Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23341 del 16/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 16/11/2016, (ud. 03/11/2016, dep. 16/11/2016), n.23341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Gruppo Gedi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Panama 74, presso l’avv.

Carlo Colapinto, che, unitamente all’avv. Franco Gagliardi La Gala,

la rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, viale del Vignola 5, presso

l’avv. Livia Ranuzzi, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Quercia

giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia (Bari), Sez. 8 n. 23/08/13 del 5 ottobre 2012, depositata il

27 febbraio 2013, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 3 novembre 2016

dal Presidente e Relatore Dott. Raffaele Botta;

Uditi gli avv.ti Vito Antonio Martielli e Franco Gagliardi La Gala

per la parte ricorrente e l’avv. Luigi Quercia per la parte

controricorrente;

Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione di un atto di contestazione relativo alla sanzione irrogata per presunta attività di discarica abusiva svolta dalla società contribuente su lotti di propria proprietà e di un avviso di accertamento di evasione del tributo speciale per il deposito di rifiuti solidi in discarica con irrogazione delle relative sanzioni.

La società contribuente lamentava:

– difetto di motivazione degli atti impugnati;

– mancato assolvimento dell’onere della prova;

– illegittimo utilizzo di presunzioni e infondatezza nel merito;

– insussistenza di gravi indizi di colpevolezza dato che era stato dichiarato nullo dal Tribunale di Bari il decreto di sequestro preventivo per insufficienza della prova relativa a chi – proprietario o terzi – dovesse essere imputabile il contestato abbandono di materiali;

– mancata verifica sui materiali presenti sui lotti interessati al fine di accertarne la reale natura.

La Commissione adita rigettava il ricorso ritenendo infondate le deduzioni difensive della società e giudicando irrilevante la vicenda relativa al sequestro preventivo penale alla luce di quanto disposto dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 32.

L’appello della società contribuente era rigettato con la sentenza in epigrafe.

Avverso tale sentenza la società contribuente propone ricorso con sei motivi, illustrati anche con memoria, con la quale deduce in particolare l’infondatezza delle eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate da parte controricorrente e approfondisce la tematica relativa alla supposta violazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 32.

Resiste la Regione Puglia con controricorso.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Preliminarmente occorre valutare le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla parte controricorrente in relazione:

– alla violazione del principio di autosufficienza sotto il profilo della costruzione narrativa e argomentativa mediante una c.d. “farcitura” dell’esposizione con atti processuali delle fasi precedenti, metodo che secondo la giurisprudenza di questa Corte realizzerebbe nella sostanza un rinvio puro e semplice agli atti di causa (Cass. S.U. n. 16628 del 2009; S.U. n. 19255 del 2010; Cass. n. 16254 del 2012; n. 18020 del 2013);

– alla violazione dell’obbligo di indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, in quanto pur avendo la società ricorrente allegato i fascicoli di primo e secondo grado, essa non ha tuttavia precisato, nel ricorso, in quale sede processuale gli atti e i documenti ivi richiamati risultino essere stati prodotti.

1.2. Pur dovendosi riconoscere che le predette deduzioni difensive non siano affatto peregrine, ma abbiano una loro fondatezza, esse, tuttavia, per la sostanziale genericità della loro formulazione non si prestano ad una risoluzione in via generale e definitiva del ricorso stesso, con possibile assorbimento di ogni altra questione: pertanto delle stesse dovrà tenersi conto caso per caso nella valutazione dei singoli motivi di impugnazione.

2. Passando quindi all’esame dei motivi, con il primo di essi la società contribuente lamenta che il giudice di merito abbia omesso di pronunciarsi – di qui la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c. – su questioni per l’identificazione delle quali la stessa ricorrente si affida alla integrale trascrizione della “memoria integrativa” che essa avrebbe depositato in occasione dell’udienza dell’11 maggio 2012, affermando che dal “semplice confronto” tra la predetta memoria e la sentenza impugnata emergerebbe “ictu oculi il (denunciato) vizio di omessa pronuncia”.

