Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23341 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 06/10/2017, (ud. 20/04/2017, dep.06/10/2017),  n. 23341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13946-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI

55 STUDIO MONACO SORGE, presso lo studio dell’avvocato ANNALISA

GIANNETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LAURA GIORDANI giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6/2010 della COMM.TRIB.REG. della Liguria,

depositata il 03/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione contro F.R. avverso la sentenza del 3febbraio 2009, con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Liguria ha rigettato il suo appello avverso la sentenza, resa in primo grado inter partes dalla Commissione Tributaria Provinciale di Imperia.

Quella sentenza aveva accolto il ricorso proposto dal F., per

ottenere l’annullamento della cartella esattoriale n. (OMISSIS), notificatole in qualità di esattore dalla Sestri s.p.a. per conto dell’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS), in relazione all’iscrizione a ruolo di imposte, a titolo di i.v.a. riguardo agli anni 1980, 1981, 1982 e 1983, per l’importo di Euro 195.227,14 comprensivo di accessori, dovuto dalla società di fatto “(OMISSIS)” ed a lui richieste in relazione alla sua qualità di socio al 10% e, quindi, di soggetto solidalmente obbligato al pagamento.

2. Al ricorso, che prospetta otto motivi, ha resistito con controricorso l’intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce “error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, sotto un primo profilo”.

Vi si censura la sentenza impugnata per non avere deciso sul motivo di appello con cui la ricorrente aveva lamentato che il primo giudice avesse dato rilievo all’eccezione di prescrizione, nonostante essa fosse stata sollevata non già con il ricorso introduttivo della lite, ma con la memoria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24.

La ricorrente, riproduce la deduzione fatta a pagina 1 dell’atto di appello e quella ulteriormente fatta a pagina 3 ed evidenzia di avere lamentato che solo con la memoria depositata l’8 gennaio 2008 il contribuente aveva dedotto la prescrizione della pretesa tributaria per decorso del termine di cui all’art. 2948 c.c., n. 4. Ne desume che la deduzione costituiva l’introduzione illegittima di un nuovo motivo di impugnazione.

1.2. Il motivo è fondato.

Effettivamente del motivo di appello che era stato prospettato nei termini indicati la commissione territoriale si è del tutto disinteressata, atteso che essa si è limitata ad osservare che la questione di prescrizione era fondata.

Parte resistente non obietta alcunchè sulla circostanza dell’introduzione della questione di prescrizione con la memoria indicata dalla difesa erariale, il che rende incontroverso che essa fosse stata proposta come motivo aggiunto. Replica, invece, che l’Agenzia delle Entrate aveva eccepito l’inammissibilità della introduzione della questione di prescrizione soltanto con l’atto di appello e sostiene che, essendo stata emanata la normativa del D.Lgs. n. 546 del 1992, regolatrice del processo tributario, quando vigeva la disciplina del processo di cognizione ordinario anteriore alle modifiche previste dalla L. n. 353 del 1990 (e successivamente entrate in vigore), l’inammissibilità come motivo aggiunto della prospettazione della prescrizione avrebbe dovuto essere eccepita dall’Agenzia nel giudizio di primo grado, mentre essa, all’udienza di discussione, pur essendosi il difensore del resistente riportato alla deduzione della memoria del 3 gennaio 2008, aveva concluso come in atti, sicchè in tal modo avrebbe accettato il contraddittorio sulla domanda del F., estesa al motivo aggiunto.

Ciò, si sostiene, secondo la logica che nella disciplina previgente alla riforma della L. n. 353 del 1990, si riteneva operante di fronte all’introduzione di una nuova domanda, reputando che essa fosse soggetta a rilievo di parte, in mancanza del quale il contraddittorio sulla domanda nuova si doveva considerare implicitamente accettato.

1.3. L’assunto della resistente si sostanzia nell’evidenziare che la violazione di norme del procedimento – certamente commessa dalla sentenza impugnata nel non pronunciare sul motivo di appello – non avrebbe avuto carattere decisivo, cioè incidente sulla decisione e ciò perchè il motivo aggiunto sulla prescrizione si doveva ritenere esaminabile.

