Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23322 del 05/10/2017

Cassazione civile, sez. VI, 05/10/2017, (ud. 07/06/2017, dep.05/10/2017),  n. 23322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11476/2016 proposto da:

I.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato CRISTINA PEROZZI;

– ricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI, 288, presso lo studio dell’avvocato ENRICO GAI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3136/2015 Cron. della CORTE D’APPELLO di

ANCONA, depositato il 02/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 07/06/2017 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI

VIRGILIO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

Con provvedimento del 25/11-2/12/2015, la Corte d’appello di Ancona ha respinto il reclamo di I.P., avverso l’ordinanza del Tribunale di Fermo, che ha respinto il ricorso della parte inteso ad ottenere la modifica delle condizioni della separazione consensuale omologata dal Tribunale di Fermo (aumento dell’assegno mensile della I. e del contributo mensile per il figlio minore), disponendo la sospensione dell’assegno per la moglie sino alla cessazione dell’attività lavorativa svolta presso il comune di Rapagnano.

La Corte del merito ha osservato che la malattia della I. si era manifestata già prima della separazione, che la domanda di invalidità civile era stata proposta prima dell’omologa della separazione, che la malattia allo stato non impediva di prestare attività lavorativa, ed era corretta la statuizione del Tribunale sulla sospensione, così come per l’assegno per il figlio, visto che non erano stati rilevati elementi sopravvenuti, anche considerato il breve lasso temporale intercorso; non sussistevano infine gli estremi per le richieste di ammonimento e sanzioni ex art. 709 ter c.p.c., alla stregua delle testimonianze raccolte.

Ricorre I.P. con quattro motivi, illustrati con memoria.

Si difende con controricorso il R..

Considerato che:

Col primo mezzo, la ricorrente si duole dei vizi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non avere la Corte d’appello motivato sulla documentazione medica nè sulle incontroverse deduzioni della CTU, che descrive la sindrome miofasciale da cui è affetta la parte, che si è manifestata dopo la separazione, mentre in precedenza vi era solo una patologia artritica e la diagnosi della sindrome indicata, che richiede costose e continue cure, si è avuta unicamente a seguito del ricovero a novembre 2013 presso l’Azienda ospedaliera (OMISSIS); col secondo, del vizio di motivazione in relazione alla retribuzione percepita che non è di 1500,00 Euro nè emergono incarichi come libero professionista che la parte non potrebbe neppure svolgere;

col terzo, del vizio di motivazione, meramente apodittica, in relazione alla richiesta di aumento dell’ assegno per il minore, che ha ora 11 anni, tanto da configurare un trattamento discriminatorio per il coniuge ex art. 14 Cedu perchè privo di obiettivo ragionevole;

col quarto, del vizio di omessa motivazione in relazione alla richiesta di misure ex art. 709 ter c.p.c..

Considerato che:

Posto che per chiedere la revisione delle condizioni delle separazione personale occorre la rappresentazione di fatti diversi o nuovi, va rilevato, quanto al primo motivo, che la stessa parte indica passi della CTU ove si rileva che a seguito del ricovero ospedaliero a Milano del novembre 2013 è stata diagnosticata “una predominante componente miofasciale”, cosa quindi diversa dal rilevare che sia “insorta” la malattia dopo la separazione (vedi il riferimento del controcorrente a pag. 12 del controricorso ad affermazione contraria del CTU), ed inoltre, la parte avrebbe dovuto allegare e far valere nel giudizio di merito l’incidenza della malattia sulla capacità lavorativa, mentre, come rilevato dalla Corte d’appello, la signora continua a svolgere la sua attività e, per il titolo professionale che possiede, potrebbe svolgere attività per i privati.

Gli altri tre motivi sono inammissibili, ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella nuova formulazione, atteso che la parte si è limitata a sostenere un’interpretazione diversa dei fatti, a fronte della valutazione degli stessi da parte della Corte del merito, richiedendo un nuovo giudizio di merito, laddove il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio nè costituisce un terzo grado ove far valere la supposta ingiustizia della decisione impugnata (così le pronunce delle sez. un., del 7/4/2014, n. 8053 e del 29/3/2013, n. 7931).

E detta differente valutazione, già inammissibile come motivo di ricorso nel regime di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, anteriore alla modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, lo è ancor più a seguito della riforma, applicabile nella specie ratione temporis, atteso che, come ritenuto nella pronuncia delle Sez. U. del 2/4/2014, n. 8053, è oggi denunciabile soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, nei limiti in cui l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza in sè della motivazione, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto delle altre risultanze processuali(nelle ipotesi quindi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” di motivazione).

Il ricorso va pertanto ritenuto inammissibile; la situazione di specie consente di compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2017

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