Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2331 del 31/01/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 2331 Anno 2018
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: GUIZZI STEFANO GIAIME

CC

ORDINANZA

sul ricorso 7616-2015 proposto da:
CHIOLO

CARMELA,

TURCATO

BRUNO,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo
studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, rappresentati e
dit

erall’avvu PIRRPAMO ALYGIAN1 culwitn procur

a margine del ricorso;

– ricorrenti contro
2017
1768

PASQUALINOTTO ANTONIO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA MONTE SANTO, 10/A, presso lo studio
dell’avvocato ALESSANDRO ORSINI, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FRANCO BURAN giusta
procura a margine del controricorso;

1

Data pubblicazione: 31/01/2018

- controricorrente

avverso la sentenza n. 2119/2014 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 18/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 20/09/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO

GIAIME GUIZZI;

2

FATTI DI CAUSA

1. Bruno Turcato e Carmela Chiolo ricorrono per cassazione
avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 1914/14,
depositata il 18 settembre 2014, che – in parziale accoglimento
dell’appello proposto da Antonio Pasqualinotto avverso la sentenza n.

Piave, e in riforma della stessa – ha respinto la loro domanda
risarcitoria, volta ad ottenere il ristoro dei danni conseguiti ad
infiltrazioni di acqua manifestatesi nel locale adibito a tavernetta di un
immobile di loro proprietà, infiltrazioni, a loro dire, da ascrivere alla
rottura della cassetta del wc presente nel bagno dell’immobile
confinante, di proprietà del Pasqualinotto.

2. Riferiscono, in particolare, in punto di fatto, di aver adito la
suddetta sezione distaccata del Tribunale lagunare per conseguire il
risarcimento dei danni di cui sopra, convenendo in giudizio il
Pasqualinotto. Proposta dal convenuto – per quanto ancora qui di
interesse – domanda riconvenzionale (lamentando esso, a propria
volta, la presenza di infiltrazioni d’acqua con formazione di muffe in
espansione nell’intero seminterrato di sua proprietà), gli odierni
ricorrenti venivano autorizzati a chiamare in manleva il proprio
assicuratore, società Zurigo Assicurazioni S.A. – Rappresentanza
Generale per l’Italia (poi divenuta Zurich Insurance Public Limited
Company con Rappresentanza per l’Italia). Quest’ultima, a propria
volta, nel costituirsi in giudizio, oltre a richiedere il rigetto della
domanda riconvenzionale del Pasqualinotto, ne chiedeva la condanna
al pagamento in proprio favore – siccome surrogatasi ex art. 1916
cod. civ. nei diritti dei propri assicurati verso il responsabile – della
somma di C 5.161,00, già da essa corrisposta agli attori.

128/10 del Tribunale di Venezia, sezione distaccata di San Donà di

Istruita la causa anche attraverso l’assunzione di prova
testimoniale, il primo giudice accoglieva la domanda degli attori,
condannando il convenuto a pagare agli stessi la somma di C
15.000,00, nonché alla refusione delle spese processuali.
Proposto gravame dal Pasqualinotto, per conseguire – oltre al

riconvenzionale, la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma
della sentenza impugnata rigettava le domande proposte in primo
grado dal Turcato e dalla Chiolo, condannandoli per l’effetto a
rifondere all’appellante le somme pagate in esecuzione della sentenza
impugnata, oltre interessi legali dalle date di pagamento al saldo,
compensando integralmente tra tutte le parti le spese di ambo i gradi
di giudizio.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il
Turcato e la Chiolo, sulla base di tre motivi di ricorso.

3.1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono “violazione e/o falsa
applicazione di norme di diritto (art. 2051 c.c.) ai sensi dell’art. 360
n. 3 c.p.c.”, atteso che la Corte di Appello non avrebbe fatto corretta
applicazione della disciplina in tema di responsabilità da cose in
custodia.
In particolare, sul rilievo che “l’art. 2051 c.c. crea un’inversione
dell’onere della prova, imponendo al danneggiato di provare il fatto”
(ovvero, nella specie, “che la cassetta del wc perdeva acqua”),
nonché “il danno” (qui costituito “dai lavori eseguiti ed i costi
sostenuti” per la rimessione in pristino stato del locale tavernetta),
mentre il medesimo “non deve , provare il nesso eziologico,
incombendo al convenuto provare il caso fortuito”, gli odierni
ricorrenti lamentano che la Corte veneziana avrebbe “scorrettamente
applicato il principio codicistico”.