Secondo la resistente si dovrebbe attribuire alla circostanza che la disciplina del processo tributario di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992 sia intervenuta in un momento in cui la legge processuale civile generale era ancora quella scaturita dalla nota riforma del 1950, che aveva eliminato quasi del tutto il principio di preclusione, che invece informava il codice di rito nella sua stesura originaria, un effetto di integrazione di quella disciplina. Ciò, nel senso di dare rilievo al potere di rilevazione della parte ed al suo tempestivo esercizio ai fini dell’applicazione dei limiti dei motivi aggiunti.

Senonchè un simile effetto non era affatto predicabile con riferimento alla disciplina del D.Lgs. cit., art. 24, comma 2, allorquando esso venne emanato, giacchè l’attribuire al tempestivo potere di eccezione della parte la rilevazione dell’inosservanza dei limiti della proponibilità di motivi aggiunti si scontrava già allora con l’assoggettamento del potere di proporre motivi aggiunti (peraltro, entro limiti ben individuati) ad un termine perentorio.

La previsione della perentorietà del termine di proposizione evidentemente implicava che la garanzia dell’osservanza del termine fosse affidata anche al potere officioso del giudice, sicchè non era in alcun modo sostenibile che un atteggiamento della parte convenuta potesse derogare all’osservanza del termine e, di conseguenza, attesa la connotazione pubblicistica della previsione, nemmeno era sostenibile che potesse rilevare un atteggiamento di acquiescenza di quella parte rispetto a motivi aggiunti non rispondenti alle condizioni previste dalla norma.

Fermo quanto osservato, si deve, poi, aggiuntivamente rilevare che la prospettazione del resistente è ancora più incongrua, volta che si tenga conto che il giudizio di cui è processo ed in particolare la memoria contenente i motivi aggiunti si sono collocati in un momento in cui da tempo la disciplina del processo civile, per effetto della riforma di cui alla L. n. 353 del 1990 era mutata e si era ispirata al principio di preclusione affidato al potere di rilevazione officiosa.

1.4. Parte resistente contesta, poi, la decisività dell’omessa pronuncia adducendo che l’introduzione della prescrizione non era un motivo aggiunto, essendo la sua invocazione implicata già dall’originaria impugnazione, siccome espressa da tre passi del ricorso introduttivo del giudizio, che esprimevano la radicale contestazione della pretesa fiscale.

In pratica si sostiene che la deduzione della prescrizione era implicita in quella radicale contestazione di quella pretesa.

L’assunto è privo di pregio. Nei tre passi riportati in ricorso non si coglie alcun riferimento alla prescrizione, che essendo una ragione di impugnazione riservata al monopolio della parte nella formulazione della domanda con un apposito motivo supponeva una manifestazione espressa o comunque formulata con enunciazioni chiare che ne individuassero l’oggetto, cioè la direzione impugnatoria della pretesa tributaria per il decorso della prescrizione.

Predicare che un motivo di ricorso tributario si possa reputare proposto implicitamente è un fuor d’operar proprio perchè contraddice il monopolio della parte ricorrente nella formulazione delle ragioni di doglianza, che assegna alla domanda nel processo tributario carattere necessariamente eterodeterminato, con la conseguenza che ogni ragione di censura, cioè ogni fatto costitutivo della domanda impugnatoria, debba essere espressamente enunciato con un’attività che esprima la volontà della parte di dedurla.

1.5. Priva di fondamento è, poi, l’ulteriore replicatio del resistente in ordine alla non configurabilità dell’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alla mancata decisione su un motivo di appello, atteso che, inerendo il motivo di appello alla stessa formulazione della domanda di tutela rivolta al giudice d’appello, il non pronunciare su di esso, quando era necessario pronunciare, integra la violazione di quel paradigma (ex multis: Cass. (ord.) n. 6835 del 2016; n. 25761 del 2014). L’evocazione di giurisprudenza che esclude la rilevanza della violazione di norma del procedimento, allorquando dal tenore della decisione si evinca una implicita motivazione di infondatezza, è fuor di luogo, giusta le considerazioni svolte nel precedente paragrafo.

