Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23333 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 06/10/2017, (ud. 03/04/2017, dep.06/10/2017),  n. 23333

 

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui sui ricorsi n. 6306/12 e n. 6854/12 proposti da:

a) Firenze Progetti s.r.l., in persona del legale rappres. p.t.;

Z.G., elett.te domic. in Roma, alla via Pompeo Magno n. 3,

presso l’avv. Saverio Gianni di Roma, rappres. e difesi dagli avv.ti

Chiara e Alessandro Gentili, con procura speciale a margine del

ricorso;

b) B.L., elett.te domic. in Roma, alla p.zza Dell’Emporio

n. 16/A, presso l’avv. Gianluca Baldacci, che la rappres. e difende,

con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, elett.te domic. in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura dello Stato che la rappres. e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13/13/2011 della Commissione tributaria

regionale della Toscana, depositate in data 18/1/2011;

udita la relazione del Consigliere Dott. Rosario Caiazzo nella

udienza pubblica del 3 aprile 2017;

sentito il difensore delle parti ricorrenti, avv. G. Baldacci, anche

per delega in relazione allo Z.;

sentito il difensore della parte controricorrente, avv. G. Galluzzo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Dott. DE AUGUSTINIS

Umberto, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e,

in subordine, per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate di Firenze notificò alla Firenze Progetti s.r.l. ed ai soci, Z.G. e B.L., alcuni avvisi d’accertamento, relativi agli anni dal 2001 al 2005, con cui furono determinati induttivamente i maggiori redditi d’impresa e volume d’affari per l’iva, con conseguente ripresa a tassazione. La società propose ricorso solo avverso l’avviso del 2005, innanzi alla Ctp di Firenze, mentre, unitamente al socio Z., impugnò il provvedimento di silenzio-rigetto in ordine all’istanza di annullamento degli avvisi degli anni 2001-2004, proposta in autotutela.

B.L., invece, propose ricorso avverso gli avvisi d’accertamento, per gli anni dal 2001 al 2005, relativi al reddito di capitale inerente alla Firenze Progetti s.r.l., innanzi alla Ctp di Firenze; anteriormente, la stessa B., in relazione ai medesimi avvisi, propose istanza di accertamento di adesione, del D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6.

Si costituì l’ufficio, formulando controdeduzioni.

Riuniti i ricorsi della società e dei soci, la Ctp di Firenze emise sentenza con cui: dichiarò l’inammissibilità dei ricorsi della società per gli anni 2001 al 2004 in quanto afferenti ad atti non impugnabili; ritenne infondato il ricorso della società per il 2005 per mancata presentazione della dichiarazione dei redditi; dichiarò inammissibili i ricorsi dello Z. inerenti alla contestazione dei rilievi mossi alla società, contenuti negli avvisi non impugnati, accogliendo invece i motivi dello stesso socio in ordine all’applicabilità del cumulo giuridico delle sanzioni applicate sugli altri redditi accertati; in parziale accoglimento del ricorso della B., accertò il relativo diritto al cumulo giuridico delle sanzioni con riguardo i redditi accertati, ordinando all’ufficio di rideterminare le sanzioni.

Avverso tale sentenza, la Firenze Progetti s.r.l. e i soci Z. e B. proposero appello, che la CTR respinse, con la seguente motivazione: gli avvisi d’accertamento, notificati alla società e ai due soci, erano divenuti definitivi per omessa impugnazione, conseguendone che le istanze in autotutela non avrebbero potuto sortire effetto; l’avviso relativo, per il 2005, era legittimo, in quanto fondato su accertamento induttivo innescato dalla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi; le eccezioni sollevate dagli appellanti erano le medesime di quelle a sostegno dei ricorsi introduttivi della lite, da ritenere infondate, dovendosi condividere i motivi adottati dal giudice di primo grado.

La società e il socio Z. hanno proposto, con unico atto, ricorso per cassazione, formulando sette motivi; con distinto ricorso la B. ha parimenti proposto ricorso per cassazione, formulando dieci motivi.

L’Agenzia resiste con controricorso, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza di tutti i motivi.

La B. ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Preliminarmente, va disposta la riunione del giudizio iscritto al n. 6854/12 a quello iscritto al n. 6306/12, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto riguardanti impugnazioni avverso la medesima sentenza (n. 13/13, depositata dalla Ctp in data 18.1.2011).

I ricorsi sono infondati.

2. Circa il ricorso della società e del socio, Z.G., con il primo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in quanto la sentenza non indica le ragioni che hanno indotto il giudice di secondo grado a rigettare il ricorso.

Con il secondo motivo, è stata lamentata la violazione delle medesime norme, di cui al precedente motivo, avendo la Ctr adottato una motivazione per relationem rispetto alla decisione di primo grado, che non consente di comprendere l’iter intellettivo seguito dal giudice.

Con il terzo motivo, è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto la Ctr ha ritenuto gli avvisi d’accertamento notificati alla società vincolanti anche per i soci.

