Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23304 del 16/11/2016


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Cassazione civile sez. un., 16/11/2016, (ud. 11/10/2016, dep. 16/11/2016), n.23304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Presidente Aggiunto –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14332/2009 proposto da:

BANCA CARIGE S.P.A. – CASSA DI RISPARMIO DI GENOVA E IMPERIA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34/B, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIORGIO VILLANI, per delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE DENOMINATA “SPORTELLO DEL CONSUMATORE”, COMITATO

DENOMINATO “SAN GIORGIO PER LA DIFESA DEI SOCI DELLE ISTITUZIONI

CREDITIZIE”, in persona dei rispettivi Presidenti pro tempore,

O.C., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1049/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 21/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito l’Avvocato Maurizio CECCONI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità dell’ultimo

motivo, rimessione alla Sezione semplice per il resto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Genova ha confermato la condanna della s.p.a. Carige al risarcimento del danno in favore dei venticinque risparmiatori indicati in epigrafe in relazione alla negoziazione di prodotti finanziari aventi ad oggetto le obbligazioni Eur Parm 6,25% – 00/05, confermando il difetto di legittimazione attiva dell’associazione “Sportello del consumatore” e del Comitato denominato “San Giorgio per la difesa dei soci delle istituzioni creditizie”, che avevano agito unitamente ai risparmiatori.

A sostegno della decisione assunta la corte territoriale ha affermato, per quel che ancora interessa, che nella fattispecie le associazioni, alle quali andava attribuita la qualificazione giuridica di enti esponenziali d’interessi diffusi, avevano proposto la domanda in nome proprio e nell’interesse altrui, così realizzando un’inammissibile forma di sostituzione processuale in contrasto con l’art. 81 cod. proc. civ. Peraltro la loro partecipazione al giudizio non poteva neanche essere qualificata come intervento volontario dal momento che esse non facevano valere un diritto proprio, nè poteva adombrarsi una forma d’intervento ad adiuvandum non risultando dotate di un proprio interesse a sostenere una delle ragioni delle parti.

Nel merito, la violazione degli obblighi informativi nella specie non aveva ad oggetto la validità ed efficacia del contratto quadro ma la responsabilità precontrattuale dell’intermediario nei singoli contratti esecutivi del predetto. L’art. 1337 c.c., doveva essere integrato dalle disposizioni del t.u.f. e del correlato regolamento Consob a tutela del diritto all’informazione e ad una contrattazione consapevole da parte del risparmiatore. La culpa in contraendo si sostanziava pertanto nell’interesse negativo a non essere coinvolti in una stipulazione pregiudizievole. Tale specifica domanda, di natura risarcitoria, era stata autonomamente formulata con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Il tribunale non l’aveva affrontata e gli appellanti ne avevano fatto oggetto d’impugnazione incidentale. L’accoglimento di tale domanda risarcitoria non spostava tuttavia l’ammontare del risarcimento liquidato dal Tribunale correttamente determinato nell’importo investito al netto del reddito dagli investitori ricavato attraverso le cedole riscosse. Nella specie, l’interesse negativo consisteva proprio nel pregiudizio derivante dall’investimento eseguito soltanto in virtù della carenza informativa ascritta all’intermediario, sul quale gravava l’onere ai sensi dell’art. 23 t.u.f. della prova contraria.

1.1.- Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la CA.RI.GE formulando cinque motivi illustrati con memoria.

Hanno resistito con controricorso le associazioni ed i risparmiatori formulando anche ricorso incidentale affidato a un solo motivo e hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per inadeguatezza dei quesiti.

Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c., le associazioni controricorrenti hanno depositato memoria.

2.- Ritenuto pregiudiziale l’esame della censura relativa alla legittimazione ad intervenire ad adiuvandum della associazione “Sportello del consumatore” e del “Comitato San Giorgio”, la Prima Sezione civile, con ordinanza n. 3323 del 19 febbraio 2015, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale rimessione della causa alle Sezioni unite.

