Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2331 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. III, 29/01/2019, (ud. 04/04/2018, dep. 29/01/2019), n.2331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22277/2016 proposto da:

ITALIMPEX SRL, in persona del suo amministratore unico e legale

rappresentante, sig. I.F., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ANTONIO STOPPANI 34, presso lo studio dell’avvocato

ADRIANO AURELI, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ENRICO RIGHETTI, LUCIO RAVERA giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

LANAFLEX SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 333/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 24/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/04/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. CARDINO Alberto, che ha

concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Italimpex S.r.l. ricorre, sulla base di un unico articolato motivo, per la cassazione della sentenza n. 333/16 del 24 marzo 2016, della Corte di Appello di Genova, che – rigettando il gravame da essa esperito contro la sentenza n. 4262/11 del 25 novembre 2011 del Tribunale di Genova – ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in favore dell’autorità giudiziaria della Repubblica Popolare Cinese, condannando l’odierna ricorrente a rifondere alla società Lanaflex S.r.l. le spese di ambo i gradi di giudizio.

2. Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di essere stata incaricata dalla società Lanaflex – operando, da svariati anni, nel campo dei trasporti e delle spedizioni marittime – di effettuare lo sdoganamento, nel porto di Genova, di due colli provenienti dalla Cina.

Riferisce, altresì, di avere dato tempestivo avviso alla Lanaflex dell’arrivo della merce, invitandola a provvedere al pagamento dell’anticipo fondi, già precedentemente richiesto, per l’importo di Euro 823,27. Non avendo, tuttavia, questa provveduto nè al pagamento richiesto, nè al ritiro della merce, l’odierna ricorrente assume di aver dovuto introdurre la merce in magazzino, incorrendo, così, in una spesa imprevista, pari a Euro 9.088,00.

Su tale presupposto, pertanto, la società Italimpex adiva l’autorità giudiziaria per ottenere il pagamento della somma suddetta, ovvero di quella diversa accertata all’esito del giudizio. Costituitasi in giudizio, Lanaflex eccepiva, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello cinese, nonchè, in subordine, la carenza di legittimazione attiva di parte attrice e/o di legittimazione passiva di essa convenuta, e comunque l’avvenuta prescrizione del diritto azionato. Nel merito, invece, deduceva l’inadempimento di parte attrice, tanto da esperire nei suoi confronti domanda riconvenzionale di risarcimento del danno, ammontante ad Euro 736,98, pari al costo della merce pagata e non goduta.

Il Tribunale di Genova respingeva entrambe le domande, ritenendo, in particolare, non fondata quella proposta dall’attrice, giacchè essa, a suo dire, non aveva fornito la prova della sussistenza del rapporto contrattuale dedotto in giudizio ed in relazione al quale aveva svolto domanda di risarcimento dei danni ex art. 1219 c.c..

Proposto gravame da Italimpex, la corte Ligure, essendo stata riproposta da Lanaflex, con appello incidentale, l’eccezione di difetto di giurisdizione, accoglieva la stessa, ritenendo sussistente la giurisdizione dell’autorità giudiziaria della Repubblica Popolare Cinese. A tale esito, il giudice di appello perveniva sul rilievo che risultava “dall’annotazione contenuta nella polizza di carico e dalle ammissioni fatte dalla stessa Italimpex sia nella lettera inviata a Lanaflex il 28 aprile 2006, che negli atti del giudizio, che essa svolse per il trasporto in esame il ruolo di agente del vettore marittimo, incaricato delle operazioni di sdoganamento e consegna della merce al momento del suo arrivo al porto di destinazione”. Su tali basi, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto che l’odierna ricorrente fosse “obbligata alle condizioni stabilite nella polizza di carico, che indicavano quale porto di consegna della merce quello di (OMISSIS), non quello di (OMISSIS)”, donde, allora, l’inadempimento di Italimpex, la quale, “pur consapevole che la merce avrebbe dovuto arrivare a (OMISSIS) e non a (OMISSIS), cerco di bypassare l’ostacolo sollecitando Lanaflex a ritirarla senza mai offrirle di consegnarla al porto pattuito per lo sbarco, ciò che giustifica la condotta di Lanaflex che non si attivò per ritirare la merce presso il porto di (OMISSIS)”. Peraltro, avendo l’odierna ricorrente, a giudizio della Corte genovese, operato quale mandataria del vettore, era obbligata a rispettare le condizioni della polizza, sicchè risulterebbe “operante nei suoi confronti la clausola di deroga alla giurisdizione italiana contenuta nell’art. 3 della polizza, che indicava quale giudice competente per tutte le controversie l’autorità giudiziaria cinese, clausola che in ogni caso, nel trasporto su polizza di carico, deve ritenersi operante nei confronti di chiunque in forza della polizza agisca, a prescindere dal fatto che essa sia stata espressamente accettata”.

