Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2335 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. II, 26/01/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 26/01/2022), n.2335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8901/2017 proposto da:

G.C., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE

DAMETTI, per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.C.C., C.M., E C.S., questi

ultimi quali eredi di D.F., rappresentati e difesi

dall’Avvocato ELENA BAIO, e dall’Avvocato PAOLO PANARITI, per

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonché

L.A.;

– intimato –

avverso la SENTENZA N. 171/2017 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA,

depositata il 23/1/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/12/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. La corte d’appello, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato l’appello che G.C. ha proposto avverso la sentenza con la quale il tribunale, accogliendo la domanda proposta da P.C.C. e da D.F., lo aveva condannato al risarcimento dei danni arrecati alle stesse per aver causato, quale direttore dei lavori e della sicurezza nonché progettista dell’intervento di demolizione e ricostruzione dell’immobile adiacente di proprietà di Pa.Lu.Ca., il crollo del fabbricato, avvenuto il (OMISSIS), del quale le attrici erano, rispettivamente, proprietaria e conduttrice.

1.2. La corte, in particolare, dopo aver accertato, in fatto, che: – il G. era progettista, direttore dei lavori e responsabile della sicurezza ed aveva provveduto alla redazione del relativo piano, prevedendo la realizzazione, prima della demolizione del fabbricato di proprietà del Pa., di uno scheletro di struttura in cemento armato per salvaguardare il fabbricato confinante; – tale opera non è stata realizzata; – il G., in data 13/3/2001, si era recato in cantiere per le visite periodiche, scoprendo, solo in tale occasione, che, in difformità da quanto dallo stesso indicato, l’impresa aveva provveduto ad abbattere tutto il fabbricato preesistente fino al piano di campagna, disattendendo le indicazioni dell’appellante, che prevedevano la conservazione dei muri perimetrali fino al primo piano; ha rilevato che, pur a fronte di tale totale ed assoluta violazione di quanto previsto nel piano operativo redatto dallo stesso, non risulta che l’appellante (“salvo quanto dallo stesso affermato circa il fatto di aver genericamente dato disposizioni di proseguire nel rispetto dei progetti e delle previsioni di sicurezza”) abbia posto in essere alcuna azione concreta volta ad evitare il pericolo di crollo, di cui il progettista era consapevole in ragione della menzionata previsione del piano di sicurezza.

1.3. Peraltro, ha aggiunto la corte, “se può ritenersi evidentemente carente l’operato dell’appellante, quale responsabile della sicurezza, fino alla data 13/3/2001”, quando “si afferma che il G. avesse improvvisamente preso contezza della violazione del piano dallo stesso predisposto”, dopo tale data “la negligenza assume caratteri di chiara evidenza visto che, preso atto della violazione del piano operativo della sicurezza, il G. non aveva disposto la sospensione dei lavori fino alla realizzazione di quanto previsto nel piano ed aveva consentito la prosecuzione degli stessi mediante la realizzazione di opere di escavazione e sbancamento”.

1.4. Pertanto, ha osservato la corte, se è vero che, a norma della L. n. 143 del 1949, art. 19, comma 1, lett. g, il direttore dei lavori ha la direzione e l’alta sorveglianza dei lavori con visite periodiche nel numero necessario ad esclusivo giudizio del professionista, emanando le disposizioni e gli ordini per l’attuazione dell’opera progettata nella sue varie fasi esecutive e sorvegliandone la buona riuscita, si deve, tuttavia, osservare che, una volta verificato il mancato rispetto dei progetti, il direttore dei lavori era onerato ad un più assiduo obbligo di controllo circa la corretta ottemperanza alle proprie disposizioni.

1.5. Nel caso di specie, al contrario, tale controllo non risulta essere stato eseguito, emergendo, piuttosto, la mancanza delle opportune disposizioni per evitare il crollo e, comunque, l’omessa vigilanza circa il rispetto della pur generica disposizione di procedere secondo quanto previsto nei progetti che lo stesso appellante afferma di aver impartito all’impresa esecutrice.

1.6. Il direttore dei lavori, pertanto, ha concluso la corte, non avendo adempiuto ai suoi doveri di vigilanza e di controllo, è tenuto a rispondere, a norma dell’art. 2043 c.c., dei danni che la sua condotta ha arrecato ai terzi cui non era legato da alcun rapporto contrattuale.