L’ordinanza di rimessione ha evidenziato che la non univocità degli orientamenti giurisprudenziali (anche della giurisprudenza di merito) in ordine alla natura dell’interesse che legittima all’intervento adesivo oltre che il rilievo socio economico della questione inducono a ritenere come questione di massima di particolare importanza quella formante oggetto dell’unico motivo di ricorso incidentale, relativa all’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum delle associazioni resistenti nel presente giudizio (“Sportello del Consumatore” e “Comitato San Giorgio”) in quanto enti esponenziali dei diritti e degli interessi dei consumatori risparmiatori.

3.- Osserva preliminarmente la Corte che l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dai controricorrenti è fondata essendo, nella concreta fattispecie, applicabile ratione temporis l’art. 366 bis c.p.c.. Infatti, nel primo motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., nel terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 1337 c.c., nel quarto motivo si contesta la statuizione relativa alla compensazione delle spese di lite con le Associazioni, nel quinto vengono censurate le espressioni offensive di controparte denunciandosi la violazione dell’art. 89 c.p.c.; ma nessuno dei quesiti di diritto formulati è conforme all’art. 366 bis c.p.c., risolvendosi essi in generiche istanze di decisione sull’esistenza delle violazioni di legge denunziate o nella trascrizione della norma (cfr. Sez. U, n. 21672 del 2013, Rv. 627412). Infine, la sintesi del fatto controverso di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. in relazione al vizio di motivazione denunciato si risolve nell’elenco di fatti contrari a quelli ritenuti dal giudice del merito.

4.- Il ricorso incidentale non è tardivo, talchè può essere esaminato nonostante l’inammissibilità del ricorso principale.

Nell’unico motivo viene contestata sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione la ribadita insussistenza della legittimazione ad agire delle due associazioni costituitesi.

Le controricorrenti deducono: a) lo statuto dello “Sportello del Consumatore” reca espressamente nella definizione dell’oggetto sociale la promozione della tutela individuale e collettiva dei consumatori da realizzarsi sia mediante assistenza sul piano tecnico e giuridico sia esercitando attività di rappresentanza anche attraverso la richiesta di legittimazione attiva e passiva nei giudizi civili e penali e nelle controversie arbitrali. b) lo statuto del “Comitato San Giorgio” ha nel suo oggetto la tutela degli interessi e diritti a qualunque titolo vantati dai soci nei confronti degli istituti di credito in ogni sede ivi compresa quella giudiziaria.

La semplice lettura degli statuti avrebbe dovuto indurre la Corte d’Appello a riconoscere che le associazioni presentavano lo scopo statutario diffuso della difesa dei diritti economici dei risparmiatori e degli utenti bancari e la conseguente legittimazione ad agire.

Le associazioni non hanno agito come sostituti processuali ma hanno richiesto che fosse riconosciuta la loro qualità di interventori quanto meno “ad adiuvandum” ritenendo che l’esito del giudizio avrebbe avuto un effetto riflesso positivo o negativo giuridicamente apprezzabile nella loro sfera giuridica.

Nell’intervento ad adiuvandum non si richiede la titolarità di un diritto nei confronti delle parti originarie ma soltanto la presenza di un interesse giuridicamente rilevante ad un esito favorevole della controversia.

Tale interesse poteva cogliersi in ordine ai seguenti profili: l’interesse a veder riconosciuto il ruolo di capofila delle associazioni in questione; l’interesse a veder riconosciuto il ruolo statutario diffuso di difensori dei diritti economici dei risparmiatori ed utenti bancari; l’interesse ad una soluzione positiva spendibile in altre analoghe controversie; l’interesse al rimborso delle spese sostenute per la gestione collettiva della lite e delle spese processuali.

Infine, si sostiene l’esistenza di un mandato rilasciato dai risparmiatori sia per la fase stragiudiziale che per quella giudiziale. La Corte di merito – lamentano le ricorrenti incidentali – avrebbe trascurato di accertare tale circostanza risultante dai documenti prodotti.

5.- Le azioni risarcitorie promosse dagli investitori nel presente giudizio hanno natura individuale ancorchè siano state proposte, ai sensi dell’art. 33 c.p.c., davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una delle parti (o come può ritenersi nella specie di tutte) per essere decise nello stesso processo. Ne consegue che la questione da affrontare riguarda la legittimazione ad intervenire ad adiuvandum di un’associazione che si propone, come indicato nel proprio statuto, la cura, la promozione e la tutela dei diritti dei consumatori in un giudizio individuale, promosso da una pluralità di singoli risparmiatori, i quali denuncino specificamente la lesione di diritti loro riconosciuti dalla legge in virtù dell’asimmetria informativa che caratterizza il rapporto tra risparmiatore/investitore ed intermediario.

