Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23349 del 24/08/2021

Cassazione civile sez. II, 24/08/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 24/08/2021), n.23349

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21837-2019 proposto da:

B.S., rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO CECI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 758/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. B.S. ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza della corte d’appello di L’Aquila che, confermando tanto la decisione della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, quanto l’ordinanza emessa dal tribunale della stessa città, ha negato, per insussistenza dei presupposti, ogni forma di protezione, rigettando la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, quella, subordinata, di protezione sussidiaria e, quella, ulteriormente subordinata, di protezione umanitaria.

La corte d’appello di L’Aquila reputa, in primo luogo, non meritevole di accoglimento il motivo di appello relativo al mancato riconoscimento dello status di rifugiato. Il sig. B. afferma, infatti, di essere fuggito dal Ghana, suo Paese d’origine, a causa delle minacce e aggressioni subite dai parenti di un ragazzo, suo amico, morto per un incidente mentre giocavano insieme a pallone. I parenti, ritenendolo responsabile della morte, gli avevano infatti procurato serie lesioni, colpendolo con un machete; la madre dell’odierno ricorrente denuncia l’aggressione alla polizia, ma questi fugge, non ritenendosi protetto. La corte osserva che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 conformemente alla Convenzione di Ginevra del 1951, richiede, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, l’aver subito atti di persecuzione riconducibili a motivi di tazza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o opinione politica, che non sembrano sussistano nel caso di specie, in cui viene in rilievo una vicenda tra privati, senza che si possano. trattare le minacce dei parenti del ragazzo morto alla stregua di minacce provenienti da un partito o organizzazione che controlla una parte consistente del territorio D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 5.

La corte reputa, altresì, infondate le censure in ordine al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria. Si allegano a tal riguardo il report del 2018 sulla condizione sociopolitica del Ghana tratto dal sito internazionale “(OMISSIS)” e un reportage pubblicato anche on line sula rivista “(OMISSIS)”, dai quali emerge l’assenza di una situazione di violenza indiscriminata, specie alla luce degli sviluppi dell’anno 2017 che, a seguito di elezioni competitive multipartitiche, hanno consentito una più ampia partecipazione, anche delle minoranze culturali, religiose ed etniche alla vita politica del Paese. Il quadro di relativa sicurezza così fornito esclude la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria richiesta dall’appellante. A ciò si aggiunge che il racconto da questi reso appare scarsamente circostanziato e privo di adeguati riscontri probatori, venendo meno l’appellante al dovere di allegare i fatti posti a fondamento della sua domanda.

Quanto, infine, alla richiesta di protezione umanitaria, la corte osserva che i gravi motivi umanitari che la giustificano presuppongono che il richiedente versi in uno stato di particolare vulnerabilità (condizioni psico-fisiche di particolare debolezza legate alla minore età, alla disabilità, allo stato di gravidanza o all’aver subito torture o stupri), che non è ravvisabile nella situazione dell’odierno ricorrente. L’appellante indica solo motivi di timore di ripercussioni da parte della famiglia del ragazzo morto e una sfiducia generalizzata nella polizia del suo paese, dalla quale non si ritiene adeguatamente tutelato. Ne’ può ritenersi che il diritto ad una vita dignitosa e l’inserimento nel tessuto sociale e lavorativo italiano possano di per sé supportare la richiesta di protezione umanitaria indipendentemente dall’accertamento della detta situazione di vulnerabilità. Peraltro, come sopra detto, dovendosi effettuare tale valutazione in chiave comparativa, la situazione del Ghana non appare tale da rendere impossibile il normale e dignitoso esercizio dei diritti umani. Si rigetta dunque anche la domanda di protezione umanitaria.

Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 il sig. B. deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 10, commi 4 e 5, , con conseguente nullità del provvedimento della Commissione Territoriale e degli atti presupposti e conseguenti per omessa traduzione degli stessi in lingua a lui conosciuta; la nullità del provvedimento impugnato per violazione della L. n. 15 del 1968, art. 14 come modificato dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18 e s.m.i. e la violazione dell’art. 137 c.p.c.; infine, la nullità del provvedimento per mancanza di sottoscrizione e omessa valutazione. La corte d’appello, ritenendo doveroso l’esame del merito del gravame, concernente le cause relative alla protezione internazionale diritti soggettivi, ha rigettato le eccezioni proposte sin dal primo grado di giudizio dall’odierno ricorrente in ordine alla nullità del provvedimento amministrativo di diniego della Commissione Territoriale. Al contrario, secondo il ricorrente, la nullità di quest’ultimo provvedimento – per – difetto della sua necessaria formalità comunicatoria comprometterebbe l’intero corso del procedimento. La traduzione non integrale del provvedimento di diniego e la consegna al destinatario di una semplice copia del detto provvedimento, priva dell’obbligatoria attestazione di conformità all’originale, determinerebbero un’evidente compromissione del diritto di difesa, da un lato, e richiederebbero l’accertamento della nullità dell’atto per carenza di sottoscrizione, dall’altro.

Con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 il sig. B. deduce la violazione di legge per mancata applicazione degli artt. 1 e 2 della Convenzione di Ginevra, per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, per la mancata applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, e la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6.

La corte territoriale avrebbe fornito una motivazione carente o del tutto mancante in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, nelle tre forme gradatamente richieste dall’odierno ricorrente, liquidandole con mere clausole di stile e omettendo di esaminare del tutto la storia personale del richiedente. Contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, parte ricorrente reputa il suo racconto logicamente coerente e credibile alla stregua dei parametri del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Contesta, infine, il diniego di permesso di soggiorno per motivi umanitaria, censurando la pronuncia d’appello nella parte ha escluso la sussistenza della situazione di particolare vulnerabilità del richiedente.

Il Ministero dell’Interno ha presentato controricorso, insistendo per l’inammissibilità del ricorso ex adverso formulato.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 7 ottobre 2020, per la quale non sono state depositate memorie.

Il sig. B.S. è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Il primo motivo – relativo alla denunciata nullità del provvedimento di diniego della. Commissione Territoriale per omessa traduzione, per irregolarità della procedura notificatoria e per inesistenza della sottoscrizione – è inammissibile per carenza di interesse alla stregua del principio che “In tema di immigrazione, la nullità del procedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto mediante ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poiché tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, e deve pervenire alla decisione nel merito circa la spettanza., o meno, del diritto stesso non potendo limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo” (Cass. 17318/19).

Parimenti inammissibile è il secondo motivo, con cui si censura la pronuncia d’appello nella parte in cui ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, nonché per la concessione della protezione sussidiaria e, in ulteriore subordine, umanitaria. Il motivo si risolve, infatti, in una generica doglianza di insufficienza e incoerenza della motivazione della sentenza impugnata – secondo il ricorrente limitata a “clausole di stile” – che pretende, sulla scorta di considerazioni astratte e scollegate dalla fattispecie (come la notizia di una sentenza di condanna morte emessa dall’Alta Corte di Accra, o il riferimento a precedenti giurisprudenziali di merito relativi a cittadini iraniani), una rivalutazione, inammissibile in sede di legittimità, degli apprezzamenti di merito operati dalla Corte territoriale.

Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, giacché il controricorso del Ministero risulta, a dispetto della indicazione della causa alla quale si riferisce (numero d’iscrizione a ruolo, nomi delle parti, decisione impugnata), privo di forza individualizzante, constando di uno schema avversativo di genere, sprovvisto cioè, di concreta attitudine di contrasto, attraverso; l’esposizione di argomenti specificamente indirizzati a quella vicenda e a quella decisione e posti a confronto di quel ricorso (in termini, Cass. 6186/21; non massimata).

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021

 

 

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