Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23329 del 19/09/2019

Cassazione civile sez. III, 19/09/2019, (ud. 15/03/2019, dep. 19/09/2019), n.23329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20310-2017 proposto da:

F.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROBERTO GIULIANI;

– ricorrente –

contro

F.P., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO

TUCCITTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1025/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 30/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/03/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 7/10/1998 F.P. e F.M. stipularono con la società Finaven S.p.A. un contratto di finanziamento e, contestualmente, all’atto dell’erogazione, rilasciarono n. 11 cambiali sottoscritte da entrambi. Ottenuta l’erogazione delle somme M. non onorò il debito sicchè la Finaven si rifece su P. che, estinta l’obbligazione ed ottenuta la restituzione degli effetti cambiari dopo averli annullati, chiese al coobbligato il 50% delle somme pagate. M. fece opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso su istanza di P. per Euro 4.623,23, deducendo la nullità della notifica del decreto ingiuntivo e dell’atto di precetto e, nel merito, l’inesistenza dell’obbligazione. Il Tribunale di Siracusa revocò il decreto ingiuntivo opposto e condannò M. a pagare in favore di P. la somma di Euro 2.796,99, compensando parzialmente le spese. La Corte d’Appello di Catania, adita da M., per sentir pronunciare che il giudice di prime cure aveva errato nel ritenere che i vizi della notifica del decreto ingiuntivo e del precetto erano stati sanati dalla proposizione dell’atto di opposizione, ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo che il Tribunale aveva correttamente applicato il principio sancito dall’art. 156 c.p.c. secondo cui la nullità non può essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo, citando giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il principio si applica anche ai vizi processuali, come, nel caso specifico, alla nullità della notificazione. Ha poi ritenuto che, non risultando che M. aveva sottoscritto i documenti a titolo di garanzia, risultando di contro che li aveva sottoscritti puramente e semplicemente, ha applicato l’art. 1298 c.c. in base al quale nei rapporti interni dell’obbligazione solidale le parti si presumono eguali se non risulta diversamente. Ha poi ritenuto, confermando l’applicazione dell’art. 1237 c.c., che il possesso da parte del debitore del titolo originario del credito faccia presumere il pagamento, così come la restituzione delle cambiali al debitore cambiario, in mancanza di prova contraria, costituisce fatto idoneo a provare presuntivamente l’avvenuto pagamento del debito; ha infine confermato che l’eccezione di prescrizione sollevata da M. era tardiva. Conseguentemente ha rigettato l’appello, condannando l’appellante alle spese del grado. Avverso la sentenza F.M. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrato da memoria.

Resiste con controricorso F.P..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 Con il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 139 e 140 c.p.c. e art. 156 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Censura la sentenza per non aver pronunziato l’inesistenza della notifica, inesistenza che a suo avviso non era suscettibile di essere in alcun modo sanata, neppure dall’avvenuta costituzione in giudizio del destinatario della notifica, essendo inconcepibile il raggiungimento dello scopo da parte di un atto privo degli elementi essenziali alla funzione. Nel caso di specie mancherebbe l’indicazione del richiedente, la legittimazione del destinatario, etc.

1.1 Il motivo è infondato. Le censure relative alla pretesa inesistenza della notifica non possono essere accolte in quanto la relata è atto dell’ufficiale giudiziario sicchè, per la sua esistenza, è sufficiente che questi attesti, mediante la sua sottoscrizione, l’attività compiuta e la data in cui la notifica è avvenuta, nonchè la persona alla quale l’ufficiale giudiziario ha consegnato la copia ed il luogo della consegna. Non assumono rilevanza nè l’indicazione delle generalità della persona ad istanza della quale viene eseguita la notifica nè l’eventuale utilizzazione di formule stereotipe del genere “a richiesta come in atti”, non essendo la mancanza di tali elementi causa di nullità della notifica nel caso in cui le informazioni relative possono essere comunque evinte dall’atto notificato. In ogni caso la sentenza ha inteso dare continuità, ricorrendone i presupposti, alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la sanatoria ex tunc della denunciata nullità della notificazione per avvenuto raggiungimento dello scopo e ciò anche quando l’opposizione sia effettuata al solo fine di eccepire la nullità (Cass., 6-5n. 24823 del 5/12/2016).

