esponendo che, con scrittura privata 29.8.1997, il convenuto, quale procuratore con mandato in rem propriam, aveva promesso di vendere loro l’immobile in (OMISSIS) per il prezzo di L. 75.000.000, col pagamento da parte loro di una caparra di L. 5.000.000, mentre la rimanenza doveva essere corrisposta mediante il ricavato di un mutuo alla stipula del definitivo entro il mese di ottobre 1997, termine poi prorogato al 26.11.1997.

Gli attori avevano ottenuto il mutuo, il convenuto aveva rifiutato la stipula ed il 24.2.1998 avevano esercitato il diritto di recesso per cui chiedevano accertarsi l’inadempimento, dichiararsi la risoluzione a seguito del recesso e condannarsi il convenuto al pagamento di L. 10.000.000, pari al doppio della caparra, oltre interessi, rivalutazione e spese.

Il convenuto resisteva chiedendo la risoluzione per inadempimento degli attori, col diritto a trattenere la caparra.

Istruita la causa, il Tribunale, subentrato al Pretore, con sentenza n. 2755/2001 rigettava la domanda, autorizzando il convenuto a trattenere la caparra col favore delle spese, decisione riformata dalla Corte di appello di Catania, con sentenza 735/2005, che dichiaravate lo scioglimento del preliminare a seguito del recesso degli attori, condannando il C. al pagamento di Euro 5164,56 oltre interessi e spese, sul presupposto che risultava l’ottenimento del mutuo ed il rifiuto alla stipula del definitivo dato che la somma sarebbe stata erogata non al momento del rogito ma qualche giorno dopo.

La previsione del mutuo nel preliminare determinava espressa accettazione delle modalità di pagamento, che comporta alcuni giorni di differenza tra stipula ed accredito, donde nessuna giustificazione del rifiuto. Ricorre C. con tre motivi, resiste controparte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si lamenta omessa, insufficiente ed anche contraddittoria motivazione in relazione alle clausole contenute nel preliminare, e ciò ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 perchè in nessuna parte del preliminare risulta in maniera diretta, chiara, determinata e specifica che il C. avesse dovuto prestare garanzie ipotecarie nè tanto meno che il trasferimento dovesse avvenire senza ricevere contestualmente il saldo del corrispettivo.

Col secondo motivo si afferma di censurare sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 la sentenza per essere stata violata la effettiva volontà del promettente venditore in contrasto con gli artt. 1362 e 1363 c.c..

Col terzo motivo si denunzia violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..

Osserva questa Corte suprema:

La Corte di appello di Catania ha argomentato che la previsione del mutuo comportava l’accettazione delle modalità di pagamento donde l’illegittimità del rifiuto del promettente venditore, il quale, in questa sede, critica detta interpretazione.

E’, tuttavia, da rilevare che presupposto essenziale per le valutazioni del caso, in ordine alle censure mosse, in astratto condivisibili, era, in attuazione del principio di autosufficienza del ricorso, riportare il testo del preliminare dal quale si potesse dedurre la diversa interpretazione oggi invocata.

Ciò premesso, tale omissione, a prescindere dalla ritualità di una impugnazione che si assume espressamente formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, sia pure con riferimento, nel secondo motivo, anche agli artt. 1362 e 1363 c.c., e solo nel terzo motivo per violazione di legge, non consente ulteriori indagini, tanto più che lo stesso ricorrente, nella premessa in fatto del ricorso, a pagina tre, deduce di essersi costituito personalmente senza assistenza di legale contestando il contenuto della citazione e solo successivamente, munitosi di difensore, di aver svolto riconvenzionale per chiedere la risoluzione per inadempimento degli attori, autorizzazione a recedere dal preliminare e trattenere la caparra. Pur senza considerare le preclusioni maturate, l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Nè può utilmente invocarsi, come sembra, la mancata considerazione del comportamento delle parti.

Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nell’art. 1362 c.c., comma 1 – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 c.c. per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario dell’art. 1362 c.c., comma 2 che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389); non senza considerare, altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare, come nella specie, atti soggetti alla forma scritta ad substantiam, non possa, in ogni caso, evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell’atto scritto medesimo (Cass. 20.6.00 n. 7416, 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474).

Resta, comunque, confermata, ai fini di una rituale impugnazione delle regole di ermeneutica contrattuale, la necessità di riportare fedelmente mediante integrale trascrizione le clausole che si vogliono interpretare per pervenire alla soluzione prospettata mentre, nella specie, a prescindere da apodittiche affermazioni, esse non vengono riportate nemmeno parzialmente o per riassunto.

In definitiva il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 2200, di cui 2000 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2011

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