Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23329 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. II, 23/10/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 23/10/2020), n.23329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6423/2016 proposto da:

R.F. DI R.M. & C. S.N.C., rappresentata e difesa,

in virtù di mandato in calce al ricorso, dall’avv. Martina

Bruscagnin;

– ricorrente –

contro

Ditta Individuale B.L., rappresentato e difeso, in virtù

di mandato in calce al controricorso, dall’avv. Rodolfo Romito;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2022/2015 della Corte d’appello di Venezia,

depositata il 25/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/07/2020 dal consigliere GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

RITENUTO

Il Tribunale di Padova, in relazione a un contratto d’opera per l’applicazione di una gru sul cassone di un camion, intercorso fra la committente R.F. s.n.c. e il prestatore B.L., ha accolto la domanda di risarcimento del danno della committente, proposta per un guasto verificatosi nel mese di ottobre del 2003 e imputato dall’attrice alla cattiva esecuzione dell’opera.

Impugnata la decisione dalla parte soccombente, la Corte d’appello di Venezia ha riformato la sentenza, riconoscendo che l’opera, seppure interessata da un intervento nel maggio 2003, era stata consegnata e collaudata nel giugno 2002, in assenza di elementi idonei a spostare a data successiva la consegna finale.

Quindi ha accolto l’eccezione di prescrizione opposta dal prestatore, perchè, quando fu proposta l’azione, era decorso il termine annuale previsto dall’art. 2226 c.c..

Per la cassazione della sentenza la R.F. s.n.c. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. B.L. ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Il primo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Non si contesta che la gru sia stata installata nel giugno 2002. La prestazione dovuta dal B., però, non comprendeva solo il montaggio della gru, ma, come da preventivo, anche il collaudo. Questo è stato effettuato il 13 giugno 2003. Tale circostanza è attestata dalla dichiarazione dell’impresa B.L., datata, appunto, 13 giugno 2003, “tesa ad attestare il rispetto della normativa vigente nell’applicazione della Gru Palfinger tipo (…) sull’autocarro Mercedes Tipo Actros 2540” (pag. 9 del ricorso). Essa non è stata considerata dalla Corte d’appello, che, altrimenti, non avrebbe potuto individuare nel giugno 2002 la data di consegna del mezzo e il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di danni per vizio dell’opera.

Il motivo è infondato. Si può dare per acquisito che la gru fu installata nel giugno 2002 e che il mezzo, con la modifica, fu omologato nel luglio dello stesso anno: la presenza della gru risulta, infatti, dalla carta di circolazione del veicolo. E’ altresì pacifico che, nella primavera dell’anno successivo 2003, il mezzo fu oggetto di un ulteriore intervento da parte del B., documentato dalla fattura del 24 maggio 2003, intervento giudicato dalla Corte d’appello di “modesta entità”. Si deve ancora aggiungere che il documento di cui si denuncia l’omesso esame non è posto dal ricorrente in relazione all’intervento del maggio 2003, ma alla stessa installazione della Gru in dipendenza di una problematica sorta in occasione della prima verifica periodica del mezzo, eseguita il 6 giugno 2003, quando, appunto, l’intervento di maggio era stato già effettuato. Si legge in proposito a pagina 10 del ricorso: “(…) la verifica periodica dell’Arpav effettuata in data 6 giugno 2003, ha avuto esito negativo a causa della mancata produzione della documentazione relativa all’allestimento della gru

Così identificati in sintesi gli elementi essenziali della vicenda, il fatto a cui è riferita la omissione risulta privo di decisività. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è decisivo il fatto la cui considerazione è idonea a giustificare un diverso esito della lite (Cass., S.U., 3294/2014). Ed invero il significato di collaudo della dichiarazione del 13 giugno 2003 non emerge dalla considerazione degli eventi, nè tantomeno dal tenore letterale del documento che la contiene, il quale evidenzia piuttosto una dichiarazione di conformità del prestatore. Questi dichiara “di avere applicato la gru (…) secondo le normative vigenti e in piena conformità delle prestazioni tecniche della casa madre, senza l’esecuzione di fori o saldature”.

