Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23314 del 23/08/2021

Cassazione civile sez. I, 23/08/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 23/08/2021), n.23314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11678/2020 R.G. proposto da:

O.O.E., rappresentato e difeso dagli Avv.

Mario Perlina, e Gentian Alimadhi, con domicilio in Roma, piazza

Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

Dott.ssa L.R., in qualità di tutrice provvisoria del

minore O.O.R., Z.E. e PROCURATORE

DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI BOLOGNA;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 1003/20

depositata il 25 marzo 2020;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 maggio

2021 dal Consigliere Dot. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del (OMISSIS), la Corte d’appello di Bologna ha rigettato il gravame interposto da O.O.E. avverso la sentenza emessa il (OMISSIS), con cui il Tribunale per i minorenni di Bologna aveva dichiarato lo stato di adottabilità del figlio minore O.O.R., disponendone il collocamento presso la famiglia alla quale era stato affidato a scopo adottivo, con l’interruzione dei rapporti con i genitori biologici.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la necessità dell’ascolto del minore, osservando che lo stesso, oltre a non poter aggiungere ulteriori elementi a quelli già raccolti, avrebbe potuto mettere a repentaglio l’equilibrio faticosamente raggiunto da R. attraverso la rielaborazione dei propri vissuti dolorosi con l’aiuto della famiglia affidataria.

Premesso inoltre che lo stato di abbandono non implica una mancanza di amore e disponibilità a prendersi cura del proprio figlio né una condotta colposa dei genitori, ma solo l’incapacità degli stessi di accudirlo sia materialmente che emotivamente e psicologicamente, la Corte ha rilevato che l’appellante, pur essendo molto affezionato al figlio ed addolorato per il distacco determinato dall’affidamento extrafamiliare, presentava caratteristiche e dinamiche di pensiero, gestione degli affetti e mozioni, anche in senso relazionale, che non gli consentivano di avere sufficienti competenze genitoriali, non avendo maturato una capacità genitoriale idonea a consentirgli di svolgere la propria funzione di padre, nonché quella vicariante di madre, avuto riguardo al progressivo allontanamento della stessa ed all’indisponibilità di altre figure parentali di riferimento. Ha precisato al riguardo che Z.E., madre del minore, aveva manifestato disinteresse nei confronti del figlio, non costituendosi in giudizio e non riuscendo a giovarsi del collocamento in una struttura comunitaria, da lei stesso richiesto anche a seguito delle condotte violente che aveva riferito di aver subito ad opera dell’appellante, aggiungendo che la ripresa della convivenza con quest’ultimo aveva riproposto le medesime dinamiche, caratterizzate da aggressività e violenza tra i genitori e da inadeguatezza e discontinuità nei confronti del figlio, non compensate dalla presenza di un educatore domiciliare. Ha rilevato che la Z. aveva dimostrato una personalità caratterizzata da generale immaturità, livello intellettivo ai limiti inferiori della norma, tratti infantili, impulsività e difficoltà di muoversi coerentemente nei vari contesti sociali, mentre l’ O. aveva tenuto un comportamento prevaricatore, ostacolando anche i rapporti tra la donna ed i Servizi sociali, ed entrambi i genitori avevano tenuto un atteggiamento di non collaborazione nell’ambito degl’incontri protetti organizzati con il figlio. Ha richiamato le relazioni dei Servizi sociali, da cui emergeva che, dopo una ripresa della convivenza, la madre del minore si era allontanata dall’abitazione familiare con un altro figlio, senza comunicare il suo recapito, mentre il padre continuava ad agire in modo impulsivo ed aggressivo nei confronti dei Servizi e della famiglia affidataria, addebitando agli stessi la responsabilità del disagio vissuto dal figlio. Pur riconoscendo che l’appellante era stato sempre presente e puntuale agl’incontri con il minore, ha rilevato che egli non aveva sviluppato capacità d’introspezione, riflessione ed elaborazione dei propri comportamenti e dei propri vissuti idonee a consentirgli di relazionarsi con una persona in crescita in modo da stimolarla positivamente, cogliendone le necessità. Ha osservato che, a fronte degli atteggiamenti di trascuratezza ed incuria della Z., l’ O. non aveva assunto un comportamento tutelante nei confronti del figlio, ma aveva continuato ad usare violenza nei confronti della donna, in tal modo impedendo la creazione di un contesto sereno nel quale il minore potesse crescere. Ha aggiunto che mentre l’appellante, nonostante la dichiarazione di disponibilità ad assumersi la responsabilità genitoriale, si era posto nei confronti del figlio essenzialmente come un compagno di giochi, era stato il legame consolidato con gli affidatari a consentire a R. di maturare la stabilità interiore indispensabile per lo sviluppo di una solida personalità e della capacità di instaurare relazioni significative anche nell’età adulta. Ha richiamato infine la valutazione psicodiagnostica effettuata dal Servizio sociale, da cui emergeva che il minore, pur incontrando regolarmente il padre in forma protetta, non manifestava alcun sentimento di affettività importante ed attuale nei confronti dei genitori biologici, dimostrando invece il bisogno di vivere in un contesto di chiarezza, per non correre il rischio di destrutturarsi o assumere tratti schizoidi a causa dello stato di ambivalenza in relazione alle figure genitoriali. Ha concluso che la capacità genitoriale dell’appellante non era recuperabile in tempi compatibili con la crescita del minore, non essendo la sua dichiarazione di disponibilità a prendersi cura di quest’ultimo suffragata da comportamenti coerenti, in quanto egli non appariva ancora consapevole della propria funzione educativa e di riferimento stabile nel quotidiano e non esprimeva alcuna progettualità.

