Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23311 del 18/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/09/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 18/09/2019), n.23311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29840-2018 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato VITTORIO SANNONER;

– ricorrente –

contro

D.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DONATO MASSIMILIANO DELLA VISTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 911/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 23/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. VINCENTI

ENZO.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a quattro motivi, R.M. ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Bari, resa pubblica in data 23 maggio 2018, che ne rigettava l’appello principale e accoglieva quello incidentale di D.P.G., avvocato, e, per l’effetto, riformava la sentenza del Tribunale di Foggia, condannando, così, il R. al pagamento, in favore del D.P., dell’ulteriore importo di Euro 18.327,96, oltre interessi legali, a titolo di competenze professionali difensive;

che la Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, segnatamente osservava che: 1) era tempestiva l’opposizione a decreto ingiuntivo in quanto, essendo avvenuta la notifica dell’atto ex art. 140 c.p.c., l’opponente aveva avuto cognizione del decreto – allegato alla raccomandata informativa – alla data del ritiro della raccomandata stessa e, precisamente il 1 giugno 2011, con lo scadere del termine quindi l’11 luglio 2011; 2) il primo giudice aveva erroneamente applicato l’art. 2959 c.c. per aver accolto l’eccezione di prescrizione ex art. 2956 c.c. proposta dal R., nonostante costui avesse contestato l’effettivo svolgimento dell’attività difensiva svolta dall’Avv. D.P. a anche il quantum del credito professionale; 3) non sussistevano cause di incompatibilità ex art. 246 c.p.c. dei testi escussi, avendo il R., peraltro, mancato di eccepire la nullità dopo l’escussione dei testi e riproposto l’eccezione in appello in modo generico;

che resiste con controricorso D.P.G.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 140 e 48 disp. att. e dell’art. 641 c.p.c., per aver la Corte territoriale errato nel dichiarare l’ammissibilità, in quanto tempestiva, dell’opposizione a decreto ingiuntivo, facendo decorrere il relativo termine dalla data del ritiro della raccomandata informativa, anzichè dalla data dell’avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione per non aver mai, l’opponente, ritirato l’atto a lui notificato ex art. 140 c.p.c.;

a.1) Il motivo è manifestamente infondato.

E’ principio consolidato che la notifica ex art. 140 c.p.c. si perfeziona per il destinatario col ricevimento della raccomandata informativa, che rende conoscibile l’atto, essendo necessario il decorso dei dieci giorni dalla spedizione della raccomandata solo nel caso in cui questa non sia stata ricevuta (cfr. Corte Cost. n. 3 del 2010; Cass. n. 19772/2015).

Nella specie, la Corte territoriale ha accertato che il ricorso e il decreto ingiuntivo erano stati notificati il 23 maggio 2011 ai sensi dell’art. 140 c.p.c., con ritiro del plico postale il 1 giugno 2011, là dove, peraltro, dalla predetta data del 23 maggio iniziava a decorrere, in caso di mancato ritiro della raccomandata, il termine di 10 giorni per il perfezionamento della notifica che sarebbe avvenuto in data 2 giugno 2011. Pertanto, in entrambi le ipotesi, risulta rispettato il termine di 40 giorni per l’opposizione del decreto ingiuntivo (avvenuta il 7 luglio 2011), non configurandosi così nessuna violazione dell’art. 140 c.p.c.

b) con il secondo motivo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2956 e 2957 c.c., per aver il Giudice di gravame accolto l’appello incidentale, riformando, così, la sentenza di primo grado nella parte in cui accoglieva l’eccezione di prescrizione ex art. 2956 c.c. in quanto esso R. non aveva limitato la propria difesa all’avvenuto pagamento e alla prescrizione triennale, ma, in via subordinata, contestava anche l’effettivo svolgimento dell’attività difensiva svolta dall’Avv. D.P., nonchè il quantum del credito professionale;

b.1) il motivo è manifestamente infondato.

La prescrizione presuntiva ai sensi dell’art. 2959 c.c. si fonda non sull’inerzia del creditore e sul decorso del tempo – come accade per la prescrizione ordinaria – ma sulla presunzione che, in considerazione della natura dell’obbligazione e degli usi, il pagamento sia avvenuto nel termine previsto. Conseguentemente, l’eccezione di prescrizione deve essere rigettata qualora il debitore ammette di non avere pagato, dovendo considerarsi sintomatica del mancato pagamento e, dunque, contrastante con i presupposti della relativa presunzione, la circostanza che l’obbligato abbia contestato di dovere pagare in tutto o in parte il debito o che soggetto obbligato sia un terzo, essendo tali circostanze incompatibili con la prescrizione presuntiva che presuppone l’avvenuto pagamento e il riconoscimento dell’obbligazione (Cass. n. 30058/2017).

