Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23318 del 09/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 09/11/2011), n.23318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA MPS SPA in persona del Direttore

Generale e legale rappresentante pro tempore elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 102, presso lo studio

dell’avvocato FRANSONI GUGLIELMO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RUSSO PASQUALE, con procura speciale 1935

notarile del Not. Dr. RICCARDO COPPINI in SIENA, rep. n. 47052 del

10/04/2007;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NAPOLI in persona del Sindaco pro tempore, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA A. CATALANI 26, presso lo studio dell’avvocato D’ANNIBALE ENRICO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BARONE EDOARDO, giusta delega in

calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/2006 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 30/03/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’improcedibilità del

ricorso in subordine accoglimento.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. La s.p.a. Monte Dei Paschi di Siena ricorre per cassazione nei confronti del Comune di Napoli (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale – in controversia concernente impugnazione del silenzio rifiuto sulla istanza di rimborso di quanto versato in eccesso nell’anno 1998 per ICi in relazione ad immobile censito in categoria D5 la cui base imponibile ai fini ICi era stata calcolata con riferimento al valore di libro – la C.T.R. Campania riformava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso della contribuente) rilevando che la società non aveva diritto alla restituzione avendo assolto spontaneamente il debito tributario.

2. Devono essere preliminarmente esaminati, per ragioni di ordine logico, il secondo e il terzo motivo, con ciascuno dei quali si deduce violazione dell’art. 132 c.p.c. rispettivamente per omessa indicazione della costituzione dell’appellato e delle sue controdeduzioni o conclusioni, e per omesso riferimento alla presentazione dell’istanza di rimborso, omissioni asseritamente determinanti carente esposizione dello svolgimento del processo. Le censure esposte sono infondate.

In proposito, va rilevato che la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha ripetutamente affermato che l’omessa o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale irrilevante ai fini della sua validità, occorrendo, perchè siffatta omissione od incompletezza possa tradursi in vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza stessa, che l’omissione abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, nel senso di averne comportato o un’omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parli, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati dalle parti medesime (v. tra la tante, cass. n. 10853 del 2010, n. 12984 del 2009 en. 4208 del 2007), ed inoltre che l’assenza della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa vale ad integrare un motivo di nullità della sentenza solo quando tale omissione impedisca totalmente – non risultando richiamati in alcun modo i tratti essenziali della lite, neppure nella parte formalmente dedicata alla motivazione – di individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, nonchè di controllare che siano state osservate le forme indispensabili poste dall’ordinamento a garanzia del regolare svolgimento della giurisdizione (v. tra le altre cass. n. 6683 del 2009, n. 4015 del 2004 e n, 13990 del 2003). Deve pertanto escludersi che le denunciate omissioni valgano, di per sè sole considerate, a determinare la nullità della sentenza impugnata.

Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 342 del 2000, art. 74 e D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 la ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto erroneamente affermato nella sentenza impugnata, una volta effettuata la richiesta di attribuzione di rendita ovvero la denuncia di variazione delle consistenze catastali, pur continuando ad applicare precariamente il metodo c.d. contabile, il contribuente ha diritto al rimborso, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 13 dell’eccedenza di imposta versata per effetto di tale precaria applicazione rispetto al minore importo di imposta che avrebbe dovuto versare in applicazione del metodo generale catastale. La censura è fondata nei limiti e nei termini di cui al recente arresto delle Sezioni Unite, le quali, componendo il contrasto tra diversi collegi dalla quinta sezione civile di questa Corte in ordine alla interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, 3160 del 2011, hanno affermato che il metodo di determinazione della base imponibile ICI collegato alle iscrizioni contabili, previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicchè può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di lesse (v. SU n. 3160 del 2011).

Alla luce di quanto sopra esposto, non c’è dubbio che siano dovute alla contribuente la differenze tra quanto versato per ICI in base al valore ed. contabile e l’eventuale minor somma dovuta sulla base della rendita successivamente attribuita, e ciò fin dalla data di richiesta di attribuzione (o modifica) della rendita, data dalla quale comincia a decorrere il termine di decadenza per la richiesta di un eventuale rimborso.

L’accoglimento del sopra esposto motivo nei termini che precedono comporta l’assorbimento del quinto motivo (col quale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 13 la ricorrente sostiene che, in ipotesi di versamenti di imposta suddivisi in due rate delle quali la prima non sia superiore al totale dell’imposta dovuta, solo dal versamento della seconda rata decorre il termine triennale di decadenza per il rimborso), posto che tale motivo presuppone la decorrenza del termine di decadenza dalla data dei singoli pagamenti, in contrasto con quanto affermato nella citata sentenza delle Sezioni Unite.

Col quarto motivo, deducendo vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente si duole che i giudici d’appello abbiano dichiarato l’intempestività del ricorso per il rimborso senza precisare in alcun modo le ragioni e i termini di tale presunta tardività.

La censura è inammissibile.

Invero, in caso di ritenuta sussistenza di ragioni in diritto non considerate dai giudici d’appello ed idonee ad escludere la dichiarata intempestività, la sentenza avrebbe dovuto essere censurata per violazione di legge, essendo configurabile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 solo con riguardo all’accertamento in fatto e non con riguardo alla motivazione in diritto, mentre, in caso di ritenuta sussistenza di fatti decisivi non considerati dai giudici d’appello ed idonei ad escludere la suddetta intempestività, la contribuente avrebbe dovuto indicare con precisione (ed eventualmente in maniera autosufficiente) i suddetti fatti. Nella specie invece manca l’indicazione chiara e sintetica del o dei fatti controversi e decisivi in relazione ai quali la motivazione si assume omessa, (e, a fortiori, manca l’illustrazione richiesta dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c.), essendo peraltro da evidenziare che l’indicazione de qua deve sempre avere ad oggetto (non più un “punto” o una questione ma) un fatto preciso, inteso sia in senso naturalistico che normativo, ossia un fatto “principale” o eventualmente anche “secondario”, purchè controverso e decisivo.

3. Alla luce di quanto sopra esposto, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, con assorbimento del quinto e rigetto degli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altro giudice che provvederà a decidere la controversia facendo applicazione del principio di diritto esposto in relazione all’esame del primo motivo nonchè a liquidare le spese anche con riguardo al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il quinto e rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Campania.

Così deciso in Roma, il 07 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2011

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