2. Avverso la predetta sentenza l’ O. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 5, comma 1, rilevando che la Corte d’appello ha omesso di disporre la convocazione degli affidatari del minore, obbligatoria nel giudizio avente ad oggetto lo stato di adottabilità, indipendentemente dall’allegazione del pregiudizio che ne è derivato. Afferma comunque che la convocazione era necessaria ai fini della valutazione dell’interesse del minore, del quale non era stato disposto l’ascolto, della corretta ricostruzione dei rapporti con esso ricorrente, in ordine ai quali le risultanze dell’istruttoria apparivano contraddittorie, e dell’individuazione del ruolo eventualmente svolto dagli affidatari nel lungo periodo di affidamento del minore.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per apparenza e perplessità della motivazione, nella parte in cui ha rigettato l’istanza di audizione del minore, rilevando l’insufficienza e la genericità del riferimento all’età del minore ed alla situazione delicata in cui vive. Premesso che il minore, avendo abbondantemente compiuto i dieci anni, è in età prossima a quella che segna l’acquisto della piena capacità di discernimento, la cui sussistenza non è stata in alcun modo valutata, osserva che l’audizione avrebbe consentito di accertare la volontà del minore di mantenere i rapporti con il padre naturale, in contrasto con quanto riferito dal c.t.u. e dai Servizi sociali nelle loro relazioni.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver escluso che egli fosse consapevole della sua funzione educativa e di riferimento stabile nel quotidiano del minore, senza tener conto della sua capacità di mantenerlo e di provvedere alle sue esigenze. Afferma infatti di avere dimostrato di avere una stabile sistemazione abitativa ed un’occupazione a tempo indeterminato, con cui è sempre riuscito a mantenere il figlio, nonché di essere d’indole buona e mansueta, aggiungendo di non essere tenuto a dimostrare fin d’ora i suoi progetti per il futuro del figlio.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 8 osservando che, nel ritenere insussistente la sua capacità genitoriale, la sentenza impugnata ha richiamato fatti accaduti anni addietro, che non potrebbero più ripetersi, in virtù dell’allontanamento della madre del minore, il cui carattere problematico ha contribuito al verificarsi degli errori commessi nella gestione del minore. Ribadisce che la Corte d’appello ha omesso di valutare la situazione attuale, non avendo tenuto conto della sua capacità di assicurare il mantenimento materiale ed un sostegno psicologico ed emotivo al figlio, nonché dei miglioramenti intervenuti nell’atteggiamento da lui manifestato nei confronti dei Servizi sociali.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d), osservando che, ai fini dell’accertamento dello stato di abbandono del minore, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’attaccamento da quest’ultimo dimostrato nei confronti di esso ricorrente, risultante dalla relazione dell’educatore, che avrebbe consentito di disporre la c.d. adozione mite, consentita nel caso in cui il distacco dal genitore biologico non corrisponda all’interesse del minore.