La Corte territoriale ha correttamente applicato l’anzidetto principio di diritto, poichè anche la contestazione in via subordinata dell’an e del quantum della pretesa creditoria non è priva di significato sul piano della valutazione della complessiva prospettazione difensiva, essendo la prescrizione presuntiva incompatibile con qualunque comportamento del debitore che configuri, anche indirettamente, riconoscimento della mancata estinzione dell’obbligazione dedotta dal creditore(Cass. n. 7277/2005);

c) con il terzo motivo è dedotta “omessa valorizzazione di prove e fatti decisivi”, per aver la Corte territoriale omesso di valorizzare anzitutto il riconoscimento da parte dell’avv. D.P. del proprio debito, e dunque delle richieste di prestiti e dell’emissione a garanzia degli assegni compiuti dal medesimo D.P., comprovanti l’insussistenza del credito professionale, nonchè di valorizzazione le prove documentali sulle difese svolte da esso R. personalmente e da altri suoi avvocati nel giudizio straordinario di revisione, comprovanti non solo il maturarsi della prescrizione triennale, ma anche la subordinata difesa, tesa a dimostrare l’insussistenza del diritto;

c. 1) il motivo è inammissibile, poichè è prospettato un vizio motivazionale alla stregua della formulazione non più vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, inapplicabile ratione temporis al presente giudizio di legittimità, senza che venga veicolata una censura in conformità alla anzidetta vigente norma processuale, ossia per omesso esame di fatto storico decisivo, che non è vizio integrato, di per sè, dall’omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, altresì necessitando che il ricorrente (ciò che nella specie è onere non ritualmente assolto) indichi puntualmente il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., S.U., n. 8053/2014);

d) con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. per aver erroneamente il Giudice di gravame rigettato l’eccezione, ritualmente formulata nelle fasi e atti processuali, di incapacità a testimoniare dei escussi nel giudizio di primo grado; altresì, viene censurata l’errata distribuzione dell’onere della prova, in quanto gravava sul presunto creditore dimostrare, attraverso il giuramento decisorio, la mancata soddisfazione del credito, stante l’inequivocabile prescrizione triennale;

d.1) il motivo è inammissibile.

Lo è, anzitutto, poichè la Corte territoriale, nell’esaminare il relativo motivo di appello, ha espressamente affermato (cfr. p. 12 della sentenza impugnata) che non risultava “proposta alcuna eccezione di nullità dopo l’escussione di detti testi” e che nemmeno risultava censurata specificamente con l’atto di appello la motivazione dell’ordinanza dell’8 ottobre 2012, “essendosi limitato l’appellante a riproporre in maniera generica l’eccezione”.

Sicchè, essendo stato il motivo di gravame ritenuto aspecifico, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che non lo fosse (non essendo a ciò sufficiente quanto, alle pp. 34-36 del ricorso, si riproduce dell’atto di appello).

Lo è, inammissibile, anche per le ragioni che seguono.

L’incapacità a deporre prevista dall’art. 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del processo – salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilità del teste – nè un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio (Cass. n. 167/2018, Cass. n. 2075/2013).

Inoltre, l’insussistenza, per effetto della decisione della Corte Cost. n. 248 del 1994, del divieto di testimoniare sancito per i parenti dall’art. 247 c.p.c. non consente al giudice di merito un’aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, ma neppure esclude che l’esistenza di uno dei vincoli in essa indicati possa, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato dal giudice di merito – la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove motivata – ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse (Cass. n. 98/2019).

La doglianza di parte ricorrente, nel prospettare meramente che i testimoni erano “associati della controparte nel loro studio legale” e uno di essi anche la sorella del D.P., non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che, esclusa (correttamente) ogni ragione di incapacità dei testi escussi, si sofferma ampiamente sulla loro attendibilità, con motivazione neppure attinta da idonee censure.

E’ altresì inammissibile la restante doglianza che riguarda il “giuramento decisorio”, correlata alla sussistenza della prescrizione presuntiva che la Corte territoriale ha escluso, con statuizione da ritenersi ormai cosa giudicata in ragione dell’esito dello scrutinio sul secondo motivo di ricorso;

che la memoria di parte ricorrente ex art. 380 bis c.p.c., giacchè depositata a mezzo posta, è inammissibile, sicchè nulla in essa proposto può essere preso in considerazione, non essendo applicabile l’art. 134 disp. att. c.p.c. in quanto previsto esclusivamente per il ricorso ed in controricorso (tra le altre, Cass. n. 7704/2016, Cass. n. 8835/2018);

che le missive pervenute in cancelleria nelle date 21 e 28 marzo 2019 non sono esaminabili in quanto provenienti dalla parte personalmente e non dal difensore;

che il ricorso va, dunque, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2019

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