1.7. La corte, infine, ha escluso la responsabilità di L.A. che, quale materiale esecutore dei lavori di sbancamento e scavo, il G. aveva chiamato in causa a propria manleva. L’appellante, infatti, ha osservato la corte, non ha contestato il fatto che il L. “non era a conoscenza del piano di sicurezza, né del mancato rispetto delle previsioni progettuali, né di quanto previsto dal predetto piano circa la necessità di realizzazione la struttura di cemento armato a protezione del fabbricato poi crollato, e neppure del fatto che lo scavo commissionato doveva essere effettuato successivamente alla realizzazione delle predette opere di contenimento”. Peraltro, l’affermazione dell’appellante circa il fatto che nessuno avesse dato disposizioni al L. circa l’esecuzione dello sbancamento è l’ulteriore prova del fatto che lo stesso “non avesse nessuna contezza della situazione di difformità esecutiva sussistente in cantiere”. D’altra parte, ha concluso la corte, anche dalle risultanze peritali e dalle prove orali emerge che “nessuno avesse informato il L. circa le prescrizioni del piano di sicurezza” le quali, per altro, non erano riferite alla specifica attività di sbancamento e scavo commissionata allo stesso.

1.8. La corte, infine, ha ritenuto che le spese di lite dovessero seguire la soccombenza, liquidandole in dispositivo.

2.1. G.C., con ricorso notificato il 27/3/2017, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata in data 26/1/2017.

2.2. L.A. è rimasto intimato.

2.3. P.C.C. nonché C.M. e C.S., quali eredi di D.F., hanno resistito con controricorso notificato l’8/5/2017, deducendo, tra l’altro, che il ricorso per cassazione, essendo stato notificato a mezzo PEC in data 27/3/2017, ore 21.02, doveva intendersi notificato, a norma del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies conv. in L. n. 221 del 2012, in data 28/3/2017, e, quindi, dopo la scadenza del sessantesimo giorno dalla notifica della sentenza, avvenuta il 26/1/2017.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1. Il ricorso per cassazione, intanto, è tempestivo. La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 75 del 19/3/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies (conv., con modif., in L. n. 221 del 2012), inserito dal D.L. n. 90 del 2014, art. 45-bis, comma 2, lett. b), (conv., con modif., in L. n. 114 del 2014), “nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta”.

3.2. La fictio iuris relativa al differimento al giorno seguente degli effetti della notifica eseguita dal mittente tra le ore 21 e le ore 24 e’, dunque, giustificata nei confronti del destinatario, poiché il divieto di notifica telematica dopo le ore 21, previsto dalla prima parte dell’art. 16-septies, tramite il rinvio all’art. 147 c.p.c., mira a tutelare il suo diritto al riposo in una fascia oraria (dalle ore 21 alle ore 24) nella quale egli sarebbe altrimenti costretto a continuare a controllare la casella di posta elettronica. Nei confronti del mittente, invece, il medesimo differimento comporta un irragionevole vulnus al pieno esercizio del diritto di difesa (segnatamente, nella fruizione completa dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio, anche nella sua essenziale declinazione di diritto ad impugnare), poiché gli impedisce di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa (che, nel caso di impugnazione, scade, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno) senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta.

3.3. Risulta, quindi, superata, in forza della predetta pronuncia di incostituzionalità, la precedente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 393 del 2019) secondo la quale “in tema di notificazione con modalità telematica, il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 septies conv. con modif. nella L. n. 221 del 2012, si interpreta nel senso che la notificazione richiesta, con rilascio della ricevuta di accettazione dopo le ore 21.00, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, comma 3, si perfeziona alle ore 7.00 del giorno successivo”, dovendosi, piuttosto, ritenere che, in tema di notificazione di atti processuali, dichiarata l’illegittimità costituzionale, con sentenza n. 75 del 2019, del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies conv. con modif. nella L. n. 221 del 2012 – nella parte in cui prevedeva che la notificazione eseguita con modalità telematiche, la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24, si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta -, trova applicazione anche in questa ipotesi il principio di scissione soggettiva degli effetti della notificazione (Cass. n. 4712 del 2020), per cui, in definitiva, in caso di notifica del ricorso per cassazione a mezzo pec, a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale n. 75 del 2019, l’applicazione della regola generale di scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione per notificante e destinatario implica che il termine per impugnare scade allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno (Cass. n. 29584 del 2021).

3.4. Nel caso in esame, il ricorso è stato notificato entro le ore 24 del giorno 27/3/2017 (il 26/3/2017 è stata domenica) ed e’, quindi, a fronte della notifica della sentenza in data 26/1/2017, senz’altro tempestivo.