6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, rilevando che la Corte d’appello ha omesso di valutare le istanze istruttorie da lui articolate, e segnatamente la richiesta di audizione degli educatori referenti degl’incontri con il figlio, che avrebbe consentito di approfondire le discrepanze emerse tra la relazione degli stessi e quelle dei Servizi sociali.

7. Il primo motivo, con cui si fa valere l’omessa convocazione degli affidatari nel giudizio di appello, è fondato.

In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità, questa Corte ha infatti affermato che la convocazione delle persone alle quali il minore è affidato, già ritenuta prescritta a pena di nullità per il giudizio di primo grado, sulla base della L. n. 184 del 1983, art. 15 nel testo riformulato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, art. 14, comma 1, (cfr. Cass., 12/05/2006, nn. 11019 e 11020), deve ritenersi necessaria anche nel giudizio di appello, per effetto delle innovazioni introdotte dalla L. 19 ottobre 2015, n. 173. Pur dandosi atto della mancata modificazione della L. n. 184, art. 17 che disciplina la fase di gravame, sono stati infatti evidenziati da un lato l’ampia formulazione dell’art. 5, comma 1, che, nel testo modificato dalla L. n. 173, art. 2 prescrive a pena di nullità la convocazione dell’affidatario nei “procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore”, senza distinguere fasi o gradi, dall’altro il tenore letterale dello stesso art. 17, il quale, pur limitandosi a prevedere la partecipazione al giudizio delle parti e del pubblico ministero, richiede, anche in appello, l’effettuazione di “ogni altro opportuno accertamento”. Si è inoltre rilevato che a favore del potenziamento della partecipazione dell’affidatario ai giudizi in questione depone la ratio della norma in esame, volta da un lato a riconoscere il ruolo dallo stesso svolto nella costruzione del contesto relazionale del minore e nella conseguente conoscenza della sua indole e dei suoi comportamenti, bisogni e criticità, specie quando si sia stabilita una relazione affettiva di media o lunga durata, e dall’altro nell’esigenza di conservare figure significative e caratterizzanti fasi decisive dello sviluppo psico-fisico del minore (cfr. Cass., Sez. I, 7/06/2017, n. 14167; v. anche Cass., Sez. I, 29/ 09/2017, n. 22934).

La disciplina in esame, avente carattere processuale e ritenuta quindi immediatamente applicabile anche ai giudizi in corso, è rimasta nella specie inosservata, sebbene il giudizio di appello si sia interamente svolto in epoca successiva all’entrata in vigore della L. n. 173 del 2015, essendo stato promosso con ricorso depositato il 22 settembre 2018. La Corte territoriale ha infatti omesso di disporre la convocazione degli affidatari del minore, ritenendo evidentemente sufficiente l’audizione degli stessi effettuata nel corso del giudizio di primo grado, senza avvedersi della necessità della loro partecipazione alla fase di gravame, espressamente prevista dalla L. n. 184, art. 5, comma 1, come modificato dalla L. n. 173 cit., art. 2 ai sensi del quale agli stessi spettava anche la “facoltà di presentare memorie scritte nell’interesse del minore”. Indipendentemente da tale formale prescrizione e dalla sanzione prevista per la sua inosservanza, l’opportunità della predetta convocazione emergeva d’altronde dalla considerazione della complessità della vicenda sostanziale e processuale, protrattasi in primo grado per circa quattro anni e caratterizzata anche dal mutamento della famiglia di affidamento, della durata del rapporto con i nuovi affidatari, del tempo trascorso dall’audizione di questi ultimi, effettuata circa tre anni prima della pronuncia della sentenza di appello, e del perdurante legame manifestato dal minore nei confronti del padre, nonché dell’esigenza di un adeguato approfondimento in ordine alle critiche da quest’ultimo rivolte agli stessi affidatari ed ai Servizi sociali. In proposito, la sentenza impugnata si è invece limitata a richiamare le relazioni trasmesse dagli operatori dei Servizi e gli accertamenti compiuti dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio, incentrati prevalentemente sui rapporti del minore con il padre e sulla carente capacità genitoriale di quest’ultimo, trascurando gli aspetti, non meno importanti, inerenti alla situazione attuale del minore ed al rapporto da lui instaurato con la famiglia alla quale è affidato ormai da circa cinque anni.

8. Il secondo motivo, anch’esso riflettente un vizio di ordine procedimentale, sia pure mediato dal difetto di motivazione dell’omessa audizione del minore, è invece inammissibile, per difetto di specificità.