Da un lato, dunque, l’ordinanza di rimessione segnala l’esigenza di uniformazione giurisprudenziale in ordine alla portata dell’art. 105 c.p.c., comma 2, e, dall’altro, evidenzia la questione di massima importanza concernente la posizione specifica – in relazione a quella norma – delle associazioni dei consumatori, una volta che la legge (il codice del consumo), se prevede l’intervento del singolo consumatore nel giudizio iniziato dalle associazioni per converso, non disciplina espressamente l’intervento di queste nelle azioni individuali dei consumatori.

Ciò nel presupposto – condiviso dalle Sezioni unite, per la chiarezza del dato normativo richiamato dall’ordinanza – che i risparmiatori/investitori persone fisiche possono essere qualificati consumatori e, conseguentemente, ad essi deve essere applicata, salvo deroghe specifiche, la disciplina normativa a tutela dei consumatori applicabile ratione temporis (art. 1469 bis c.c. e ss., e L. n. 281 del 1998), attualmente sostituita dal Codice del Consumo (D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, comma 4, e art. 67 ter).

6.- In ordine alla natura dell’interesse legittimante l’intervento adesivo ai sensi del secondo comma dell’art. 105 c.p.c., è sopravvenuta – rispetto all’ordinanza di rimessione – la pronuncia di queste Sezioni unite, 26 luglio 2016 n. 15422, la quale ha enunciato il principio per il quale l’intervento adesivo dipendente del terzo è consentito ove l’interveniente sia titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti o da esso dipendente e non di mero fatto, attesa la necessità che la soccombenza della parte determini un pregiudizio totale o parziale al diritto vantato dal terzo quale effetto riflesso del giudicato. Invero l’interesse richiesto per la legittimazione all’intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti (art. 105 c.p.c., comma 2), deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tale che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere – anche solo in via indiretta o riflessa – pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa”.

7.- Tanto premesso, osserva la Corte che il presente giudizio è stato introdotto nel 2004. Dunque, in epoca precedente all’introduzione del codice del consumo e nel vigore della L. n. 281 del 1998.

Si tratta di premessa indispensabile per escludere ogni inutile richiamo al vigente art. 140 bis cod. cons. che potrebbe far ipotizzare una legittimazione concorrente di associazioni non iscritte e dei singoli consumatori danneggiati.

Prima dell’introduzione di tale ultima norma, le Sezioni unite hanno avuto modo di evidenziare, in passato, che gli interessi diffusi sono “adespoti” e possono essere tutelati in sede giudiziale solo in quanto il legislatore attribuisca ad un ente esponenziale la tutela degli interessi dei singoli componenti una collettività, che così appunto assurgono al rango di interessi “collettivi”. Per altro verso, l’esclusione dell’accesso dei singoli alla tutela giudiziale appare giustificata dall’esigenza di evitare che una pluralità indefinita di interessi identici sia richiesta con un numero indeterminato di iniziative individuali seriali miranti agli stessi effetti, con inutile aggravio del sistema giudiziario e conseguente dispersione di una risorsa pubblica; e con frustrazione, inoltre, dell’effetto di incentivazione dell’aggregazione spontanea di più individui in un gruppo esponenziale, il che, soprattutto in sistemi cui è ignota la tutela dei diritti individuali omogenei da parte di singoli (invece tipica delle class actions, nelle quali il costo del processo non è però sopportato in proprio dall’attore), vale anche ad equilibrare l’entità delle risorse che ciascuna parte ha interesse ad investire nella controversia (Cass. SU, n. 7036 del 2006).

La L. 30 luglio 1998, n. 281 (Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti), nelle parti rilevanti nel giudizio, dispone: “Art. 1. Finalità ed oggetto della legge.

1. In conformità ai principi contenuti nei trattati istitutivi delle Comunità Europee e nel trattato sull’Unione Europea nonchè nella normativa comunitaria derivata, sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa, sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la disciplina dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni.

2. Ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti:

a) alla tutela della salute;

b) alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi;

c) ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità;

d) all’educazione al consumo;

e) alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi;

f) alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti;

g) all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza.

Art. 2. Definizioni.

1. Ai fini della presente legge si intendono per:

a) “consumatori e utenti”: le persone fisiche che acquistino o utilizzino beni o servizi per scopi non riferibili all’attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta;

b) “associazioni dei consumatori e degli utenti”: le formazioni sociali che abbiano per scopo statutario esclusivo la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori o degli utenti.

Art. 3. Legittimazione ad agire.

1. Le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’art. 5, sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi, richiedendo al giudice competente:

a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;

b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;

c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate”.

Ebbene, nel vigore della L. n. 281 del 1998, la legittimazione ad agire discende dalla qualità di ente esponenziale ope legis, attribuita in base al sistema previsto dall’art. 3 della legge stessa e con un sistema di iscrizione in elenco “avente carattere costitutivo della legittimazione”, in base ad accertamento disciplinato in sequenza procedimentale ex art. 5, comma 2, L. cit.. Se, dunque, l’iscrizione nell’elenco ha carattere costitutivo della legittimazione, essa, se non immediatamente provata (in presenza di “non contestazione”), deve, quanto meno, essere allegata da chi agisce. E, nella concreta fattispecie, dalla sentenza impugnata la circostanza predetta non risulta neppure allegata, mentre dalla memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., si evince una implicita ammissione dell’inesistenza dell’iscrizione.

Si tratta di rilievo dirimente perchè, se in forza dell’art. 3, L. cit., le associazioni iscritte possono agire per la tutela collettiva degli stessi diritti (dichiarati fondamentali) riconosciuti ai consumatori, a maggior ragione possono intervenire nel giudizio promosso dal singolo consumatore.

Si è, invero, evidenziato che, nonostante una certa “evanescenza” di alcune delle situazioni soggettive previste dalla L. n. 281 del 1998, la circostanza che esse non presuppongano alcun collegamento esclusivo tra bene e individuo fa sì che l’azionabilità di esse non possa essere negata, stante il disposto dell’art. 24 Cost..

Se quelle situazioni giuridiche appartengono anche al singolo (talchè se ne deve ammettere la tutelabilità in via individuale), dev’essere possibile, stante l’atipicità dell’azione inibitoria, ammettere che consumatori e utenti possano accedere individualmente anche alla tutela giurisdizionale a carattere preventivo, pur non essendo tale tutela espressamente prevista nell’art. 3.

Si verifica, pertanto, una tale connessione tra situazioni giuridiche che, addirittura, l’associazione iscritta potrebbe intervenire nel giudizio promosso dal consumatore per sostenere le ragioni connesse alle situazioni tutelabili ex art. 3, lett. a) e b) (inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti e adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate).

In ogni caso dovrebbe trattarsi di associazioni iscritte – circostanza insussistente nella concreta fattispecie – e l’intervento ricadrebbe nella disciplina di cui all’art. 105 c.p.c., comma 1.

Da ultimo, il richiamo al mandato conferito dai risparmiatori nonchè alla qualità di soci delle controricorrenti rivestita dai medesimi attori (situazioni contemplate dal vigente art. 140 bis cod. cons., nel testo modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 6, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), non applicabile ratione temporis, non può condurre ad una soluzione diversa.

Ciò sia perchè si afferma che per la fase giudiziale sarebbe stata conferita “procura alle liti” al medesimo difensore, circostanza che esclude la necessità di esaminare il rapporto alla luce dell’art. 77 cod. proc. civ., nel quale parte della giurisprudenza inquadra il mandato menzionato dall’art. 140 bis, sia perchè nella sintesi del fatto controverso ex art. 366 bis c.p.c., si fa nuovamente riferimento (come nei quesiti di diritto formulati) alla legittimazione ad agire “in forza dell’interesse diffuso”.

Talchè va ribadita la mancata allegazione dell’iscrizione ai sensi della L. n. 281 del 1998, che sola avrebbe potuto attribuire tale legittimazione.

Pertanto, il ricorso incidentale deve essere rigettato.

La reciproca soccombenza comporta la compensazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2016

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