Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23326 del 24/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 24/08/2021, (ud. 04/03/2020, dep. 24/08/2021), n.23326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 631-2017 proposto da:

D.C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

GIOACCHINO BELLI N 36, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

CARLUCCIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FERDINANDO DE GIOSA;

– ricorrente –

contro

G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

PASSAGLIA N. 11, presso lo studio dell’avvocato AMALIA RE,

rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO EPICOCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1228/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 24/06/2016 r.g.n. 1677/2012.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte territoriale di Lecce, con sentenza pubblicata il 24.6.2016, ha respinto il gravame interposto da D.C.M., nei confronti di G.C., avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi n. 1206/2012 che aveva disatteso la domanda della lavoratrice – la quale assumeva di avere lavorato alle dipendenze del G., gestore di sale cinematografiche, dall’1.6.1993 al 22.7.2005 -,, diretta ad ottenere, previa riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro, la condanna della parte datoriale ai pagamento di Euro 204.011,93, oltre accessori, a titolo di differenze retributive e TFR, oltre alle “indennità di legge per i contributi non versati su dette somme”, da quantificare in corso di causa anche a mezzo di c.t.u., pure a titolo di risarcimento danni, ed altresì al versamento dell’importo di Euro 100.000,00, oltre accessori, a titolo di risarcimento danni da mobbing;

che i giudici di seconda istanza, per quanto ancora di rilievo in questa sede, hanno osservato che, nella fattispecie, non si ravvisano elementi probatori a sostegno della subordinazione nel primo periodo di lavoro e dello svolgimento di orari di lavoro superiori a quelli pattuiti per il secondo periodo;

che per la cassazione della sentenza ricorre D.C.M. articolando un motivo, cui resiste con controricorso G.C.;

che il PG non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce: “Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e si lamenta, in particolare, che il “provvedimento impugnato ha errato in quanto ha totalmente invertito il senso delle dichiarazioni rese, in primis, dal resistente, dando maggior valore alle dichiarazioni rese a suo favore che a quelle a suo sfavore, sminuendo o ponendo nel nulla la portata di quelle confessorie ed, in secundis, non dando il giusto valore alle dichiarazioni rese dai testimoni”; ed altresì che “nella c.t.u. non è stata conteggiata la maggiorazione per la trasferta da (OMISSIS) a (OMISSIS) dal 15/6/1994 al 22/7/2005”;

che il motivo è inammissibile, poiché, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, in data 19.12.2016, nella fattispecie, si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (v., tra le altre, Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, inoltre, la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (nella fattispecie, peraltro, del tutto congrua, condivisibile e scevra da vizi logici);

che, infine – sia detto ad abundantiam – alla stregua degli ormai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 18358/2017; 3881/2006; 3519/2001) -, ove il giudice di merito “condivida i risultati della consulenza tecnica di ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze” della stessa “implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità. In tal caso, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese”;

che, per tutto quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo – e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore del difensore del G., avv. Stefano Epicoco, dichiaratosi antistatario -, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021

 

 

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