Come già chiarito da questa Corte, la disciplina dell’ascolto del minore è diversamente modulata dalla L. n. 184 del 1983, art. 15 in relazione all’età dello stesso, nel senso che, mentre per il minore che abbia compiuto dodici anni l’audizione ha carattere obbligatorio ed officioso, vale a dire che dev’essere disposta a pena di nullità, indipendentemente da un’istanza di parte, a meno che non si ritenga l’ascolto motivatamente superfluo o contrario all’interesse del minore, nel caso del minore infradodicenne è invece subordinata ad una valutazione discrezionale del giudice, il quale è tenuto a motivare l’omesso ascolto soltanto a fronte di una specifica istanza. Premesso che “l’ascolto costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, costituendo lo strumento peculiare di partecipazione alle decisioni che lo investono e al conseguimento del suo preminente interesse” (cfr. Cass., Sez. I, 26/03/ 2015, n. 6129; 11/09/2014, n. 19202; v. anche Cass., Sez. I, 22/07/2015, n. 15365, relativa all’ipotesi in cui le condizioni di legge, non sussistenti in primo grado, maturino soltanto dopo la relativa decisione), si è infatti precisato che “tale obiettivo (…) non si realizza, per i minori di età inferiore ai dodici anni, mediante la previsione di un obbligo generalizzato ed officioso di ascolto o della correlata necessità della giustificazione espressa delle ragioni dell’omessa audizione”, dal momento che “il diritto alla partecipazione alle decisioni che lo riguardano deve essere esercitato in modo consapevole ed effettivo”. Si è quindi ritenuto che l’obbligatorietà dell’ascolto e della motivazione espressa della scelta contraria sorga soltanto con il compimento del dodicesimo anno, mentre prima del raggiungimento di tale età il giudice, pur avendo il potere officioso di disporre l’ascolto, nel rispetto delle modalità stabilite dall’art. 336-bis c.c., non è tenuto a procedervi né a motivare il mancato esercizio di tale potere. Solo in presenza di una specifica istanza di parte, accompagnata dall’indicazione degli argomenti e dei temi di approfondimento sui quali si ritiene necessario l’ascolto, il giudice è tenuto a motivare la propria scelta negativa, in relazione all’insufficiente capacità di discernimento del minore, all’inutilità del suo ascolto o al contrasto dello stesso con l’interesse del minore, scattando altrimenti la sanzione della nullità (cfr. Cass., Sez. I, 26/06/2019, n. 17108; 7/03/2017, n. 5676). In quanto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, tale apprezzamento deve ritenersi poi sindacabile in sede di legittimità soltanto per incongruenza o illogicità della motivazione, a condizione che le stesse risultino talmente gravi da impedire di ricostruire il ragionamento sotteso alla predetta scelta, e che il ricorrente riporti, a sostegno delle proprie censure, gli argomenti ed i temi sui quali aveva sollecitato un approfondimento mediante l’ascolto del minore.

Nella specie, è proprio la carenza di quest’ultima indicazione ad impedire qualsiasi valutazione in ordine alla coerenza ed alla ragionevolezza dei motivi addotti a fondamento della decisione di non procedere all’ascolto del minore: a fronte dell’affermazione della Corte territoriale, secondo cui tale adempimento sarebbe risultato non solo superfluo, non consentendo di aggiungere ulteriori elementi a quelli già raccolti, ma anche pregiudizievole per il minore, mettendo a repentaglio l’equilibrio da lui faticosamente raggiunto attraverso la rielaborazione dei propri dolorosi vissuti con l’aiuto degli affidatari, il ricorrente si è infatti limitato a dolersi della mancata valutazione della capacità di discernimento del minore, sinteticamente esclusa dalla sentenza impugnata attraverso il riferimento all’età dello stesso, nonché ad insistere genericamente sulla volontà del minore di conservare il legame con il proprio genitore e sulla distorta interpretazione fornitane dalle relazioni dei Servizi sociali e del c.t.u., senza neppure precisare quali fossero esattamente i comportamenti, gli episodi o gli apprezzamenti in ordine ai quali aveva evidenziato la necessità di un approfondimento.

9. La sentenza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, restando assorbiti gli altri motivi, riguardanti l’accertamento della capacità genitoriale del ricorrente.

La causa va conseguentemente rinviata alla Corte d’appello di Bologna, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021

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