2. Con il secondo motivo denuncia “la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento al R.D. n. 1669 del 1933, art. 45 ed all’art. 1299 c.c.” In sostanza critica la sentenza per aver applicato una norma – quella dell’art. 1237 c.c. – in base alla quale la restituzione volontaria del titolo originale del credito, fatta dal creditore, costituisce prova della liberazione – anzichè l’art. 1299 c.c. relativa al regresso tra condebitori e il R.D. n. 1669 del 1933, art. 45 che richiede la quietanza del pagamento da parte del creditore.

In sostanza il ricorrente assume che il richiamo all’art. 1237 c.c., relativo alla restituzione volontaria del titolo da parte del creditore con conseguente remissione del debito, sarebbe non pertinente perchè, nel caso in esame, la restituzione degli effetti cambiari sarebbe avvenuta a seguito di pagamento.

2.1 Il motivo è infondato. La sentenza ha fatto corretta applicazione dell’art. 1237 c.c. che fa presumere la sola remissione del debito da parte del creditore, in mancanza di alcuna prova contraria fornita dalla parte che ne aveva interesse. Trova pertanto conferma la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il possesso, da parte del debitore, del titolo originario del credito costituisce fonte di una presunzione juris tantum di pagamento superabile con la prova contraria (Cass., 1, 3/6/2010 n. 13462; Cass., 2, n. 24847 del 9/12/2015; Cass., 2, 14/5/1991 n. 5397). Anche la restituzione delle cambiali al debitore cambiario, in mancanza di prova contraria, costituisce fatto idoneo a provare presuntivamente l’avvenuto pagamento del debito.

3. Con il terzo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5. La sentenza avrebbe del tutto omesso di considerare sia che vi era stata l’apposizione del simbolo delta a lato del nominativo del creditore cambiario sia che i titoli cambiari erano stati consegnati solo allorchè la Finiven s.p.a. era stata cancellata dal registro delle imprese. La sentenza avrebbe errato nel riferire i fatti al solo rapporto creditore/debitore e non anche al rapporto tra i due condebitori.

3.1 Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 348 ter c.p.c., n. 4 che preclude il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in caso di cd. doppia conforme.

4. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato a pagare in favore di parte resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, oltre che al cd. “raddoppio” del contributo unificato. Sussistono i presupposti per condannare il ricorrente altresì al pagamento di una ulteriore somma a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., dovendosi ritenere superata la tralatizia tesi secondo la quale il sostenere tesi infondate in sede di legittimità non sarebbe di per sè indice di “colpa grave”. L’orientamento tralatizio non è coerente con il mutato quadro ordinamentale, perchè non tiene conto: a) del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. che impone interpretazioni delle norme processuali idonee a rendere più celere il giudizio. Infatti la celerità del giudizio di legittimità dipende non tanto e non solo dalle norme processuali che disciplinano il giudizio di impugnazione ma anche e soprattutto dal numero di giudizi manifestamente infondati pendenti dinanzi la Corte. E’ dunque evidente che la proposizione di ricorsi privi di qualsiasi ragionevole chance di accoglimento ha l’effetto di impedirle la celere decisione di quelli che, fondati o infondati che siano, pongano questioni le quali richiedano un intervento correttivo o nomofilattico del giudice di legittimità; b) del principio che considera illecito l’abuso del processo, ovvero il ricorso ad esso con finalità strumentali (ex multis Cass., 2, n. 10177 del 18/5/2015; c) del principio secondo cui le norme processuali vanno interpretate in modo da evitare lo spreco di energie giurisdizionali (ex multis Cass., U, n. 12310 del 15/6/2015). Vale la pena infine soggiungere che l’orientamento in contestazione risulta, in ogni caso, abbandonato dalle decisioni più recenti di questa Corte che si sono allineate al diverso principio qui affermato (Cass., 5 n. 15030 del 17/7/2015; Cass., 3n. 4930 del 12/3/2015; Cass., 3, n. 817 del 20/1/2015).

Deve dunque concludersi che, dovendo ritenersi il ricorso oggetto del presente giudizio proposto quanto meno con colpa grave, il ricorrente deve essere condannato d’ufficio al pagamento in favore della parte intimata, in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata in base al valore di queste ultime. Tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio e può essere fissata in via equitativa in Euro 2.500, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.500 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Sussistono altresì i presupposti dell’art. 96 c.p.c. con la conseguente condanna del ricorrente a pagare la somma di Euro 2.500. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2019

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