Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23310 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. II, 23/10/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 23/10/2020), n.23310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25575/2016 proposto da:

E.E.F., D.R.Z.A., C.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA L. ANDRONICO 24, presso lo

studio dell’avvocato ILARIA ROMAGNOLI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANO ROSSI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE di VIGO DI CADORE, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA MONTELEONE DI SPOLETO 36,

presso lo studio dell’avvocato EMILIANO CELLI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLO GHEZZE;

– controricorrente –

contro

E.H. GmbH, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 827/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ordinanza ingiunzione n. 526/13 del 4 aprile 2013 il Comune di Vigo di Cadore intimava il pagamento in solido di Euro 52.864,46 ai signori E.E.F., D.R.Z.A. e C.L., nonchè alla società E.H. GmbH, per la violazione del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, artt. 8 e 26, in relazione agli artt. 33 e 39 delle Prescrizioni di massima di polizia forestale (in sigla PMPF) della Regione Veneto.

2. L’illecito contestato consisteva nell’esecuzione di un taglio di piante in difformità dal progetto di miglioramento boschivo datato 16 agosto 2011 e approvato dei servizi forestali regionali in data 31 agosto 2011. In particolare l’Amministrazione sanzionava l’abbattimento di 522 soggetti arborei di abete rosso, non autorizzato, in quanto effettuato prima della apposizione del martello forestale.

3. E.E.F. – legale rappresentante della società E.H. GmbH, società esecutrice dei lavori – veniva sanzionato, quale trasgressore principale, in quanto responsabile per i tagli effettuati dagli operai della suddetta società.

D.R.Z.A., presidente pro tempore della Magnifica Regola di Vigo, Laggio, Piniè e Pelos, ente proprietario della particella forestale interessata, veniva sanzionato in solido con il trasgressore principale, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6 per omessa vigilanza sui lavori.

C.L., tecnico progettista, veniva sanzionato in solido con il trasgressore principale, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, per aver assunto un ruolo di direzione e vigilanza sulle operazioni di taglio, avallando le stesse mediante l’apposizione del sigillo del proprio martello forestale su tutti i soggetti abbattuti.

4. La suddetta ordinanza ingiunzione veniva opposta dai signori E., D.R.Z. e C., nonchè dalla società E.H. GmbH e tale opposizione è stata rigettata, in primo grado, dal Tribunale di Belluno e, in secondo grado, dalla Corte d’appello di Venezia.

5. La Corte d’appello – dopo aver precisato che in sede ispettiva era stato accertato che il taglio aveva riguardato 522 piante di abete rosso in eccesso rispetto a quanto previsto nel progetto approvato e che su tali piante il martello forestale era stato apposto soltanto dopo il taglio – ha giudicato dimostrata la sussistenza materiale dell’illecito ascritto agli appellanti ed ha ritenuto che di tale illecito dovessero rispondere in solido non soltanto il legale rappresentante della società esecutrice dei lavori di taglio ma anche il presidente della Regola a cui apparteneva l’area interessata al taglio, nonchè il progettista dei lavori stessi.

6. La sentenza della Corte lagunare è stata impugnata per cassazione dai sig.ri E., D.R.Z. e C. con unico ricorso, articolato in sette motivi, proposto contro il Comune di Vigo di Cadore, che si è costituito con controricorso, e nei confronti della società E.H. GmbH, che è rimasta intimata.

7. I ricorrenti hanno altresì depositato una memoria in prossimità dell’adunanza ex art. 380 bis 1 del 5 marzo 2020, in cui la causa è stata decisa.

8. I primi quattro motivi di ricorso sono riferiti alle posizioni individuali dei tre ricorrenti e riguardano la legittimità della imputazione soggettiva dell’illecito operata, per ciascuno di loro, dall’Amministrazione e confermata dalla Corte d’appello. Il quinto e sesto motivo di ricorso, per contro, sono comuni a tutti i ricorrenti, in quanto concernono il profilo oggettivo dell’illecito. Il settimo motivo attinge la regolazione delle spese operata dalla Corte di appello. I motivi concernenti il profilo oggettivo dell’illecito, in quanto comuni a tutti i ricorrenti, vanno esaminati prioritariamente.

9. Con il quinto motivo di ricorso – riferito al vizio di falsa applicazione di legge, in relazione al R.D. n. 3267 del 1923, art. 26 e dell’art. 12 preleggi – i ricorrenti censurano la qualificazione giuridica della fattispecie effettuata nell’impugnata sentenza.