2.1. Il motivo è inammissibile in quanto la parte ricorrente, in patente contrasto con quanto stabilito da questa Corte in ordine alle regole nelle quali si sostanzia il principio di autosufficienza, risolve le proprie argomentazioni trascrivendo “pedissequamente e per intero nel ricorso atti e documenti di causa, addossando in tal modo alla Corte il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi quelli rilevanti ai fini del decidere” (Cass. n. 16254 del 2012; n. 2527 del 2015).

2.2. Ciò appare ancor più evidente laddove si rilevi che il giudice di merito – nonostante il carattere “integrativo” della memoria cui si è fatto riferimento non lo imponesse per la novità delle questioni dedotte – si è in realtà pronunciato – e di qui l’infondatezza della censura in esame – su non poche di tali questioni, come parzialmente (e, in verità, contraddittoriamente con la denuncia di omessa pronuncia) la ricorrente ammette: una simile circostanza avrebbe ancor più dovuto esigere da parte della ricorrente una attenta e circostanziata precisazione della natura, dei limiti e della effettiva sostanza della omissione di pronuncia lamentata.

3. Con il secondo motivo, la società contribuente censura la sentenza impugnata per violazione di norme di diritto in relazione alla ritenuta inapplicabilità del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 192 e 256 e per falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L.R. Puglia n. 5 del 1997, art. 2, L.R. Puglia n. 25 del 1997, art. 9 e L.R. Puglia n. 38 del 2011, art. 7, affermando, da un lato, che il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza fa riferimento esplicito al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 192 e 256 e affidando, dall’altro, le proprie argomentazioni alla integrale trascrizione delle circostanze in fatto rappresentate nel ricorso originario e dei primi due motivi di appello.

3.1. Il motivo – rispetto al quale valgono le medesime ragioni di inammissibilità già rilevate a proposito del primo motivo per il fatto di consistere sostanzialmente nella integrale trascrizione di atti processuali non funzionale a specifiche e circostanziate contestazioni della decisione impugnata – si palesa inammissibile in quanto la ratio decidendi della sentenza impugnata consiste non nella ritenuta inapplicabilità del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 192 e 256, bensì nella applicazione di quanto disposto dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 32, secondo periodo. La prevede che “l’utilizzatore a qualsiasi titolo o, in mancanza, il proprietario dei terreni sui quali insiste la discarica abusiva, è tenuto in solido agli oneri di bonifica, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie ai sensi della presente legge, ove non dimostri di aver presentato denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della regione, prima della constatazione delle violazioni di legge”: e il giudice di merito esplicitamente afferma che “dagli atti di causa l’appellante società non risulta aver mai adempiuto all’obbligo di presentare regolare denuncia ai competenti organi”.

3.2. Questa affermazione, nella quale si condensa in via principale la ratio decidendi, non risulta oggetto di adeguate censure, nè appare contrastata da efficaci strumenti probatori.

3.3. Questa Corte, a Sezioni Unite, ha riconosciuto che “qualunque soggetto che si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli – e per ciò stesso imporgli – di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell’ambiente” è, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192, solidalmente responsabile dell'”abbandono di rifiuti”: “il requisito della colpa postulato da tale norma può ben consistere”, precisa la Corte, “nell’omissione delle cautele e degli accorgimenti che l’ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un’efficace custodia” (Cass. S.U. n. 4472 del 2009).

3.4. Ciò, da un lato, priva di rilevanza qualsiasi considerazione sulla supposta inapplicabilità nella fattispecie delle disposizioni di cui al citato art. 192; dall’altro, segnala la necessità di una rigorosa prova – che nel caso è carente, persino a livello di deduzione difensiva – dell’adozione di concreti comportamenti incompatibili con l'”omissione delle cautele e degli accorgimenti che l’ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un’efficace custodia”, prova il cui onere incombe a carico del soggetto che la norma definisce solidalmente corresponsabile.