3. Avverso la sentenza della Corte ligure ha proposto ricorso per cassazione la Italimpex, sulla base di un unico motivo.

3.1. Il motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1) – deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c. e della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 11 e art. 4, comma 2.

Si censura la sentenza impugnata laddove essa ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in favore dell’autorità giudiziaria della Repubblica Popolare Cinese.

Osserva, al riguardo, la ricorrente come la giurisdizione italiana fosse stata, correttamente, ritenuta dal primo giudice, sul presupposto che la “causa petendi” della domanda avanzata da essa Italimpex consistesse nell’accertamento dell’esistenza, o meno, di un contratto di spedizione. Erronea, per contro, sarebbe l’affermazione compiuta dal giudice di appello, secondo cui Italimpex avrebbe agito, nei rapporti con la ricevitrice destinataria della merce Lanaflex, come agente/rappresentante/mandataria del vettore marittimo.

La ricorrente, infatti, assume di non essere affatto l’agente raccomandatario sul porto di (OMISSIS) dell’armatore della motonave che ebbe a effettuare il trasporto marittimo dei colli, negando, altresì, di essere anche l’agente generale dello stesso armatore e/o del vettore marittimo che ha emesso il documento di trasporto di cui si discute. Evidenzia, inoltre, che tutte le prestazioni da essa effettuate esulerebbero da quelle gravanti contrattualmente sul vettore marittimo e/o sul suo agente al porto di destino, rientrando, invece, fra quelle successive alla riconsegna della merce al ricevitore destinatario, normalmente di competenza dello spedizioniere In particolare, la ricorrente allega una serie di documenti dai quali risulterebbe che il suo ruolo fu solo quello di “delivery agent”, di talchè, nei suoi confronti, non opererebbe la clausola di deroga alla giurisdizione italiana, valida soltanto per le prestazioni attinenti al contratto di trasporto.

4. Non ha presentato controricorso le società intimata.

5. E’ intervenuto in giudizio il Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte, in persona di un suo sostituto, per chiedere che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Evidenzia, infatti, che i documenti sui quali risulta fondato il ricorso – peraltro, scarsamente leggibili – risultano redatti in lingua inglese e non accompagnati da traduzione giurata, ciò che di per sè comporterebbe l’inammissibilità della presente impugnazione, giacchè le affermazioni della ricorrente di aver operato in qualità di spedizioniere in arrivo (come attesterebbe tale documentazione) non potrebbero essere prese in considerazione da questa Corte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. In via preliminare deve rilevarsi come questa sezione possa pronunciarsi sul presente ricorso, sebbene proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), trovando applicazione il disposto di cui alla seconda alinea dell’art. 374 c.p.c., comma 1.