2. Con un secondo motivo si prospetta “error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, sotto un secondo profilo”.

Il motivo concerne l’omessa pronuncia sul motivo di appello, con cui la ricorrente aveva dedotto che illegittimamente, in violazione del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, i primi giudici avevano rilevato d’ufficio la decadenza dell’Amministrazione dall’iscrizione a ruolo, nonostante che il resistente non avesse proposto la questione come motivo di impugnazione.

2.1. Anche questo motivo è fondato.

Premesso che la doglianza della ricorrente è palesemente fondata, atteso che non vi è traccia nella motivazione della sentenza impugnata dell’esame del detto motivo di appello, si rileva che, anche qui erroneamente, il resistente sostiene che l’omesso esame non abbia avuto effetto incidente sulla decisione, in quanto, in buona sostanza, se il motivo fosse stato esaminato, si sarebbe dovuto ritenere corretto l’operato dei primi giudici, alla stregua del principio secondo cui compete al giudice qualificare in iure le deduzioni della parte e una volta considerato che il F., avendo sostenuto la nullità dell’iscrizione a ruolo, aveva svolto una contestazione della pretesa tributaria implicante la deduzione della decadenza.

E’ sufficiente osservare che tale prospettazione si scontra nuovamente con la necessità che il ricorrente tributario introduca con un apposito motivo di impugnazione le ragioni di impugnazione della pretesa tributaria, necessità che implica anche in tal caso che la relativa introduzione non possa avvenire nemmeno con i motivi aggiunti (si ricorda in proposito che è consolidato il principio di diritto, secondo cui: “In tema di contenzioso tributario, la decadenza dell’Amministrazione dal potere di accertamento, non rilevabile d’ufficio in quanto rimessa alla disponibilità della parte, non può essere eccepita dal contribuente mediante la presentazione di motivi aggiunti, in quanto l’integrazione dei motivi di ricorso è consentita dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 24, comma 2, soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e, siccome tale ultima disposizione pone una preclusione processuale, non può essere ricollegato alcun effetto sanante al comportamento dell’Amministrazione di accettazione del contraddittorio nel merito”: Cass. n. 12442 del 2011).

Tanto esclude in radice la validità dell’assunto del F. che la commissione tributaria di primo grado abbia esaminato la questione ritenendola implicitamente proposta e qualificando quanto si era prospettato nel ricorso introduttivo.

Ciò si osserva non senza che debba rilevarsi in via dirimente che la replicatio del F. è inammissibile per manifesta violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che non indica in quali espressioni del ricorso introduttivo si potesse cogliere la deduzione della decadenza. Tanto costituisce anche violazione del principio di specificità del motivo di ricorso per cassazione, recentemente confermato da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017.

3. Con il terzo motivo si prospetta ancora “error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2”, sotto un terzo profilo e, questa volta, si imputa alla sentenza impugnata di non avere esaminato il motivo di appello, con cui si era denunciato che i primi giudici avessero dato rilievo all’eccezione di mancata preventiva escussione del patrimonio societario, ancorchè essa fosse stata introdotta con la memoria, sempre in violazione del citato D.Lgs., art. 24.

3.1. Anche questo motivo è fondato, non risultando che il giudice d’appello abbia deciso sul detto motivo di appello.

4. I primi tre motivi vanno conclusivamente accolti e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Liguria, in diversa composizione. Il giudice di rinvio provvederà a decidere sui detti motivi e terrà anche conto dei principi qui affermati per disattendere le repliche del ricorrente.

Restano assorbiti gli altri motivi di ricorso.

Concernendo essi ragioni gradate rispetto all’esame dei detti motivi di appello di cui si è omessa la cognizione ed avendo l’omesso esame comportato la cassazione della sentenza, non ne è necessario l’esame, atteso che le parti di sentenza che avrebbero commesso gli errori denunciati con detti motivi risultando caducate in conseguenza ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 1, perchè la pronuncia in esse espressa al riguardo dipendeva dalle censurate omissioni di pronuncia.

5. Al giudice di rinvio è rimesso di decidere sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

 

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso e cassa la sentenza

impugnata in relazione. Dichiara assorbiti gli altri motivi.

Rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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