3.5. Risulta poi inconferente ogni discorso in ordine alla differenza (ontologica, la definisce la parte ricorrente) tra “esercizio di discarica abusiva” e “attività di abbandono di rifiuti”, la quale, se può avere una rilevanza ove si tratti di definire e determinare – e non è questo il caso – le diverse sanzioni penali che colpiscono i comportamenti che integrano l’una o l’altra fattispecie, altrettanta rilevanza non ha ai fini tributari e non lo ha in ogni caso per quel che concerne la già ricordata ratio decidendi della sentenza impugnata.

4. Con il terzo motivo di ricorso, la società contribuente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 32, L.R. Puglia n. 5 del 1997, art. 2, comma 3, nonchè in relazione alla L.R. Puglia n. 2 del 1989 e L.R. Puglia n. 37 del 2011, per aver il giudice di merito ritenuto irrilevante la denuncia presentata dal geom. T. alla Polizia Municipale di (OMISSIS), affermando che la normativa tributaria in materia imporrebbe la presentazione della denuncia ai competenti organi regionali.

4.1. Il motivo, oltre a presentare profili di inammissibilità in ordine alla genericità del richiamo alla L.R. Puglia Puglia n. 2 del 1989 e L.R. Puglia n. 37 del 2011 e per il sostanziale risolversi delle argomentazioni nella ritenuta “evidenza” del vizio denunciato nella sentenza impugnata, è infondato in quanto la L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 32, stabilisce che alla solidale responsabilità è possibile sottrarsi solo dimostrando la presentazione di apposita “denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della regione” e in modo del tutto analogo la L.R. Puglia n. 5 del 1997, art. 2, comma 3, prevede, allo stesso scopo, la presentazione di apposita “denuncia di discarica abusiva alla competente struttura regionale”.

4.2. Resta indimostrato (e a ben vedere nemmeno la parte ricorrente in ultima analisi lo sostiene) che la L.R. Puglia n. 2 del 1989, prima e la L.R. Puglia n. 37 del 2011, poi, nel dettare la disciplina che regolamenta la “polizia locale” abbiano disposto una pretesa equivalenza di una denuncia presentata alla Polizia Municipale alla denuncia prevista dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 32 (e dalla L.R. Puglia n. 5 del 1997, art. 2, comma 3).

5. Con il quarto motivo, la parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla ritenuta applicabilità nella fattispecie sia della L. n. 549 del 1995, art. 3, che della L.R. Puglia n. 5 del 1997 e L.R. Puglia n. 25 del 2007, norme configuranti la responsabilità a titolo di “discarica abusiva”, mentre, ad avviso di essa ricorrente, “il giudizio tributario nel suo svolgimento – in specie di appello – ha portato ad accertamenti, non contestabili nè contestati, di fatti diversi e tali da non potere costituire – a carico di Gruppo GEDI s.r.l. – alcun legittimo presupposto applicativo delle leggi citate”.

5.1. Il motivo è inammissibile in quanto si risolve sostanzialmente in argomentazioni assertive senza alcun concreto riferimento, nel rispetto del principio di autosufficienza, a specifiche circostanze che sarebbero state dedotte e accertate (quando e come) in contrasto con quelle definite dalle norme ritenute inapplicabili.

5.2. Il motivo sembra configurare, in buona sostanza, una “delega” alla Corte perchè essa – attraverso una ricostruzione ex officio della realtà processuale, che eccede appieno i confini del giudizio di legittimità – accerti la supposta (ma del tutto indimostrata) inapplicabilità della citata normativa.

6. Con il quinto motivo, la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. bb) e art. 186, per aver il giudice di merito ritenuto che l’autorizzazione a deposito provvisorio di materiale da scavo rilasciata dal Comune di Altamura alla società CO.GE.STIM non potesse valere ad escludere l’omessa presentazione della denuncia di discarica abusiva.

