Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2335 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. III, 02/02/2010, (ud. 19/11/2009, dep. 02/02/2010), n.2335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIBIA

120, presso lo studio dell’avvocato BELLIENI SERGIO, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato DI PIERRO NICOLA, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELON CLAUDIO,

giusta mandato in calce i al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 469/2 008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del

28.1.08, depositata il 26/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. SCARANO Luigi Alessandro;

udito per la ricorrente l’Avvocato Sergio Bellieni che si riporta

agli scritti;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE EDUARDO

VITTORIO, che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che e’ stata depositata in cancelleria relazione che, emendata da errori materiali, di seguito si riproduce:

“Con sentenza del 26/3/2008 la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova del 10/2/2003 appellata dal sig. S.F., condannava la Sig. B. L. a restituire a quest’ultimo la somma di Euro 20.658,28, con interessi legali.

Avverso la suddetta sentenza della corte di merito la B. propone ora ricorso per Cassazione, affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso lo S..

Con il 1 MOTIVO la ricorrente denunzia omessa e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2 MOTIVO denunzia violazione dell’art. 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 MOTIVO denunzia violazione dell’art. 1813 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso dovra’ essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 366 bis c.p.c. e dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366 bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilita’ concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimita’ (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non puo’ con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 1711/2007, n. 15949).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso;

b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione;

c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si e’ precisato che l’art. 366 bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, i motivi (2 e 3) con i quali si denunzia violazione di legge recano invero un quesito di diritto formulato in modo difforme rispetto allo schema sopra delineato, in quanto connotati da genericita’ e mancanza di riferibilita’ al caso concreto dedotto all’esame della Corte, e pertanto sforniti di collegamento tale da consentire di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), non consentendo di poter circoscrivere la pronuncia nei limiti di un relativo accoglimento o rigetto, a fortiori in presenza di motivo come nella specie altresi’ carente di autosufficienza (cfr., da ultimo, Cass., 23/6/2008, n. 17064).

E’ d’altro canto da escludersi la configurabilita’ di una formulazione del quesito di diritto implicita nella formulazione del motivo di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.

Il motivo (1) ove si denunzia vizio di motivazione risulta invece privo della chiara indicazione – nei termini piu’ sopra indicati – delle ragioni delle mosse doglianze, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attivita’ esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresi’ carente di autosufficienza.

Non puo’ infine sottacersi che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimita’ che l’art. 116 c.p.c. e’ apprezzabile, in sede di ricorso per Cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimita’), e non anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (v. Cass., 20/6/2006, n. 14267; Cass., n. 24755 del 2007; Cass., 12/2/2004, n. 2707), come nel caso dall’odierna ricorrente viceversa prospettato.

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilita’ richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione e’ stata comunicata al P.G. e notificata al difensore della parte costituita;

rilevato che la ricorrente ha presentato memoria;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione, non infirmate dalle deduzioni dalla ricorrente esposte nella memoria, non potendo considerarsi invero come idoneo quesito di diritto le formulazioni recate dal ricorso del tenore “Se sia lecito e legittimo ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 116 c.p.c. che possano non concorrere nella formazione del libero convincimento del giudice tutte ed indistintamente le risultanze istruttorie, comunque ottenute ed indipendentemente dalla parte ad iniziativa della quale sono state raggiunte” e “Se sia legittimo ai sensi del disposto di cui all’art. 1813 c.c. che possa qualificarsi come contratto di mutuo secondo la nozione che dello stesso da la disposizione citata, una dazione di bene fungibile, nella specie danaro, della quale fra le parti non sia stata prevista in alcun modo la restituzione”, trattandosi invero di mere asserzioni in cui (anche) si compendia l’argomentare posto a sostegno della denunziata censura, la quale in ogni caso risulta difforme dal relativo schema – richiamato nella relazione – delineato da questa Corte (in particolare v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), appalesandosi pertanto inidoneo a consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di evincere in termini esaustivi i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360) e di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), non essendo d’altro canto l’art. 366 bis c.p.c. suscettibile di essere interpretato nel senso che il quesito di diritto possa (e a fortiori debba) desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacche’ una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258);

considerato che l’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide invero anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463;

Cass. Sez. Un., 25/11/2008. n. 28054; Cass. Sez. Un., 30/10/2008, n. 26020), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalita’ di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444);

rilevato che analoghe valutazioni valgono invero relativamente alla mancata formulazione della chiara indicazione del fatto controverso segnalata nella relazione con riferimento ai dedotti vizi di motivazione, non potendo riconoscersi invero rilievo al riguardo alle asserzioni contenute nella memoria secondo cui “quanto alla sintetica e riassuntiva enunciazione del fatto controverso, e’ indubbia la sua enucleazione nel corpo del motivo alla p. 23, 4 e 5 cpv., sotto la specie della controversa esistenza del contratto di mutuo, della dichiarazione del teste, del senso in diritto della suddetta dichiarazione, della condotta omissiva del Giudice”, e “quanto alla sintetica e riassuntiva indicazione degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione, non e’ dubbio che sia stata indicata la essenziale risposta data dall’unico teste escusso sig. B., testimonianza nella quale e’ consistita tutta l’istruttoria della causa, di cui e’ stata addirittura riportata testualmente la risposta della quale il Giudice dell’Appello non ha minimamente tenuto conto senza alcuna spiegazione, a differenza di quello di prime cure … Altrettanto, si e’ evidenziata la contraddittorieta’ insita nella decisione del Giudice del gravame relativamente a tale prova, sempre alla p. 23, 4 cpv. … si e’ anche sottolineato specificamente non solo la carenza e contraddittorieta’ della motivazione, ma in parte specifica del motivo e posta nelle ultime 1 righe della pagina 24 … si e’ evidenziato il sinallagma esistente fra i suddetti vizi e la decisione censurata, ed al medesimo tempo e’ indicata la diversa soluzione giuridica alla quale avrebbe dovuto giungere il medesimo Giudice di Appello”;

ritenuto doversi ulteriormente sottolineare come il ricorso risulta altresi’ carente di autosufficienza, laddove viene fatto riferimento ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito senza invero debitamente riportarli nel ricorso (es., il contratto de quo, le emergenze processuali);

atteso che a tale stregua le deduzioni dell’odierna ricorrente si risolvono invero nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v.

Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr., da ultimo, Cass., 18/4/2006, n. 8932), per tale via la ricorrente in realta’ sollecitando, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimita’, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimita’ non e’ un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto gia’ considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443);

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

considerato che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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