Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2334 del 03/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 03/02/2020), n.2334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32519/2018 R.G. proposto da:

M.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Rosario Garozzo, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

T.A.E.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanna

Pedalino, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– controricorrente –

e

Avv. GAROFALO LAURA, in qualità di curatrice speciale del defunto

T.F., da sè medesima rappresentata e difesa, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– controricorrente –

e

S.V.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 1827/18

depositata il 6 agosto 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre

2019 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO

che M.G. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, illustrati anche con memoria, avverso la sentenza del 6 agosto 2018, con cui la Corte d’appello di Catania ha rigettato il gravame da lui interposto avverso la sentenza emessa il 6 marzo 2017 dal Tribunale di Catania, che aveva accolto l’impugnazione per difetto di veridicità proposta da T.A.E.A., in qualità di figlia del defunto T.F., contro il riconoscimento effettuato dal padre con atto dell'(OMISSIS), dichiarando inammissibile l’intervento spiegato dal ricorrente, e condannandolo al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c.;

che hanno resistito con controricorsi la T. e l’Avv. G.L., convenuta in giudizio in qualità di curatrice speciale di T.F., mentre non ha svolto attività difensiva S.V., intervenuta nel giudizio di appello in qualità di madre dell’attrice.

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata e di quella di primo grado, per violazione dell’art. 247 c.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e dell’art. 354 c.p.c., sostenendo che nel giudizio di primo grado avrebbe dovuto essere disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della S., in qualità di coniuge ed erede del T., alla quale spettava la legittimazione passiva, erroneamente riconosciuta al curatore speciale;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 102,112 e 268 c.p.c., rilevando che la Corte d’appello ha omesso di pronunciare in ordine al motivo di gravame con cui era stata fatta valere la nullità del giudizio, essendosi limitata a dare atto dell’avvenuto rigetto delle censure riguardanti l’inammissibilità dell’intervento spiegato da esso ricorrente, senza considerare che colui che interviene nel processo assume la posizione di parte, e può quindi proporre eccezioni rilevabili d’ufficio, quale il difetto di legittimazione passiva;

che i due motivi, da trattarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono infondati;

che la sentenza impugnata non ha affatto omesso di esaminare i motivi di gravame riguardanti la legittimazione passiva della madre dell’attrice e l’esistenza di eredi del padre, avendoli espressamente presi in considerazione, ma avendo affermato che, in quanto attinenti al merito della domanda proposta dall’attrice, le predette censure dovevano ritenersi precluse dalla conferma della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva dichiarato inammissibile l’intervento del ricorrente;

che il rilievo di tale preclusione, più correttamente qualificabile come assorbimento improprio, configurabile nel caso in cui la decisione di una questione escluda la necessità o la possibilità di provvedere in ordine ad altre (cfr. Cass., Sez. I, 12/11/2018, n. 28995; 6/04/2018, n. 8571; 27/12/ 2013, n. 28663), impedisce di ritenere sussistente il vizio di omessa pronuncia, il quale, presupponendo l’assoluta mancanza del provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non è ravvisabile allorquando, come nella specie, una questione sia stata espressamente o implicitamente ritenuta assorbita da altre statuizioni della sentenza (cfr. Cass., Sez. lav., 26/01/2016, n. 1360; Cass., Sez. V, 20/02/2015, n. 3417; Cass., Sez. III, 25/09/2012, n. 16254);

che il rilevato assorbimento dei motivi di appello riguardanti la legittimazione passiva e l’integrità del contraddittorio non si pone affatto in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità invocato dal ricorrente, secondo cui colui che abbia spiegato intervento volontario nel giudizio, avendo assunto formalmente la qualità di parte, è legittimato a proporre appello contro la decisione che abbia concluso il primo grado del giudizio non solo quando le sue istanze siano state respinte nel merito, ma anche quando sia stata negata l’ammissibilità dell’intervento ovvero sia stata omessa ogni pronuncia sulla domanda formulata con l’intervento stesso (cfr. Cass., Sez. II, 29/01/2015, n. 1671; Cass., Sez. I, 23/05/2002, n. 7541; 19/03/1979, n. 1592);

che la proposizione dell’impugnazione è infatti subordinata non solo al possesso della relativa legittimazione, derivante dall’assunzione formale della qualità di parte nel precedente grado di giudizio, ma anche alla sussistenza del relativo interesse, che, in quanto collegato alla soccombenza della parte, da intendersi in senso non meramente teorico, dev’essere accertato in relazione alle statuizioni specificamente adottate nella sentenza impugnata, ed alla conseguente utilità che la parte potrebbe concretamente trarre dall’accoglimento dell’impugnazione;

che correttamente, nella specie, la sentenza impugnata ha ritenuto che la conferma dell’inammissibilità dell’intervento, non censurata in questa sede, escludesse l’interesse del ricorrente all’esame delle altre questioni sollevate con i motivi di appello, in quanto le stesse, riguardando la corretta instaurazione del rapporto processuale tra le parti originarie del giudizio, dovevano ritenersi logicamente e giuridicamente subordinate a quella concernente la legittimazione dell’interventore a prendervi parte;

che il ricorrente non avrebbe potuto infatti trarre alcuna utilità dall’accertamento dei vizi lamentati, se non a seguito della dichiarazione di ammissibilità dell’intervento, la cui esclusione, confermata in appello, comportava la sua estraneità al rapporto processuale instauratosi tra le parti legittimate ad agire e a resistere in riferimento alla fattispecie sostanziale dedotta in giudizio;

che con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della conferma della condanna al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., ha rilevato che egli aveva sollevato questioni nuove in appello ed aveva reso falsa testimonianza in primo grado, senza tener conto della rilevabilità d’ufficio del difetto di legittimazione passiva e della sanzione penale prevista per la falsità della deposizione, resa comunque prima dell’intervento in giudizio;

che il motivo è inammissibile;

che, nel ritenere sussistente la responsabilità aggravata, la Corte di merito si è infatti attenuta correttamente all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la mala fede o la colpa grave richieste dall’art. 96 c.p.c., comma 1, devono essere ravvisate rispettivamente nella coscienza dell’infondatezza della propria tesi difensiva e nella mancata utilizzazione della normale diligenza ai fini dell’acquisizione di tale consapevolezza, il cui accertamento, risolvendosi in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, nei limiti in cui lo stesso risulta ancora deducibile come motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, (cfr. Cass., Sez. III, 29/09/2016, n. 19298; Cass., Sez. II, 12/01/2010, n. 327);

che, nel contestare il predetto apprezzamento, il ricorrente non è in grado d’indicare elementi di fatto trascurati dalla sentenza impugnata o lacune argomentative o incongruenze talmente gravi da impedire la ricostruzione del percorso logico seguito per giungere alla decisione, ma si limita a porre in risalto circostanze che, in quanto attinenti alla formale conformità del comportamento da lui tenuto alla disciplina processuale, risultano inidonee ad escludere la configurabilità di un sostanziale abuso dello strumento processuale;

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuna delle controricorrenti in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2020

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