6.1. Invero, il giudice di appello – con la sentenza impugnata – ha deciso la controversia in conformità con il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, “in tema di trasporto marittimo, la clausola derogativa della giurisdizione del giudice italiano che le parti contraenti, nel concorso dei presupposti e dei requisiti fissati dal diritto comune o dal diritto speciale internazionale applicabile al rapporto, abbiano validamente inserito nel contratto e riportato nell’originale negoziabile della polizza di carico, è operante anche nei confronti dei successivi prenditori del titolo secondo la relativa legge di circolazione, senza che si renda, all’uopo, necessaria la ripetizione, ad ogni suo trasferimento, degli adempimenti formali (presupposti della sua validità) fra detti contraenti, in considerazione della stretta connessione fra esecuzione del trasporto e diritto alla consegna della merce che scaturisce dalla polizza in favore del portatore” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 14 febbraio 2011, n. 3568, Rv. 615916-01).

Orbene, come si vedrà meglio di seguito, non sussistono ragioni per ritenere non operante, nel caso che qui occupa, siffatto principio.

7. Il ricorso è, infatti, inammissibile.

7.1. L’unitario motivo in cui esso si articola mira a riqualificare attraverso una diversa interpretazione del contenuto degli accordi negoziali intercorsi tra le parti – la prestazione contrattuale resa da Italimpex come quella tipica dello spedizioniere, e non già del vettore.

Sul punto, tuttavia, occorre muovere dal rilievo, ancora di recente ribadito da questa Corte, che “in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo” (così, da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 5 dicembre 2017, n. 29111, Rv. 646340-01; nello stesso senso, tra le molte, Cass. sez. 3, sent. 12 gennaio 2006, n. 420, Rv. 586972-01, nonchè Cass. Sez. 2, sent. 3 novembre 2004, n. 21064, Rv. 577929-01).

Nel caso in esame, però, la ricorrente neppure individua il canone ermeneutico che la Corte territoriale avrebbe violato nel ricondurre al modello legale del contratto di trasporto la relazione negoziale oggetto di giudizio. Essa, infatti, si è limitata, nella sostanza, ad affermare che il giudice di prime cure – nel rigettare l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano sollevata dalla convenuta avesse “ben chiarito come la causa petendi della domanda avanzata” da parte attrice “consistesse nell’accertamento dell’esistenza di un contratto di spedizione (artt. da 1737 a 1741 c.c.) fra le due parti in causa”. Tuttavia, una simile censura – oltre a quanto si dirà sui documenti richiamati a sostegno della stessa – non supera il preventivo vaglio di ammissibilità di questa Corte, e ciò alla stregua del principio secondo cui “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.” (condizione, peraltro, neppure soddisfatta nel caso di specie), “avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (così, “ex multis”, Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2017, n. 28319, Rv. 646649-01, nonchè Cass. Sez. 3, ord. 10 maggio 2018, n. 11254, Rv. 648602-01).

7.2. D’altra parte, a corroborare l’esito dell’inammissibilità del ricorso, come si anticipava appena sopra, concorre la constatazione che tale “alternativa” qualificazione giuridica del rapporto contrattuale risulta basata – come non ha mancato di rilevare il sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte – su documenti redatti in lingua straniera.

Ed invero, sebbene la regola – art. 122 c.p.c. – che impone l’uso della lingua italiana nel processo civile sia sancita per i soli atti processuali in senso stretto (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 marzo 2013, n. 6093, Rv. 625480-01; Cass. Sez. 1, sent. 16 giugno 2011, n. 13249, Rv. 619248-01), la produzione, nel giudizio di legittimità, di documenti redatti in idioma straniero non può ritenersi conforme alla previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), giacchè tale circostanza impedisce la loro piena ed immediata intellegibilità.

Al riguardo, difatti, va rammentato che, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso, “qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso” (tra le tante, da ultimo, Cass. Sez. 1, sent. 7 marzo 2018, n. 5478, Rv. 647747-01); onere, quello descritto, che implica evidentemente la necessità della previa traduzione, in italiano, del testo del documento richiamato in ricorso, ove redatto in lingua straniera.

Anche sotto questo profilo, dunque, il ricorso si palesa inammissibile.

8. Non avendo la società intimata proposto controricorso, nulla va disposto quanto alle spese del presente giudizio.

9. A carico della ricorrente, attesa la declaratoria di inammissibilità della proposta impugnazione, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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