Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2331 del 03/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 03/02/2020), n.2331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13007/2018 R.G. proposto da:

D.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Maria

Facilla, con domicilio eletto in Roma, via C. Dossi, n. 45;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 810/18

depositata il 19 febbraio 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre

2019 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO

che D.A., cittadino della Costa d’Avorio, ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi, avverso la sentenza del 19 febbraio 2018, con cui la Corte d’appello di Napoli ha accolto il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 25 gennaio 2017 dal Tribunale di Napoli, dichiarando ammissibile la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente, ma rigettandola nel merito;

che il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto indimostrati i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, senza tener conto dell’attenuazione dell’onere probatorio derivante dalla difficoltà di reperire elementi di prova, nonchè dell’ammissibilità di una prova indiziaria e dell’obbligo del giudice di svolgere un ruolo attivo nell’accertamento della situazione del Paese di origine;

che il motivo è infondato, avendo la sentenza impugnata escluso la credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente sulla base di una valutazione correttamente improntata ai criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in quanto fondata sull’intrinseca contraddittorietà e sull’inquadramento della vicenda personale da lui narrata nella situazione generale del Paese di origine, desunta anche dal rapporto di Amnesty International relativo al biennio 2016-2017;

che il predetto apprezzamento, censurabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, trattandosi di un giudizio di fatto rimesso al giudice di merito (cfr. Cass., Sez. I, 7/08/2019, n. 21142; 12/06/2019, n. 15794; 5/02/2019, n. 3340), consente nella specie di escludere la necessità di approfondimenti istruttori in ordine alla situazione in atto nel Paese di origine del richiedente;

che questa Corte, nell’affermare che la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti fornita dal richiedente riguarda tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento, ha infatti precisato che, ove siano ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario procedere ad ulteriori approfondimenti istruttori, mediante l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non opera laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass., Sez. VI, 20/12/2018, n. 33096; 12/11/2018, n. 28862; 27/06/ 2018, n. 16925);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nella valutazione delle dichiarazioni da lui rese dinanzi alla Commissione territoriale, la sentenza impugnata ha omesso di esaminare congiuntamente gli episodi narrati e di porli in relazione con le informazioni fornite da accreditate fonti internazionali, da cui emergevano l’appartenenza dei familiari del suo persecutore alle forze armate ivoriane, la mancanza di un efficace controllo delle autorità civili sull’operato di queste ultime, l’inefficienza dell’apparato giudiziario e la durezza delle condizioni di vita nelle carceri;

che il motivo è inammissibile, mirando a sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella decisione impugnata, nonchè la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie possono ancora essere fatte valere con il ricorso per cassazione, a seguito della modificazione dell’art. 360 cit., ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, (cfr. Cass., Sez. VI, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547);

che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 Cost., censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, senza valutare la situazione d’insicurezza e di violenza indiscriminata esistente in Costa d’Avorio, caratterizzata da violazioni dei diritti umani, arresti, torture, sparizioni improvvise, nonchè da diffusi atti di criminalità e dal rischio di atti di terrorismo e violente sommosse, soprattutto nelle aree più remote e difficilmente controllabili dalle autorità;

che il motivo è infondato, avendo la Corte di merito giustificato il proprio apprezzamento attraverso il richiamo d’informazioni aggiornate relative alla situazione della Costa d’Avorio, fornite da un’autorevole ed attendibile associazione non governativa operante a tutela dei diritti umani, dalle quali ha desunto l’inesistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato interno;

che con il quarto motivo il ricorrente denuncia la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, artt. 5, comma 6, e 19, sostenendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della situazione di violenza generalizzata e grave violazione dei diritti umani esistente nel suo Paese di origine;

che il motivo è inammissibile, risolvendosi nella generica insistenza sulla situazione generale d’instabilità politico-sociale della Costa d’Avorio, la cui valutazione, in assenza di uno specifico collegamento con la situazione personale del richiedente anteriore all’abbandono del Paese di origine, non potrebbe in alcun caso assumere portata determinante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, risultando di per sè inidonea ad evidenziare una condizione di vulnerabilità soggettiva;

che infatti, come ripetutamente affermato da questa Corte, la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria dev’essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata non già alla situazione generale del Paese di origine, ma a quella personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (cfr. Cass., Sez. VI, 3/04/2019, n. 9304; 7/02/2019, n. 3681);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2020

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