Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23331 del 09/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 09/11/2011), n.23331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato VELLA GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195,

presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1000/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 25/10/2006 R.G.N. 246/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega VELLA GIUSEPPE;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’improcedibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 167/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Massa, in accoglimento della domanda proposta da B.C. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti nel periodo 1-10-2002/31-12-2002. con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato, e condannava la società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni spettanti dal 13-5-2003 (data di notifica del ricorso introduttivo), detratto l’aliunde perceptum.

Con sentenza depositata il 25-10-2006, la Corte di Appello di Genova, respingendo l’appello principale della società ed accogliendo l’appello incidentale della B., in parziale riforma della pronuncia di primo grado, determinava la decorrenza della misura del risarcimento del danno a far data dal 22-1-2003 (dalla della messa in mora del datore di lavoro).

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre motivi.

La B. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui “ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto de quo sostenendo innanzitutto che le ragioni giustificative dello stesso sarebbero troppo generiche”.

In particolare la società deduce che “la specificità della clausola appositiva del termine – a fronte dei processi di riposizionamento delle risorse sul territorio in atto – deve essere apprezzata con riguardo alle dimensioni ed alla natura delle esigenze aziendali retrostanti le assunzioni a tempo determinato, con l’ovvia conseguenza che, laddove tali esigenze siano sostanzialmente le stesse su tutto il territorio nazionale ed in ogni ambito produttivo, la relativa formulazione non potrà che essere “genericamente” calibrata su tali processi nazionalì”, i quali sarebbero stati sufficientemente specificati attraverso il richiamo, nel contratto di assunzione, degli “accordi collettivi che disciplinano il processo di mobilità”, di guisa che, comunque, i giudici del merito, “avrebbero dovuto comunque verificare la sussistenza di quanto previsto” dai detti accordi.

Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c. del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002, nonchè vizio di motivazione, in sostanza lamenta che la sentenza di merito, erroneamente e con motivazione insufficiente avrebbe “subordinato la legittimità del termine apposto al contratto alla prova della correlazione tra l’assunzione del singolo lavoratore e la ristrutturazione dell’ufficio ove è stato applicato (anche) a fronte del rimando – nella causale del contratto individuale – a specifici accordi sindacali che disciplinano compiutamente il processo di allocazione delle risorse a tempo indeterminato, che a sua volta rappresenta l’esigenza aziendale – univoca su tutto il territorio retrostante l’assunzione per cui è causa e nei quali viene condivisa la necessità di assumere personale a termine”.

Osserva preliminarmente il Collegio, che tali primi due motivi, nei quali si accavallano vizi diversi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in sostanza “si fondano” entrambi sul richiamo agli accordi aziendali sulla mobilità indicati della causale del contratto individuale ed in definitiva sul contenuto degli stessi.

Tanto premesso, e considerato che le censure, connesse tra loro, investono in sostanza direttamente la interpretazione di tali accordi, che, peraltro, pacificamente sono “relativi a tutto il territorio nazionale”, assume rilievo pregiudiziale, in rito (sulla scorta anche delle conclusioni in udienza del Pubblico Ministero) la verifica dell’osservanza del precetto di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) (v. Cass. S.U, 23-9-2010 n. 20075) ed in particolare del deposito del testo integrale dei detti accordi nazionali di lavoro su cui si fonda il ricorso.

Al riguardo, poi, come pure è stato affermato da questa Corte (v.

Cass. SAI. 25-3-2010 n. 7161, richiamata anche da Cass. S.U. n. 20075 cit), l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi in particolare soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile;…..”.

Orbene nella fattispecie il Collegio osserva che la ricorrente si è limitata a depositare i “fascicoli dei pregressi gradi di giudizio” (così genericamente richiamati in calce al ricorso), senza indicare in alcun modo la sede specifica in cui gli accordi collettivi invocati siano rinvenibili (tanto meno nel testo integrale).

Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile in relazione ai primi due motivi.

Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 12 preleggi, dell’art. 1419 c.c., del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 115 c.p.c., la ricorrente in sostanza lamenta che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la conversione de contratto a termine in contratto a tempo indeterminato permarrebbe (in generale) anche nella vigenza del D.Lgs. n. 368 del 2001, così, in sostanza, applicando analogicamente gli artt. 4 e 5 dello stesso d.lgs. al diverso caso di nullità del termine per violazione dell’art. 1, comma 2 del medesimo D.Lgs., per il quale il legislatore non ha invece previsto la detta conversione.

Il motivo è infondato.

Come è stato affermato da questa Corte (v. Cass. 21-5-2008 n. 12985 e successive), il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato e normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte Cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (principio applicato in fattispecie di primo ed unico contratto a termine)”.

In tal senso, quindi, va respinto il terzo motivo e, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Infine, in ragione della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore della B..

P.Q.M.

La corte dichiara improcedibile il ricorso in relazione ai primi due motivi e rigetta il terzo, condanna la ricorrente a pagare alla B. le spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2011

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