rigetto della domanda attorea – anche l’accoglimento della domanda

3.2. Con i motivi secondo e terzo i ricorrenti deducono, invece,
“falsa ed erronea valutazione delle prove ai sensi dell’art. 360 n. 5
c.p.c.”, e ciò sotto due distinti profili.
In particolare, con il secondo motivo di ricorso, si ipotizza che le
deposizioni testimoniali convergerebbero nell’indicare nella perdita

infiltrazioni.
Il terzo motivo di ricorso, invece, si appunta contro l’affermazione
della Corte lagunare che, dopo aver posto a confronto, per diverse
annualità, i consumi d’acqua della proprietà Turcato-Chiolo e di quella
Pasqualinotto, rilevando dati nettamente maggiori per la prima, è
pervenuta alla conclusione – previo rilievo che le due proprietà si
presentano di dimensioni equivalenti, come le dotazioni idriche,
trattandosi in ambo i casi di utenze domestiche – che la riscontrata
sproporzione “non appare altrimenti spiegabile se non per una
protratta perdita riconducibile all’impianto idrico degli appellati
Turcato-Chiolo”. Orbene, siffatta affermazione sarebbe – secondo
parte ricorrente – in contrasto con le risultanze della documentazione
prodotta in giudizio (le fatture relative alla fruizione, da parte dei
coniugi Turcato-Chiolo, del servizio idrico), che denota, semmai,
come il proprio consumo d’acqua sia rimasto “pressoché invariato nel
corso degli anni”, notandosi, anzi, persino “una leggera diminuzione”.

C-P—–4. Ha proposto controricorso il Pasqualinotto (ma non la propria
compagnia di assicurazione, Zurich Insurance), resistendo
all’avversaria impugnazione.

4.1. Il controricorrente deduce, innanzitutto, l’inammissibilità
dell’avversario ricorso per una pluralità di ragioni: a) per non essere
stata osservata la disciplina stabilita per la notificazione a mezzo

proveniente dalla cassetta del wc la causa delle lamentate

”PEC”; b) per essere stato violato – nella formulazione del primo
motivo – l’art. 360-bis (comma 1) cod. proc. civ.; c) per violazione
dell’art. 366, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., atteso che difetterebbe
nella proposta impugnazione l’indicazione delle ragioni che
sorreggono l’impugnata pronuncia, oltre alla esplicita e specifica
indicazione delle ragioni della sua erroneità, risolvendosi, invece, la

“impingono per giunta caoticamente nel merito”; d) per violazione
dell’art. 366, comma 1, n. 6) cod. proc. civ., difettando la specifica
indicazione degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda.
Nel merito si assume, infine, l’infondatezza dell’avversario ricorso,
evidenziando – in particolare – che l’istruttoria celebrata davanti al
Tribunale “non ha affatto dimostrato (come correttamente statuito
nella gravata sentenza) l’esistenza di qualsivoglia e conclamato nesso
causale tra la vaschetta” del wc “e l’enorme quantità da tutti
riscontrata nel sottosuolo”.

5. Il controricorrente ha presentato memoria, insistendo nelle
proprie conclusioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso è da respingere.

7. In limine, peraltro, va disattesa la preliminare eccezione sollevata dal controricorrente – di inammissibilità del ricorso, per
violazione della normativa sulla notificazione a mezzo PEC.
Va qui confermato – sul presupposto che “il principio, sancito in
via generale dall’articolo 156 del codice di rito, secondo cui la nullità
non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui
è destinato, vale anche per le notificazioni” (sicché pure in relazione

stessa in “deduzioni generali ed apodittiche affermazioni”, le quali

ad esse “la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto,
malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del
destinatario”) – che, in caso di notificazioni telematiche, il “risultato
dell’effettiva conoscenza dell’atto che consegue alla consegna
telematica dello stesso nel luogo virtuale” (ovverosia, “l’indirizzo di

introduttivo del giudizio di legittimità”) comporta “il raggiungimento
dello stesso scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla
PEC” (così Cass. Sez. Un., sent. 18 aprile 2016, n. 7665, in
motivazione; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, sent. 19
dicembre 2016, n. 26102, secondo cui “l’irritualità della notificazione
di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la
nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato
della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello
scopo legale”).
D’altra parte, poi, il controricorrente neppure ha addotto “alcuno
specifico pregiudizio” al proprio “diritto di difesa, né l’eventuale
difformità tra il testo recapitato telematicamente, sia pure con
estensione «doc» in luogo del formato «pdf», e quello cartaceo
depositato in cancelleria”, mentre la “denuncia di vizi fondati sulla
pretesa violazione di norme di rito non tutela l’interesse all’astratta
regolarità del processo, ma garantisce solo l’eliminazione del
pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della
denunciata violazione” (così Cass. Sez. Un., sent. n. 7665 del 2016
cit.).