9.1. La Corte d’appello, premesso in fatto che, nella specie, la richiesta di taglio era stata presentata, ha affermato che la norma violata dai trasgressori non era l’art. 33 delle PMPF (che appunto, si legge a pag. 33 della sentenza, è “limitato ai casi di mancata dichiarazione o domanda di taglio”) bensì il R.D. n. 3267 del 1923, art. 26.

9.2. La suddetta argomentazione viene censurata nel motivo di ricorso in esame sul rilievo che, poichè il bosco di cui si tratta è sottoposto a vincolo idrogeologico, al medesimo si applicherebbe solo la disciplina delle PMPF regionali (alla cui stregua, secondo i ricorrenti, sarebbe sanzionato solo il taglio effettuato in mancanza di dichiarazione o richiesta, non anche il taglio effettuato in difformità dal progetto approvato), cosicchè il richiamo della sentenza impugnata al disposto del R.D. n. 3267 del 1923, art. 26, sarebbe erroneo. Tale disposizione, si argomenta nel ricorso, delinea due ipotesi distinte: la prima, concernente i boschi sottoposti a vincolo idrogeologico, riguarda il taglio in violazione delle PMPF regionali; la seconda, concernente i boschi soggetti ai vincoli R.D. n. 3267 del 1923, ex art. 17, dettati dalle Amministrazioni dello Stato per scopi diversi dalla difesa idrogeologica, riguarda il taglio in violazione delle disposizioni impartite da tali Amministrazioni. Poichè il bosco di cui si discute è soggetto a vincolo idrogeologico, e quindi i tagli nel medesimo effettuati sono disciplinati dalla PMPF regionali, l’illecito amministrativo sarebbe configurabile solo nel caso di taglio eseguito senza richiesta di autorizzazione e non anche nel caso di taglio eseguito in difformità dall’autorizzazione.

9.3. Il motivo è infondato, anche se la motivazione della sentenza va corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

9.3.1. Il R.D. n. 3267 del 1923, art. 26, recita: “Coloro che nei boschi vincolati per scopi idrogeologici o per gli scopi previsti dall’art. 17, taglino o danneggino piante o arrechino altri danni, in contravvenzione alle prescrizioni emanate dal Comitato forestale ed alle disposizioni impartite dalle autorità, di cui al comma 2 dell’articolo predetto, saranno puniti con una pena pecuniaria, dal doppio al quadruplo del valore delle piante tagliate o del danno commesso salvo gli obblighi imposti dagli articoli precedenti”. Tale disposizione delinea, come correttamente evidenziato dai ricorrenti, due distinte ipotesi: quella dei boschi soggetti a vincolo idrogeologico, in cui i tagli sono disciplinati dalle prescrizioni emanate dal Comitato forestale (ora PMPF regionali), e quella, a cui rimanda il richiamo al R.D. n. 3267 del 1923, art. 17, dei boschi soggetti “ad analoghe limitazioni” apposte “per disposizione della competente Amministrazione dello Stato” quando ne “sia ritenuta necessaria la conservazione anche per ragioni di difesa militare” (R.D. n. 3267 del 1923, art. 17, comma 2).

9.3.2. L’affermazione che si legge a pagina 34, penultimo capoverso, della sentenza, secondo cui “nel caso in esame le prescrizioni dell’autorità sono rappresentate dal progetto di taglio autorizzato dal comitato forestale, ora servizio forestale regionale”, è dunque giuridicamente inesatta, perchè il R.D. n. 3267 del 1923, art. 26, là dove menziona le “autorità”, si riferisce alle autorità di cui dello stesso R.D. 3267 del 1923, art. 17, comma 2, vale a dire alle suddette Amministrazioni statali, e non al Comitato forestale (ora Amministrazione regionale). Il R.D. n. 3267 del 1923, art. 26, prevede, in sostanza, una duplice filiera di tutela, quella legato al vincolo idrogeologico presidiata dal Comitato forestale (oggi dalla Regione), e quella legata ad altri tipi di vincoli, presidiata da altre Amministrazioni dello Stato; e, poichè il bosco di cui si tratta è soggetto al vincolo idrogeologico, la disciplina dei tagli ivi praticati deve rinvenirsi nelle PMPF della Regione Veneto.