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur avendo accertato che il convenuto aveva “dato disposizioni di proseguire nel rispetto dei progetti e delle previsioni di sicurezza”, ha, poi, contraddittoriamente escluso che lo stesso avesse posto in essere alcuna azione concreta volta ad evitare il pericolo di crollo, di cui, quale progettista, era consapevole in ragione della menzionata previsione del piano di sicurezza.

4.2. Una volta accertato che il G. aveva dato ordine all’impresa esecutrice dei lavori di proseguire nel rispetto del piano di sicurezza, e cioè di realizzare prima di ogni altra ulteriore attività uno scheletro di struttura in cemento armato per salvaguardare il fabbricato confinante, non si comprende per quale motivo la corte d’appello ha ritenuto che l’operato dell’appellante, quale responsabile della sicurezza, fosse stato, fino al 13/3/2001, carente e che, anzi, dopo tale data, tale negligenza sia stata di chiara evidenza poiché lo stesso, preso atto della violazione del piano della sicurezza, non aveva disposto la sospensione dei lavori fino alla realizzazione di quanto previsto nel piano ed aveva consentito la loro prosecuzione con la realizzazione di opere di escavazione e sbancamento.

4.3. Tali opere, infatti, ha evidenziato il ricorrente, sono state commissionate dall’impresa appaltatrice ed eseguiti all’insaputa del G. il quale, pertanto, non può essere ritenuto colpevole di negligenza perché aveva impartito le opportune direttive per evitare danni a terzi e non era a conoscenza delle improvvise ed illecite decisioni prese dall’impresa appaltatrice in violazione degli ordini che le aveva impartito e, quindi, delle opere di sbancamento eseguite dal L., in evidente accordo con l’impresa appaltatrice, in un solo giorno, e cioè il 16/3/2011, in modo da impedire qualsiasi controllo.

5.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione delle norme civilistiche in tema di responsabilità del subappaltatore e dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso la responsabilità di L.A., quale materiale esecutore dei lavori di sbancamento e scavo, senza considerare che lo stesso, a norma del D.Lgs. n. 494 del 1996, in vigore all’epoca dei fatti, era tenuto a trasmettere il proprio piano per la sicurezza.

5.2. D’altra parte, ha aggiunto il ricorrente, in caso di subappalto, il subappaltatore assume con l’autonoma gestione del lavoro la piena responsabilità di quanto si svolge nel luogo di lavoro, al punto che l’eventuale ingerenza dell’appaltatore esclude la responsabilità dello stesso soltanto se questi divenga un suo mero esecutore. Il L., invece, ha aggiunto il ricorrente, non ha fornito alcuna prova di essere stato un mero esecutore, come aveva eccepito, della volontà dell’impresa appaltatrice. La corte d’appello, in definitiva, avrebbe dovuto ritenere lo stesso responsabile del crollo.

6.1. Il primo motivo ed il secondo motivo sono inammissibili.

6.2. Il ricorrente, invero, tanto nell’uno, quanto nell’altro, pur lamentando il vizio consistito nella violazione di norme di legge processuale e sostanziale, ha, in sostanza, lamentato la ricognizione dei fatti, asseritamente erronea, che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle (asseritamente) diverse emergenze delle stesse, hanno, da un lato, affermato che il direttore dei lavori non aveva disposto la sospensione dei lavori di escavazione e di sbancamento da parte del direttore dei lavori nonostante l’acquisita consapevolezza (a far data dal 13/3/2001) della violazione delle prescrizioni contenute nel piano operativo della sicurezza, e, dall’altro, che di tali prescrizioni l’esecutore materiale dei predetti lavori non aveva avuto alcuna consapevolezza.