Con il quarto motivo, i ricorrenti hanno addotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (per gli anni dal 2001 al 2003), art. 2425 bis c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo la Ctr esaminato vari elementi di prova contraria alle presunzioni fatte valere dall’ufficio.

Con il quinto motivo, i ricorrenti hanno denunziato la violazione o falsa applicazione degli artt. 2727,2697,2729, c.c.; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 3, D.P.R. n. 817 del 1986, art. 5; art. 112 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando l’accertamento induttivo.

Con il sesto motivo, è stata addotta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,L. n. 212 del 2000, art. 7, in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando la nullità dell’avviso d’accertamento notificato al socio Z. perchè privo di motivazione.

Con il settimo motivo, i ricorrenti hanno denunziato la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 60, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo l’Agenzia quantificato le imposte imputando i ricavi riferibili ad annualità precedenti.

B.L. ha, invece, formulato dieci motivi.

Con il primo motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione delle medesime norme di cui al primo motivo dello Z..

Con il secondo motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su alcuni capi dell’atto d’appello, trascritti nel motivo.

Con il terzo motivo, è stata dedotta la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa indicazione delle ragioni di diritto della sentenza impugnata.

Con il quarto motivo, è stata denunziata la violazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ordine alla nullità dell’avviso d’accertamento notificato, nonchè la carenza di motivazione di quest’ultimo.

Con il quinto motivo, è stata denunziata la violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la definitività dell’avviso d’accertamento nei confronti della società avesse precluso ai soci di contestare il maggior reddito sociale.

Con il sesto motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 2, D.P.R. n. 817 del 1986, art. 5, nonchè degli artt. 2697 e 2729 c.c., art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Ctr applicato illegittimamente la presunzione di distribuzione di utili ai soci di s.r.l..

Con il settimo motivo, è stata denunziata la violazione dell’art. 2909 c.c., in quanto la sentenza impugnata aveva escluso la possibilità di prova contraria rispetto all’accertamento compiuto nei confronti della società, imponendo di fatto alla ricorrente un giudicato al di fuori dei limiti di legge.

Con l’ottavo motivo, è stata addotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414 c.c. e sagg., art. 1703 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la Ctr considerato che la ricorrente avesse detenuto una partecipazione societaria quale intestazione fiduciaria da parte del marito e socio, Z.G..

Con il nono motivo, è stata denunziata la violazione del d.p.r. n. 917 del 1986, artt. 60 e 75, per le annualità dal 2001 al 2003, nonchè degli artt. 93 e 109 T.U.I.R., per le annualità 2004 e 2005, art. 2425 bis c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Ctr imputato al 2001 ricavi di competenza di esercizi precedenti non oggetto dell’accertamento.

Infine, con il decimo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, non avendo la Ctr riconosciuto il credito d’imposta indicato.

3. Anzitutto, i motivi dei due ricorsi sono da trattare congiuntamente, poichè tra loro connessi.

Al riguardo, dagli stessi ricorsi si evince che gli avvisi in questione furono regolarmente notificati alla società e non impugnati nel termine di legge, escluso l’avviso del 2005, impugnato tempestivamente e respinto; in particolare, lo Z. ha esposto che, premessa la mancata impugnazione degli avvisi – dal 2001 al 2004 – notificati alla società, nella qualità di legale rappresentante propose ricorso avverso i provvedimenti di silenzio-rigetto in ordine alle istanze di annullamento degli avvisi in autotutela.

Ora, la Ctr ha correttamente rilevato che i suddetti avvisi erano da considerare definitivi per la mancata impugnazione, per cui le istanze in autotutela non avevano prodotto alcun effetto.

Pertanto, la definitività degli avvisi, per il suo carattere assorbente, comporta l’infondatezza di tutti i motivi formulati dai ricorrenti, in quanto afferenti alla notificazione degli avvisi e al loro contenuto.

4. I primi due motivi del ricorso del socio Z. vanno esaminati congiuntamente, essendo tra loro connessi.

Il primo motivo è inammissibile in quanto prospetta vizi motivazionali tra loro incompatibili (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) ed è formulato in modo generico ed astratto; ciò senza considerare che, in realtà, la sentenza è stata motivata, seppure in forma sintetica, richiamando le ragioni di fatto e di diritto oggetto del giudizio di primo grado, nonchè i motivi dei vari ricorsi (la Ctr ha rilevato la definitività degli avvisi di accertamento dal 2001 al 2004 e la correttezza del metodo induttivo per il 2005).

Il secondo motivo, circa la censura relativa alla motivazione per relationem, è inammissibile, in quanto non solo il giudice d’appello ha indicato l’argomentazione logico-giuridica condivisa, riportandosi all’oggetto della pronuncia della Ctr (irrilevanza dell’istanza di autotutela), ma al riguardo, il ricorrente non ha neppure riportato il tenore specifico dei motivi d’appello, limitandosi ad allegare parte del testo della motivazione. Ne consegue che, in mancanza di tale specificazione, non è possibile apprezzare la ritualità della motivazione per relationem (sulla questione, SU, n. 7074 del 20.3.2017, secondo il cui disposto, in tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonchè le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali).

