Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23305 del 16/11/2016

Cassazione civile sez. un., 16/11/2016, (ud. 25/10/2016, dep. 16/11/2016), n.23305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente aggiunto –

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24133-2011 proposto da:

UNIVERSITA’ PER STRANIERI DI SIENA, in persona del Rettore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4,

presso lo studio dell’avvocato GIAN LUCA MARUCCHI – STUDIO PERNO

& CREMONESE/RADICE & CEREDA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIAN DOMENICO COMPORTI, per delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EZIO

19, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ALLIEGRO, rappresentata e

difesa dall’avvocato PIETRO DINOI, per delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 411/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 09/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

uditi gli avvocati Gian Domenico CONFORTI e Pietro DINOI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo,

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. Il Tribunale di Siena – con la sentenza non definitiva n. 273/2007 e con la successiva sentenza definitiva n. 264/2009 – in accoglimento della domanda proposta da G.G., dipendente dell’Università per Stranieri di Siena inquadrata come EP (Elevata Professionalità) ex art. 60 del CCNL per le Università, ne dichiarò l’avvenuto demansionamento condannando l’Università datrice di lavoro al risarcimento di tutti i conseguenti danni compresi quelli alla salute accertati con CTU.

2. Per giungere a tale conclusione il Tribunale preliminarmente respinse l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario proposta dall’Università, escludendo che la ricorrente avesse contestato il generale provvedimento di riorganizzazione adottato dalla datrice di lavoro all’arrivo del nuovo Rettore.

3. Con la sentenza attualmente impugnata, depositata il 9 aprile 2011, la Corte d’appello di Firenze, rigetta integralmente l’appello della citata Università.

In particolare, la Corte territoriale conferma la statuizione di devoluzione della controversia alla giurisdizione del giudice ordinario, precisando che il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo va fatto in base al criterio del “petitum sostanziale”. E, nella specie, tale criterio porta a rilevare che G.G. ha soltanto contestato la subita privazione di mansioni, senza fare alcun riferimento al fatto che ciò sia o meno avvenuto per effetto di un nuovo disegno organizzativo, il quale peraltro non avrebbe comunque potuto prevedere violazioni dei diritti di professionalità dei lavoratori.

Anche nel merito la Corte fiorentina conferma la sentenza di primo grado.

4. Avverso tale sentenza l’Università propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi ed illustrato da memoria. G.G. resiste con controricorso.

5. La ricorrente nel primo motivo ribadisce, con argomentazioni analoghe a quelle già svolte in appello, la censura di violazione delle regole di riparto della giurisdizione, sostenendo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

6. In considerazione della formulazione di tale motivo la causa è stata assegnata dal Primo Presidente a queste Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., secondo il quale sulle questioni di giurisdizione la Corte si pronuncia a Sezioni Unite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi delle censure.

1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1.1. Con il primo motivo, come si è detto, si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, violazione delle regole di riparto della giurisdizione, ribadendosi che i provvedimenti asseritamente lesivi della situazione lavorativa di G.G. non sarebbero configurabili come misure di gestione del rapporto di lavoro D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 5, comma 2, in quanto si tratterebbe di provvedimenti di macro-organizzazione (vedi D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2), sui quali vi è la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, visto che sono stati emanati dell’Università nell’esercizio del proprio potere amministrativo di organizzazione.

E a tale potere sarebbero anche da far risalire i comportamenti datoriali di cui i giudici del merito hanno affermato.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 2103 c.c. nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 1, e art. 56) e “dei contratti collettivi in materia di affidamento di mansioni e incarichi ai dipendenti delle Amministrazioni pubbliche”.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa la decisiva ricorrenza del demansionamento in termini di sostanziale svuotamento di mansioni.

1.4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa l’esistenza dei danni da demansionamento e alla professionalità con le relative liquidazioni.

2- Esame delle censure.

2. Il primo motivo del ricorso è da respingere.

2.1. Come correttamente affermato dalla Corte d’appello di Firenze – e, in precedenza, dal giudice di primo grado – secondo la costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si deve fare riferimento non tanto alla prospettazione compiuta dalle parti, quanto al petitum sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (vedi per tutte: Cass. SU 25 giugno 2010, n. 15323; Id. 11 ottobre 2011, n. 20902; Id. 21 maggio 2014, n. 11229).

2.2. Nella specie è indubbio che il petitum sostanziale dedotto in giudizio vada identificato nella denuncia del subito demansionamento con rivendicazione del risarcimento di tutti i danni subiti, senza alcun riferimento al provvedimento di macro-organizzazione con il quale, all’arrivo del nuovo Rettore, è stato approvato il nuovo ordinamento dell’Università datrice di lavoro e che avrebbe determinato la modifica delle mansioni della ricorrente.

E’ anche pacifico che tutta la vicenda si è svolta dopo il 30 giugno 1998.

2.3. Ne consegue che deve considerarsi esatta l’affermazione della Corte fiorentina secondo cui la presente controversia è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario avendo ad oggetto atti e comportamenti assunti dall’Università per Stranieri di Siena con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (arg. ex Cass. SU 22 luglio 2013, n. 17783; Id. 4 luglio 2014, n. 15304; Id. 16 luglio 2014, n. 16247; Id. 31 maggio 2016, n. 11387).