9.3.3. La segnalata imprecisione non inficia, tuttavia, la correttezza della decisione della Corte d’appello. Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, infartti, la disciplina dettata dall’art. 33 delle PMPF della Regione Veneto configura come illecito amministrativo non soltanto il taglio di alberi effettuato senza previa dichiarazione (nel caso di utilizzazioni di entità inferiore ai 100 m3) o senza previa autorizzazione (nel caso di utilizzazioni di entità superiore ai 100 m3) ma anche il taglio di un numero di alberi superiore a quello autorizzato, ossia al numero di alberi risultante dal progetto di taglio approvato dal Servizio Forestale Regionale. Se infatti – come dispone l’art. 33 n. 2) delle PMPF – l’utilizzazione del bosco può essere effettuata solo a seguito dell’approvazione del progetto di taglio da parte del Servizio Forestale Regionale, l’utilizzazione eseguita in violazione del progetto di taglio non può che ritenersi vietata. La sanzione della violazione di tale divieto non si rinviene, tuttavia, nel medesimo art. 33 della PMPF, che è espressamente dettato per la sola ipotesi di mancata presentazione della domanda di taglio (“Per la mancata dichiarazione o domanda di taglio si applica la sanzione amministrativa prevista dalla L. 9 ottobre 1967, n. 950, art. 3, salvo l’applicazione delle disposizioni di cui al R.D.L. 18 giugno 1931, n. 973 e del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, art. 26 e successive modificazioni ed integrazioni”), bensì nell’art. 39 delle medesime PMPF, che sanziona tutte le violazioni al titolo secondo delle ripetute PMPF, richiamando il R.D. n. 3267 del 1923, art. 26, quoad poenam (“Per le infrazioni alle disposizioni contenute nel presente titolo, si applicano le pene comminate dal R.D. n. 3267 del 1923, art. 26 e successive modificazioni ed integrazioni”).

9.3.4. In definitiva la Corte d’appello non erra, come non errano i ricorrenti, nell’affermare che, nella specie, poichè la domanda di taglio è stata presentata, non può essere applicata la sanzione di cui all’art. 33 delle PMPF; e nemmeno erra la Corte d’appello ad affermare – mentre errano i ricorrenti a negare – che la fattispecie in esame è sanzionata dal R.D. n. 3267 del 1923, art. 26. Va però chiarito che quest’ultimo articolo si applica alla fattispecie non direttamente, bensì in virtù del richiamo al medesimo operato dall’art. 39 delle PMPF della Regione Veneto.

10. Con il sesto motivo di ricorso – riferito al vizio di falsa applicazione di legge, in relazione agli artt. 2964 e 2700 c.c. – si lamenta che il Comune di Vigo di Cadore non avrebbe assolto all’onere, di cui era gravato, di provare gli elementi costitutivi dell’illecito; nel corpo del motivo i ricorrenti richiamano gli argomenti già spesi in sede di merito per dimostrare l’inattendibilità delle misurazioni dei tagli e dei prelievi di massa legnosa effettuate dagli agenti accertatori.

Il motivo non può trovare accoglimento.

10.1. I ricorrenti hanno ragione di dolersi di taluni passaggi della sentenza impugnata nei quali si fa riferimento al mancato adempimento di oneri probatori da parte degli opponenti (pagina 26, secondo capoverso, pagina 27, primo rigo, pagina 28, quarto rigo); ancora di recente, infatti, questa Corte ha ribadito, con la sentenza n. 1921/19, il principio, dal quale non vi è ragione di discostarsi, che nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, l’onere di allegazione è a carico dell’opponente, mentre quello probatorio soggiace alla regola ordinaria di cui all’art. 2697 c.c.; con la conseguenza che grava sulla P.A., quale attore sostanziale, la prova dei fatti costitutivi posti a fondamento della sua pretesa e non sull’opponente, che li abbia contestati, quella della loro inesistenza, dovendo, invece, quest’ultimo dimostrare, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla regolarità formale del procedimento o sulla esclusione della sua responsabilità nella commissione dell’illecito, le sole circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’amministrazione.

10.2. Tuttavia, la suddetta doglianza si palesa sterile, giacchè i suddetti passaggi motivazionali dell’impugnata sentenza si risolvono in affermazioni meramente esornative, sostanzialmente prive di portata decisoria. Nella sostanza, infatti, la Corte lagunare ha ritenuto fornita dall’Amministrazione la prova dei fatti costitutivi dell’illecito e, quindi, soddisfatto l’onere probatorio sulla stessa Amministrazione gravante. Nella sentenza si legge, infatti: “l’Amministrazione ha ben chiarito le ragioni per le quali è da ritenere che il prelievo sia stato superiore” (pagina 26); si afferma che l’affermazione degli opponenti “è tuttavia smentita da quanto sopra riportato nell’ordinanza, ove è precisato…” (pagina 27); si dichiara espressamente di condividere il ragionamento presuntivo seguito delle accertatori per risalire dalla misura del diametro del tronco alla base alla misura del diametro del tronco a petto d’uomo (pagina 27 penultimo capoverso); si afferma che le ceppaie tagliate portano evidenti segni di taglio da parte della E. e “neppure le prove capitolate farebbero chiarezza” (pagine 28 primo capoverso e 29 ultimo capoverso), in tal modo legittimamente addossando agli opponenti la prova che gli alberi tagliati dalla E. oltre il numero indicato nel progetto approvato dalla Amministrazione fossero già morti prima del taglio.