5. Il terzo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi, in quanto non viene in rilievo una questione sul giudicato, avendo la Ctr ritenuto inammissibili i ricorsi poichè diretti a contestare gli avvisi d’accertamento non tempestivamente impugnati, non avendo ritenuto tale mancata impugnazione surrogabile attraverso la surrettizia impugnazione di provvedimenti di silenzio-rigetto inerenti a diverse istanze in autotutela.

Pertanto, il ricorrente ha erroneamente sussunto la doglianza inerente all’efficacia degli avvisi d’accertamento, divenuti definitivi per la società, nei confronti dei soci, nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 2909 c.c., che nel caso concreto non è neppure astrattamente configurabile.

6. I motivi quarto e quinto sono da esaminare congiuntamente poichè tra loro connessi.

Essi sono del pari inammissibili, sia perchè non è stato riprodotto il contenuto dell’avviso d’accertamento impugnato, precludendo ciò l’esame della doglianza (Cass., n. 386 del 13.1.2016), sia perchè diretti al riesame del merito, avendo il ricorrente lamentato che la Ctr non avesse considerato i documenti prodotti al fine di superare la presunzione di attribuzione pro-quota del reddito societario ai due soci, sia perchè prospettano vizi motivazionali allegando violazioni di legge.

Al riguardo, è irrilevante l’allegazione della sentenza penale che assolse lo Z. dai reati tributari a lui ascritti, in quanto, ferme l’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale e la normale inefficacia del giudicato penale nel giudizio tributario (data la diversità sia dei soggetti dei due processi, sia del regime probatorio), non è emerso dagli atti che l’imputazione penale riguardasse il medesimo contenuto degli avvisi d’accertamento notificati alla società, non trascritti nel ricorso.

7. Il sesto motivo è inammissibile, perchè non riporta il contenuto dell’avviso al socio, con conseguente impossibilità di valutare se tale avviso fosse privo di motivazione, diversamente da quello notificato alla società.

8. Infine, è parimenti inammissibile il settimo motivo, per difetto di autosufficienza.

Al riguardo, il motivo, relativo al riesame dei fatti di causa, laddove il ricorrente ha lamentato la decisione della Ctr che ritenne di imputare al 2001 i ricavi riferibili al 2000, non riproduce l’avviso di accertamento nella parte afferente al vizio lamentato.

Parimenti infondato è il ricorso proposto dalla socia B..

Il primo motivo è infondato, in quanto non sussiste la lamentata violazione, avendo la Ctr correttamente motivato per relationem, come esposto in ordine al secondo motivo del ricorso proposto dallo Z..

Il secondo motivo è inammissibile perchè tendente al riesame dei fatti esaminati dalla Ctr in ordine ad una diversa distribuzione del reddito accertato alla società.

Il terzo motivo è infondato, in quanto la Ctr ha indicato i motivi di diritto posti a fondamento della decisione, seppure implicitamente attraverso gli argomenti esplicitati.

Il quarto motivo è inammissibile, in quanto prospetta cumulativamente ed inestricabilmente i vizi di violazione di legge e di motivazione. Inoltre, circa la censura dell’omessa motivazione dell’avviso d’accertamento, va rilevato altresì che la ricorrente non ha riprodotto lo stesso avviso precludendo la verifica di quanto esposto.

I motivi quinto, sesto – da esaminare congiuntamente perchè tra loro connessi – sono inammissibili, in quanto diretti al riesame dei fatti; infatti, la ricorrente ha criticato l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili ai soci, riproducendo le stesse argomentazioni di fatto già esaminate nei gradi di merito.

Il settimo motivo è infondato, in quanto il giudicato, per omessa impugnazione degli avvisi d’accertamento, ha riguardato gli avvisi notificati alla società e al socio Z., mentre la B. propose tempestivi ricorsi avverso gli avvisi a lei notificati.

L’ottavo motivo è inammissibile, poichè diretto al riesame dei fatti, in ordine alla questione dell’intestazione fiduciaria della quota societaria; al riguardo, è irrilevante il riferimento a quanto emerge dal p.v.c. della G.d.f. – secondo cui “tutte le decisioni imprenditoriali della società sono state effettuate in modo diretto ed esclusivo da Z.G.” – poichè tale rilievo concerne i profili dell’amministrazione della società e non l’effettiva qualità di socio della B..

I motivi nono e decimo – da esaminare congiuntamente perchè tra loro connessi – sono inammissibili; in particolare, il nono prospetta la medesima violazione oggetto dell’ultimo motivo del ricorso proposto dallo Z., mentre il decimo tende del pari al riesame dei fatti circa una diversa ricostruzione del reddito da imputare alla socia B..

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte riunisce al giudizio n. 6306/12 quello n. 6854/12; rigetta i ricorsi riuniti e condanna la Firenze Progetti s.r.l. e Z.G. al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di Euro 13.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito; condanna altresì B.L. al pagamento, in favore della medesima Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 7000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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