6.1. Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni più volte illustrate con riferimento ai precedenti motivi di ricorso e per la genericità delle argomentazioni, mancando qualsiasi specifica indicazione circa l’effettiva sussistenza delle condizioni richieste dalla legge perchè si realizzi una fattispecie di “deposito temporaneo” D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 183, tanto in relazione alla “temporaneità” (che non può eccedere l’anno), quanto in relazione alla “quantità dei rifiuti in deposito” (che non può eccedere i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi): anzi con riferimento ai requisiti della temporaneità e della quantità, il motivo si palesa infondato sol che si pensi al fatto che l’autorizzazione citata dalla parte ricorrente porterebbe la data del 13 ottobre 2000, mentre il sequestro del terreno è avvenuto il 4 luglio 2008 (circostanza che denuncia ictu oculi una gestione pluriennale dell’attività di deposito rifiuti), e al fatto che la quantità di rifiuti accertata è stata di 34.128,20 metri cubi, ben oltre il limite quantitativo consentito dalla legge.

6.2. Nè può ritenersi ammissibile una censura relativa alla supposta violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186, che si risolva nella mera argomentazione della inapplicabilità della suddetta disciplina per l’avvenuta abrogazione della norma da parte del D.L. n. 1 del 2012, art. 49 (convertito con modificazioni dalla L. n. 27 del 2012).

6.3. Quest’ultima disposizione prevede che l’utilizzo delle terre e rocce da scavo sia regolamentato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e che dalla data di entrata in vigore di tale decreto sia abrogato il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186: il regolamento in questione è stato emanato con “decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161”, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 21 settembre 2012 (ed entrato, quindi, in vigore il 6 ottobre dello stesso anno).

6.4. Sicchè al momento nel quale il giudice d’appello ha adottato la propria decisione, il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186, era del tutto vigente: di qui anche l’infondatezza delle deduzioni difensive della società ricorrente.

6.5. Se poi dal piano formale si passi al piano sostanziale, è agevole osservare che nel caso di specie non si tratta in ogni caso della mera abrogazione di una norma, bensì della sua “sostituzione” con altra (e più rigorosa) disciplina della medesima “materia”: sicchè con riferimento a quanto affermato dal giudice di merito in ordine alla mancata prova della “diversa natura dei materiali conferiti” e all'”eventuale riutilizzo dei materiali discaricati”, l’esito dell’accertamento non sarebbe stato sostanzialmente diverso se si fosse fatta applicazione della nuova disciplina dettata dal D.L. n. 1 del 2012.

7. Con il sesto motivo, la società contribuente denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza gravata in ordine ad accertamenti di fatto da ritenersi decisivi e acquisiti, quali elementi probatori nel corso del giudizio d’appello”.

7.1. Il motivo – che, per come è dedotto dalla società ricorrente, si palesa infondato, in quanto il vizio di motivazione non può mai consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte (v. Cass. n. 6288 del 2011) – è, prima di tutto, inammissibile.

7.2. Esso è dichiaratamente formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “nella versione precedente” a quella derivante dalla L. n. 134 del 2012, art. 54, sul presupposto della ritenuta inapplicabilità di quest’ultima disposizione al processo tributario.

7.3. Questa Corte, tuttavia, a Sezioni Unite ha affermato che “le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito” (Cass. S.U. n. 8053 del 2014).

7.4. Si può rilevare che la censura sarebbe stata inammissibile anche nella prospettiva della previgente disciplina legislativa in quanto consistente, secondo l’orientamento espresso da questa Corte, in una mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, “quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro”: infatti, osserva la Corte, “l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass. n. 19443 del 2011).

8. Pertanto il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio, che liquida in complessivi Euro 12.000,00 oltre alle spese forfettarie 15% e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2016

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