9. Nondimeno, il ricorso – peraltro, ai limiti dell’inammissibilità,
per le ragioni indicate dal controricorrente e basate, in particolare, sul
disposto degli artt. 360-bis, comma 1, e 366, comma 1, n. 4), cod.
proc. civ. – non può essere accolto per nessuno dei motivi proposti.

PEC espressamente a tale fine indicato dalla parte nell’atto

9.1. Il primo motivo, infatti, non è fondato.
La Corte di Appello di Venezia non è incorsa in alcun error in iure,
quanto alla ripartizione dell’onere della prova del nesso causale in
relazione alla fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ.
Giova, invero, premettere l’erroneità dell’assunto – dal quale
muovono i ricorrenti – secondo cui, nei giudizi di responsabilità per

dimostrare “il fatto” e “il danno” subito, “mentre non deve provare il
nesso eziologico”.
Del tutto differente è, invece, il principio ripetutamente affermato
da questa Corte, ovvero che “in tema di responsabilità ex art. 2051
c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso
causale tra la cosa in custodia ed il danno” (così, da ultimo, Cass.
Sez. 6-3, ord. 11 maggio 2017, n. 11526, Rv. 644282-01), giacché
quella prevista dalla norma de qua è “un’ipotesi di responsabilità
oggettiva”, essendo pertanto “sufficiente, per la sua configurazione,
la dimostrazione da parte del danneggiato del verificarsi dell’evento
dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia” (Cass.
Sez. 6-3, sent. 27 novembre 2014, n. 25214, Rv. 633418-01; in
senso conforme, anche Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 2013, n. 2660,
Rv. 625158-01).
Orbene, a questi principi si è attenuta la sentenza impugnata, la
quale – con apprezzamento di fatto, non sindacabile da questa Corte
(come si dirà meglio più avanti) – si è limitata ad affermare che “dalle
risultanze istruttorie emerge un quadro probatorio confuso e
contraddittorio che non consente di considerare raggiunta la
dimostrazione della riconducibilità dei danni lamentati dai coniugi
Turcato-Chiolo alla responsabilità del Pasqualinotto”, e ciò “non
essendo stato chiarito con certezza quale sia stata la causa della
massa d’acqua sottostante all’appartamento degli appellati” (odierni

danni da cose in custodia, il soggetto danneggiato deve limitarsi a

ricorrenti) e “se effettivamente sia stata questa, a sua volta, la causa
delle infiltrazioni”.
La Corte lagunare, dunque, non ha operato alcuna “inversione
dell’onere della prova” (come denunciato, viceversa, nell’odierno
ricorso), ma dalla constatazione circa l’assenza di prova sulla causa
delle infiltrazioni (ed in particolare, sulla riconducibilità della stessa

Pasqualinotto) ha tratto – doverosamente – la conclusione del rigetto
della domanda risarcitoria.

9.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili.
Essi, infatti, si risolvono nella richiesta, a questa Corte, di
sindacare l’apprezzamento che la sentenza di appello ha fatto delle
risultanze delle prove testimoniali e documentali, rispettivamente,
assunte ad acquisite in primo grado, con ciò contravvenendo al
principio (sul quale, ex multis, Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n.
11892, Rv. 640194-01) secondo cui l’eventuale “cattivo esercizio del
potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di
merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per
cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360,
comma 1, n. 5), cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il
giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il
tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente
all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante”.

alla rottura della cassetta del wc presente nel bagno della proprietà

10. Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della
parte ricorrente e sono liquidate come da dispositivo, ai sensi del d.m.
10 marzo 2014, n. 55.
A carico dei’ ricorrente rimaste soccombent« sussiste l’obbligo di
versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando Bruno Turcato e Carmela
Chiolo a rifondere ad Antonio Pasqualinotto le spese del presente
giudizio, che liquida in C. 2.600,00, più C 200,00 per esborsi, oltre
spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del& ricorrent4, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione
Terza Civile della Corte di Cassazione, il 20 settembre 2017.

dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

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