10.3. La decisione dell’impugnata sentenza discende, quindi, non dall’applicazione di una regola di giudizio che addossi agli opponenti l’onere di provare l’insussistenza dei fatti costitutivi dell’illecito, bensì da un apprezzamento delle risultanze istruttorie che ha condotto la Corte d’appello a ritenere soddisfatto l’onere probatorio gravante sull’Amministrazione. Il motivo va quindi disatteso perchè esso, pur denunciando un vizio di falsa applicazione di legge, si risolve, in ultima analisi, in una doglianza di merito in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie da parte della Corte d’appello; doglianza inammissibile nel giudizio di cassazione nel quale, come noto, non è consentito alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione ad una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

11. Disattesi i due motivi relativi all’elemento oggettivo dell’illecito, può ora procedersi all’esame dei primi quattro mezzi di impugnazione, concernenti l’imputazione dell’illecito a ciascuno dei ricorrenti.

12. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 (dell’art. 27 Cost., in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa addossando la responsabilità per il taglio degli alberi in eccesso rispetto al progetto approvato a E.E.F., quale legale rappresentante della ditta esecutrice dei lavori, senza considerare che il taglio non era stato eseguito dal signor E., bensì dagli operai dipendenti della società E.H. GmbH; cosicchè, si argomenta nel motivo d’impugnazione, la responsabilità dell’illecito andava ascritta a tali operai (nemmeno identificati, si sottolinea nella doglianza), con il quali avrebbe semmai dovuto rispondere in solido la società e non il legale rappresentante della medesima.

12.1. Nel motivo inoltre si lamenta, quale ulteriore profilo di nullità dell’impugnata ordinanza ingiunzione, la circostanza che la stessa sia stata notificata alla società E.H. GmbH e non al signor E. personalmente.

13. Il motivo non può trovare accoglimento. La doglianza di cui al paragrafo 12. non attinge efficacemente l’argomento della Corte territoriale che ha ravvisato la responsabilità di E.E.F. in ragione della sua posizione di legale rappresentante della società E.H. GmbH e, quindi, di datore di lavoro degli operai che hanno eseguito il taglio. Il lavoratore subordinato presta il proprio lavoro “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore” (art. 2094 c.c.) e, conseguentemente, sull’imprenditore (che, quando l’impresa venga esercitata in forma societaria, si identifica nel legale rappresentante della società, cfr. Cass. Euro 17288/05, Cass. n. 26615/18) grava l’onere di dirigere e controllare il lavoro dei operai. Era dunque E.E.F. a dover indicare ai dipendenti dalla società da lui rappresentata quali alberi tagliare e a dover controllare che essi si attenessero alle sue istruzioni. Correttamente, quindi, la corte territoriale lo ha ritenuto responsabile dei tagli in eccesso rispetto al progetto approvato.

Quanto alla doglianza sopra riportato nel paragrafo 12.1., è sufficiente considerare che la circostanza che l’ordinanza ingiunzione opposta non sia stata notificata personalmente a E.E.F., bensì alla società E.H. GmbH, è questione non trattata nella sentenza gravata e che nel ricorso non si precisa se e quando sia stata dedotta in sede di merito, nè se abbia formato specifico motivo di opposizione all’ordinanza ingiunzione. Tale questione va dunque giudicata inammissibile, alla luce del principio che, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass. 8206/16).

14. Il secondo e terzo motivo di ricorso concernono la posizione del signor D.R.Z..

14.1. Col secondo motivo si denuncia la falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa confermando l’ordinanza ingiunzione del Comune di di Cadore là dove la stessa afferma la responsabilità di D.R.Z.A., insieme con l’esecutore ed il progettista del taglio, per il pagamento della sanzione irrogata per l’illecito amministrativo in questione. Nel motivo di ricorso si argomenta che il signor D.R.Z., non essendo proprietario del bosco dove è stato effettuato il taglio (ma solo presidente dell’ente proprietario di tale bosco) non aveva titolo per rispondere ai sensi della della L. n. 689 del 1981, art. 6.