6.3. Sennonché, com’e’ noto, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, quale introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, l’accertamento della fattispecie concreta può essere censurata in cassazione soltanto nel caso in cui il ricorrente deduca che, alla luce della motivazione contenuta sul punto nella pronuncia impugnata, il giudice di merito abbia del tutto omesso l’esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”. A tal fine, peraltro, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente, che denuncia il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ha l’onere (rimasto, nella specie, inadempiuto) di indicare non una mera “questione” o un semplice “punto” della sentenza ma il “fatto storico”, principale (e cioè il fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) ovvero secondario (cioè dedotto in funzione di prova di un fatto principale), controverso tra le parti nel corso del giudizio, il cui esame sia stato omesso, nonché il “dato”, testuale o extratestuale, dal quale emerga la sua risultanza (come, in particolare, il fatto che i lavori di scavo era stati eseguiti a sua insaputa) nonché, infine, la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.). L’omesso esame, in effetti, deve riguardare un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, e cioè un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017; Cass. n. 21152 del 2014; Cass. SU. n. 5745 del 2015), e non, invece, gli elementi istruttori come tali quando il fatto storico rilevante in causa (vale a dire, nella specie, la mancata sospensione dei lavori di escavazione e di sbancamento da parte del direttore dei lavori nonostante l’acquisita consapevolezza, a far data dal 13/3/2001, della violazione delle prescrizioni contenute nel piano operativo della sicurezza e l’ignoranza di tali prescrizioni da parte dell’esecutore materiale dei lavori) sia stato comunque preso in considerazione, come in effetti è accaduto nel caso di specie, dal giudice di merito, ancorché questi non abbia dato conto, in ipotesi, di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014). La valutazione delle prove raccolte, invero, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 1234 del 2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non, appunto, per il vizio consistito, come stabilito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo: rimanendo, pertanto, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. Del resto, come più volte ribadito da questa Corte, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare “11 specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. n. 98 del 2019, in motiv.; Cass. n. 11176 del 2017). Il compito di questa Corte, d’altra parte, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, non sia solo apparente o contraddittorio o perplesso (Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in sostanza, si sia mantenuto, com’e’ accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).

6.4. La corte d’appello, in effetti, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha ritenuto, in fatto, con motivazione nient’affatto apparente o perplessa o illogica, innanzitutto, che il G., pur avendo avuto conoscenza, il giorno 13/3/2001, dell’intervenuta violazione delle prescrizioni contenute nel piano operativo della sicurezza da lui stesso predisposto, “non aveva disposto la sospensione dei lavori fino alla realizzazione di quanto previsto nel piano ed aveva consentito la prosecuzione degli stessi mediante la realizzazione di opere di escavazione e sbancamento” ed, in secondo luogo, che il L., quale materiale esecutore dei lavori di sbancamento e scavo, “non era a conoscenza del piano di sicurezza,…, né di quanto previsto dal predetto piano circa la necessità di realizzazione la struttura di cemento armato a protezione del fabbricato poi crollato, e neppure del fatto che lo scavo commissionato doveva essere effettuato successivamente alla realizzazione delle predette opere di contenimento”. Ed una volta affermato, come la corte ha ritenuto senza che tale apprezzamento sia stato utilmente censurato (nell’unico modo possibile, e cioè, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di una o più circostanze decisive emergenti dalla sentenza stessa o dagli atti del giudizio, che il direttore dei lavori non aveva disposto la sospensione dei lavori nonostante la violazione delle prescrizioni del piano della sicurezza, che pure prevedevano la realizzazione, prima della demolizione del fabbricato di proprietà del Pa., di uno scheletro di struttura in cemento armato per salvaguardare il fabbricato confinante, e che il materiale esecutore dei lavori di scavo non era a conoscenza delle previsioni contenute nel predetto piano, non si prestano, evidentemente, a censure le decisioni che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioè, da un lato, l’accoglimento della domanda proposta dalle attrici in quanto volta, in ragione dell’inadempimento da parte del direttore dei lavori ai suoi doveri di controllo e di vigilanza sulla realizzazione dell’opera in tutte le sue fasi, al risarcimento dei danni conseguenti al crollo così provocato del fabbricato vicino di cui erano proprietaria e conduttrice, e, dall’altro lato, il rigetto della domanda di manleva proposta dal direttore dei lavori nei confronti dell’esecutore materiale dello scavo per difetto di colpa in capo a quest’ultimo.

7. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di pronunciarsi sul motivo con il quale, nell’atto d’appello, era stata censurata la condanna pronunciata ai danni dell’appellante al pagamento delle spese per la fase cautelare esperita dalle attrici in corso di causa, nonostante che il tribunale avesse rigettato la domanda di sequestro conservativo proposta nei suoi confronti, per cui tali spese avrebbero dovuto essere riconosciute in suo favore o, quanto meno, compensate.

8. Il motivo è infondato. La corte d’appello, in effetti, confermando la sentenza del tribunale, ha, implicitamente, ma inequivocamente, rigettato tutte le censure proposte dall’appellante nei confronti della stessa, a partire da quella concernente la liquidazione, sulla base del principio di soccombenza nel merito, delle spese di lite maturate nel giudizio cautelare.

9. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

10. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

11. La Corte dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 4.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e le spese generali nella misura del 15%; dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

 

 

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