Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23335 del 16/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 16/11/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 16/11/2016), n.23335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15527/2015 proposto da:

M.G., M.T., M.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE MACCARI, 123, presso lo studio

dell’avvocato VINCENZO PORFIDIA, che li rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTIGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 7799/21/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, emessa il 21/10/2014 e depositata il

19/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIA.

Fatto

IN FATTO

M.T., M.F. e M.G. propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della Agenzia delle Entrate (costituitasi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 7799/21/14, depositata in data 19/12/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’imposta di successione dovuta (in misura proporzionale anzichè fissa), in relazione alla morte di R.G.M. e del diniego di definizione agevolata, della L. n. 289 del 2002, ex art. 16 – in sede di rinvio, a seguito alla sentenza di questa Corte n. 22847/2013, è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente, nel merito ed in punto di illegittimità del diniego di condono.

In particolare, la Commissione Tributaria Regionale ha affermato che, essendo oggetto dell’avviso di liquidazione non la tassa di successione, ma le imposte e tasse ipotecarie e catastali, l’atto impositivo doveva qualificarsi “come di mera riscossione”. All’esito di detto ragionamento, il giudice del rinvio ha escluso l’applicabilità alla fattispecie della L. n. 289 del 2002, art. 16, con conseguente rigetto dell’appello dei contribuenti.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Diritto

IN DIRITTO

1. 1 ricorrenti lamentano, con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in quanto “il Giudice del rinvio ha illegittimamente esteso la propria indagine su questioni che gli erano ormai precluse”, vale a dire l’operatività della L. n. 289 del 2002, art. 16, nella presente controversia. Con il secondo motivo, articolato in tre parti, i ricorrenti lamentano, sempre ex art. 360 c.p.c., n. 3, l’erronea applicazione e/o violazione della n. 289 del 2002, art. 16, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, dell’art. 112 c.p.c. e art. 394 c.p.c., comma 2, per aver la C.T.R. errato nel considerare memorie tardivamente prodotte dall’Agenzia delle Entrate ed aver in tal modo modificato, in senso peggiorativo per gli odierni ricorrenti, il thema decidendum, nonchè per aver omesso, viceversa, di valutare, all’interno della nuova e comunque contestata qualificazione del merito, da un lato, “gli ulteriori motivi di ricorso proposti dai contribuenti nell’atto di appello” e, dall’altro, le proposte ragioni di appello, in merito alla procedura adottata dall’Agenzia delle Entrate.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento del secondo. Questa Corte nel giudizio rescindente (sentenza n. 22847/22013) ha affermato che l’avviso di liquidazione in contestazione, pur astrattamente scomponibile in due parti (“l’ufficio da un lato, aveva ritenuto insufficienti quelli (i versamenti per imposta ipotecaria e catastale – perchè eseguiti in misura fissa, invece riservata alla sola acquisizione di immobili da utilizzare come prima abitazione, anzichè in misura proporzionale – e, dall’altro, aveva disconosciuto, per insufficiente documentazione, le passività esposte”), non può essere giuridicamente interpretato, “diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’appello”, alla stregua di atto meramente liquidatorio. Con le ulteriori conseguenze: “rientra nell’ambito applicativo del beneficio la controversia conseguente all’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione il quale partecipi nella sostanza alla funzione propria dell’accertamento. Tale è la situazione che viene in rilievo quando – come nella specie – l’avviso sia stato emesso previa valutazione e rettifica, da parte dell’ufficio finanziamento dell’effettiva esistenza di passività dichiarate, derivandone in tal caso, la persistente controvertibilità del presupposto della materia imponibile (e v. difatti Sez. 5, n. 8196/11, in fattispecie di liquidazione dell’imposta di successione a seguito del diniego di una passività da minusvalenza da operazione valutaria a termine; ma v. anche per analoga affermazione di principio Sez. 5, n. 20731/10; n. 4566/10; n. 4129/09)”.

Questa Corte ha quindi rinviato “alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, la quale rinnoverà la pronuncia sul reclamo avverso il diniego di condono, uniformandosi al principio di diritto sopra esposto e verificando se la materia del contendere sia in effetti cessata per intervenutaa estinzione”.

Al giudice del rinvio, pertanto, non è stato affidato il compito di reinterpretare l’avviso di liquidazione, ormai qualificato come non meramente liquidatori e di conseguenza rientrante nell’ambito di applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, ma, viceversa, di verificare l’effettiva estinzione della lite, vale a dire se la fattispecie risultasse o meno, in tal modo, globalmente sanata.

3. Il giudice del rinvio è andato oltre il compito assegnatogli.

Il quadro di diritto delineato nel giudizio rescindente imponeva al giudice del rinvio una determinata interpretazione della fattispecie, attenendosi non solo al principio di diritto enunciato dalla Corte ma, altresì, agli accertamenti già compresi nell’ambito della enunciazione (cfr, ex multis, Cass. n. 19424/2015, n. 8699/2016, n. 29606/2014, n. 8381/2013, n. 13719/2006).

Invero, come chiarito da questa Corte (Cass. 13719/2006) “in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento”.

Nella specie, l’annullamento della sentenza d’appello era intervenuto per violazione di norma di diritto (l’art. 16 citato), cosicchè il giudice del rinvio era tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte, senza possibilità di diversa valutazione dei fatti già acquisiti al processo.

Viceversa, la sentenza impugnata, pur affermando di svolgere una valutazione astrattamente più approfondita del thema decidendum, si pone in contrasto con quanto deliberato dal giudice di legittimità.

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame in ordine all’effettiva estinzione della lite, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motive del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. del Lazio in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2016

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