14.2. Col terzo motivo si addebita alla Corte territoriale la falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, sotto un ulteriore profilo. Nel motivo infatti, si contesta l’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui il signor D.R.Z., in quanto presidente dell’ente proprietario del bosco, avrebbe dovuto vigilare sulle modalità di esecuzione dei lavori di taglio da parte della società E.H. GmbH. Nel motivo si argomenta, per un verso, che, in base allo statuto della Magnifica Regola di Vigo, Laggio, Piniè e Pelos, il presidente svolge funzioni esclusivamente rappresentative, e non amministrative; per altro verso, che, in ogni caso, la Regola, dopo aver concluso con la società E.H. GmbH un contratto di compravendita di legname, aveva consegnato a quest’ultima l’area boschiva in parola, senza conservare alcun potere di ingerenza nelle operazioni di taglio.

14.3. Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente e vanno giudicati fondati.

14.3.1. L’impugnata sentenza ha condiviso l’impostazione giuridica seguita dal Comune di Vigo di Cadore nell’impugnata ordinanza ingiunzione (e dallo stesso Comune confermata nelle difese svolte nel controricorso depositato in questa sede) secondo cui il trasgressore principale va individuato nel signor E.E.F. – quale legale rappresentante della società E.H. GmbH e, in tale veste, autore effettivo, tramite gli operai dipendenti dalla società, del taglio degli alberi – mentre i signori D.R.Z. e C., nonchè la stessa società E.H. GmbH, devono rispondere della sanzione, in solido con E.E.F. e tra di loro, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6.

14.3.2. Il titolo della responsabilità solidale del signor D.R.Z. viene individuato nell’impugnata sentenza nella qualità, dal medesimo rivestita, di presidente della Regola proprietaria del bosco; si legge, infatti, a pagina 31 della sentenza che “è pacifico in causa che quest’ultima (la Regola n.d.r.) è proprietaria della particella forestale interessata; ne consegue che il suo rappresentante legale avrebbe dovuto vigilare per una corretta conservazione del patrimonio regoliero e la corretta esecuzione dei lavori commissionati, compito insito nella sua posizione di rappresentante legale dell’ente”.

14.3.3. Il ragionamento seguito dalla Corte lagunare non trova riscontro nel disposto della L. n. 689 del 1981, art. 6. Il comma 1 di questo articolo radica, infatti, l’obbligo di pagamento della sanzione, in solido con l’autore della violazione, in capo al proprietario della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione. Il titolo della responsabilità solidale con il trasgressore principale è pertanto rappresentato esclusivamente dalla proprietà della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione. Quando tale proprietà è imputabile a un ente, la responsabilità solidale grava su quest’ultimo e il tenore letterale del comma in esame non offre alcun argomento che autorizzi a traslare tale responsabilità dall’ente al legale rappresentate del medesimo.

14.3.4. Quanto alle considerazioni svolte nell’impugnata sentenza sull’obbligo del presidente della Regola di vigilare sull’operato della società che eseguì i lavori di taglio del bosco, il Collegio osserva che la Corte lagunare fa malgoverno dei principi che regolano la responsabilità per l’illecito amministrativo. La L. n. 689 del 1981, art. 6, prevede, al comma 2, che della violazione commessa da persona capace di intendere e di volere, ma soggetta all’altrui autorità, direzione o vigilanza, risponda, in solido con l’autore della violazione, anche la persona rivestita dell’autorità o incaricata della direzione o della vigilanza; ma l’impugnata sentenza non ha in alcun modo indicato in forza di quale rapporto il signor D.R.Z., in qualità di legale rappresentante della Regola, sarebbe stato investito di un ruolo di direzione e vigilanza nei confronti della società E.H. GmbH, non facendosi nemmeno carico di precisare se il rapporto contrattuale intercorso tra la Regola e la società E.H. GmbH fosse da qualificare in termini di appalto (di lavori di disboscamento) o di compravendita (di legname).

Ciò, del resto, si spiega, giacchè la Corte d’appello ha ritenuto il signor D.R.Z. responsabile in solido con il trasgressore principale ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1 (in quanto legale rappresentante dell’ente proprietario del bosco) e non del comma 2 di detto articolo (in quanto titolare di un rapporto giuridico con la società E.H. GmbH che gli attribuisse un potere di direzione e vigilanza sulla stessa). Ma la ratio decidendi fondata della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1, è, come illustrato nel paragrafo 14.3.3., priva di giuridico fondamento.