Si può ammettere che il prestatore fosse contrattualmente obbligato al rilascio di tale dichiarazione, ma la sua mancanza, rilevata in sede di prima verifica annuale (supra), non si presenta di per sè idonea a togliere alla ricostruzione in fatto operata dalla Corte d’appello il suo essenziale presupposto, e cioè che la consegna e il collaudo, inteso quest’ultimo nel senso del preventivo, erano avvenuti l’anno precedente, in concomitanza con la consegna e l’immatricolazione del mezzo.

Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 2943 e 2944 c.c. e art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

“Sulla base degli elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio e pronunciare in merito all’interruzione della prescrizione avvenuta in data 13 giugno 2003 a seguito del riconoscimento operoso del vizio nella propria prestazione da parte dell’impresa B., con conseguente produzione della dichiarazione di cui al doc. 12”.

Il motivo è inammissibile. In sede di legittimità non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione (Cass. n. 2443/2016; n. 14477/2018). Dal canto suo, l’indagine diretta a stabilire se una dichiarazione costituisca comportamento incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa rientra nei poteri del giudice di merito, il cui accertamento non è sindacabile in cassazione (Cass. n. 24555/2010; n. 7820/2017).

Si deve aggiungere che, nella prospettiva della ricorrente, il supposto riconoscimento non è riferito al vizio o a un difetto di montaggio da cui sarebbe derivato il danno, ma al mancato completamento della prestazione in assenza di collaudo, che la ricorrente identifica, appunto, nella dichiarazione del giugno 2003. In questo modo il motivo finisce con il riproporre, sotto diversa veste, la censura oggetto del motivo precedente.

Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 2943 e 2944 c.c. e art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

“La Corte d’appello attesta e riconosce le avvenute riparazione del maggio 2003, ma ne esclude qualsiasi valenza ai fini della prescrizione. Il giudice di secondo grado considera tali riparazioni al solo fine di escludere che esse possano costituire parte conclusiva di un unitario incarico affidato alla ditta B., con conseguente spostamento in avanti del termine di consegna dell’opera di cui all’art. 2226 c.c.. In realtà, molto più semplicemente, esse potevano e dovevano essere considerate atti interruttivi della prescrizione ai sensi dell’art. 2944 c.c., secondo l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza” richiamata nel motivo precedente (pag. 17 del ricorso).

Il motivo è inammissibile. Si richiama quanto già detto nell’esame del secondo motivo in relazione alla novità della questione e all’apprezzamento di merito cui prelude il giudizio sulla idoneità di un certo comportamento a interrompere la prescrizione.

Del resto, la ricorrente è consapevole che la rilevanza della questione è subordinata al riconoscimento della operatività, in materia di interruzione della prescrizione, della regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario. Si evidenzia che la citazione, ricevuta dal destinatario il 1 giugno 2004, era stata avviata per la notificazione il 27 aprile 2004 (come riconosciuto da controparte), quando non era ancora decorso un anno dall’intervento del maggio 2003 (il rilievo è ripreso ancora dalla R. nella memoria). La ricorrente trascura che la regola della scissione opera quando l’effetto sostanziale non possa seguire se non in dipendenza di un atto processuale. In caso contrario, quando cioè l’effetto possa essere conseguito con un atto stragiudiziale, esso si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario (Cass., S.U., 24822/2015; n. 4034/2017).

Posto che la prescrizione delle azioni previste dall’art. 1668 c.c. in tema d’appalto, richiamato dall’art. 2226 c.c. può essere interrotta anche con un atto stragiudiziale, il tentativo della ricorrente, di riconoscere la tempestività dell’azione con riferimento all’intervento del maggio 2003, si presenta a priori vano, derivandone una ulteriore ragione di inammissibilità della censura sul mancato rilievo d’ufficio della interruzione.

Per completezza di esame si rileva che l’idoneità dell’atto stragiudiziale a interrompere la prescrizione è stata recentemente riconosciuta dalla Suprema Corte anche per le azioni di garanzia nella compravendita (Cass., S.U., n. 18672/2019).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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