Al riguardo deve anche ribadirsi che, ormai da tempo, queste Sezioni Unite hanno precisato che “in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo, regolata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, costituisce, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale” (vedi, tra le tante: Cass. SU i marzo 2012, n. 3183; Cass. SU 29 maggio 2012, n. 8520; Cass. SU 7 gennaio 2013, n. 142, nonchè: Cass. SU 23 novembre 2012, n. 20726; Cass. SU 19 maggio 2014, n. 10918; Cass. SU 17 novembre 2015, n. 23459; Cass. SU 15 marzo 2016, n. 5074).

Di qui il rigetto del primo motivo di ricorso e la conseguente dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario.

3. Anche il secondo motivo non è da accogliere, per molteplici concorrenti ragioni.

3.1. In primo luogo, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nell’intestazione del motivo, tutte le censure in esso formulate si risolvono nella sostanza nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti e quindi finiscono con l’esprimere un mero, quanto inammissibile, dissenso rispetto alle motivate valutazioni di merito delle risultanze probatorie di causa effettuate dalla Corte d’appello, anzichè sotto il profilo della scorrettezza giuridica e della incoerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, in contrasto con l’art. 360 c.p.c., n. 5, anche nel testo precedente alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile, nella specie, ratione temporis.

3.2. Inoltre, tali censure si incentrano sul presunto mancato rispetto, da parte della Corte d’appello, del principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui in materia di pubblico impiego privatizzato, il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 1, – il quale (nel testo anteriore alla novella recata dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 62, comma 1) sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti – ha recepito – attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell’organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse – un concetto di equivalenza “formale”, ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice (Cass. 21 maggio 2009, n. 11835; Id. 11 maggio 2010, n. 11405; Id. 5 agosto 2010, n. 1828; Id. 26 marzo 2014, n. 2106).

33. Ebbene, la censura, per come formulata non considera che la stessa giurisprudenza ha anche precisato che laddove vi sia stato, con la destinazione ad altre mansioni, il sostanziale “svuotamento” dell’attività lavorativa, la vicenda esula dall’ambito delle problematiche sull’equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa ipotesi della sottrazione pressochè integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego.

Dalla lettura della sentenza risulta che la Corte territoriale, uniformandosi a tale giurisprudenza, ha ritenuto, con congrua e logica motivazione, che nella specie – pur con l’attribuzione di mansioni “formalmente” equivalenti – sia tuttavia stato accertato “l’avvenuto svuotamento delle mansioni più professionalizzanti della G.G.”, visto che, con l’arrivo del nuovo Rettore, sia per la inferiore posizione gerarchica sia per il contenuto modesto dei compiti assegnatile di mera segreteria del Comitato delle Pari Opportunità, la dipendente si è trovata a svolgere mansioni di gran lunga inferiori alla qualifica di appartenenza, non rispettose del contenuto dell’inquadramento in EP (Elevata Professionalità) ex art. 60 del CCNL per le Università.

La Corte fiorentina ha sottolineato che è risultato incontestato che tale inquadramento non le fosse stato revocato, sicchè ne doveva essere rispettato il contenuto, mentre ciò non si è verificato.

3.4. A fronte di questa articolata argomentazione – del tutto conforme oltre che alla giurisprudenza di questa Corte anche a quella della Corte costituzionale in materia di limiti di applicabilità dello spoils system nel lavoro pubblico (vedi, per tutte: Corte cost. sentenze n. 103 e n. 104 del 2007) – l’Università ricorrente non solo, nei fatti, si è limitata ad esprimere un mero e inammissibile dissenso valutativo delle risultanze probatorie, ma lo ha fatto senza neppure contestare efficacemente la statuizione fondamentale della Corte d’appello secondo cui, nella specie, si sarebbe verificato uno “svuotamento” delle mansioni, tanto più in assenza di revoca dell’inquadramento in EP della G.G.

L’Università infatti, sul punto, si è limitata a dedurre apoditticamente che, nel lavoro pubblico, “la funzione precede e condiziona l’organizzazione e non viceversa” nonchè ad affermare che in base alla contrattazione collettiva l’inquadramento in EP è revocabile, ma nulla ha detto sulla non intervenuta revoca nella specie.

Ne consegue che all’inammissibilità delle censure formulate nel secondo motivo si perviene anche in applicazione del principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre ìn nessun caso l’annullamento della sentenza (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 1973, n. 2499; Cass. SU 8 agosto 2005, n. 16602; Cass. SU 29 maggio 2013, n. 7931; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 27 maggio 2014, n. 11827; Cass. 17 giugno 2015, n. 12486).

4. Al rigetto del secondo motivo consegue l’assorbimento del terzo e del quarto motivo.

3- Conclusioni.

5. In sintesi, il primo motivo di ricorso deve essere respinto e, di conseguenza, va definitivamente dichiarata la giurisdizione del Giudice ordinario.

Anche il secondo motivo di ricorso va rigettato e ciò comporta l’assorbimento del terzo e del quarto motivo.

6. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigettando il primo motivo di ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Rigetta anche il secondo motivo, assorbiti gli altri. Condanna l’Università ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento) per esborsi ed Euro 4.000,00 (quattromila) compensi professionali, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2016

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