14.3.5. In definitiva il secondo ed il terzo motivo di ricorso vanno accolti. L’impugnata sentenza va conseguentemente cassata in relazione alla statuizione concernente la posizione del signor D.R.Z.A.; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa in parte qua nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con annullamento dell’ordinanza ingiunzione opposta nella parte concernente la posizione del signor D.R.Z..

14.4. Col quarto motivo si denuncia la falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa confermando l’ordinanza ingiunzione del Comune di Vigo di Cadore là dove la stessa afferma la responsabilità di C.L., insieme con l’esecutore del taglio e con il legale rappresentante della Regola, per il pagamento della sanzione irrogata per l’illecito amministrativo in questione. La doglianza attinge l’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui il Dott. C. dovrebbe rispondere in quanto titolare di un potere di direzione e vigilanza sull’impresa esecutrice del taglio “connesso al fatto che egli ha posto il proprio sigillo sui fusti oggetto di taglio” (pag. 32 della sentenza). Nel motivo di ricorso si argomenta che il Dott. C. non avrebbe curato la direzione dei lavori, non avrebbe dettato linee di indirizzo o modalità di intervento, non avrebbe avallato e certificato l’intervento di taglio; egli, si sostiene in ricorso, si sarebbe limitata a contrassegnare le ceppaie alla fine dello scarico della massa complessiva prelevata.

Il motivo va disatteso perchè, ancorchè formulato come denuncia di violazione di legge, attinge, in sostanza, l’apprezzamento di fatto operato dalla Corte territoriale in ordine all’esistenza di un effettivo potere di direzione e vigilanza del Dott. C. nei confronti della società esecutrice dei lavori, potere che la Corte territoriale ha motivatamente ritenuto manifestarsi nell’apposizione del sigillo forestale (“in realtà, va riconosciuto al C. proprio ruolo di direzione vigilanza, connesso al fatto che egli ha posto il puro sigillo sui fusti oggetto di taglio”, pag. 32 della sentenza). In definitiva devono qui ribadirsi le osservazioni sopra svolte nel paragrafo 10.3. in relazione alla inammissibilità di un motivo di ricorso per cassazione che solleciti una revisione dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dal giudice di merito.

15. Il settimo motivo di ricorso censura l’impugnata sentenza per non aver compensato le spese di lite, nonostante le incertezze e le difficoltà della normativa esaminata.

15.1. Il motivo va dichiarato assorbito con riferimento alla posizione D.R.Z. e va rigettato in relazione agli altri ricorrenti, non essendo censurabile in sede di legittimità il mancato esercizio del potere di compensazione delle spese (in questo senso, da ultimo, Cass. n. 11329/19: “in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione”).

16. In definitiva vanno accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso e vanno rigettati il primo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso; il settimo motivo va dichiarato assorbito in relazione al ricorrente D.R.Z. e va rigettato in relazione agli altri ricorrenti. L’impugnata sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e, nella parte relativa a tali motivi, la causa va decisa nel merito con l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione opposta limitatamente alla posizione di D.R.Z.A..

17. Le spese di lite si regolano condannando E.E.F. e C.L. a rifondere al Comune di Vigo di Cadore le spese del giudizio di cassazione e condannando quest’ultimo Comune a rifondere ad D.R.Z.A. le spese dei tre gradi di giudizio. Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte di E.E.F. e C.L., del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso e, in relazione alla posizione di D.R.Z.A., dichiara assorbito il settimo; cassa la sentenza gravata in relazione alla posizione di D.R.Z.A. e, decidendo nel merito, annulla nei suoi confronti l’impugnata ordinanza ingiunzione.

Rigetta il primo, il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso, nonchè, in relazione ai ricorrenti E.E.F. e C.L., il settimo motivo di ricorso.

Condanna il Comune di Vigo di Cadore a rifondere al signor D.R.Z. le spese dell’intero giudizio, che liquida in Euro 3.000, oltre Euro 150 per esborsi più accessori di legge, per il primo grado; in Euro 8.000, oltre Euro 150 per esborsi più accessori di legge, per il secondo grado; in Euro 6.000, oltre Euro 200 più accessori di legge, per il giudizio di cassazione.

Condanna E.E.F. e C.L. a rifondere al Comune di Vigo di Cadore le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.000, oltre Euro 200 più accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei signori E.E.F. e C.L., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

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