Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23302 del 09/11/2011

Cassazione civile sez. un., 09/11/2011, (ud. 04/10/2011, dep. 09/11/2011), n.23302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo presidente f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sez. –

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente di sez. –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, in persona del Vice

Presidente elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE

II 269, presso lo studio dell’avvocato VACCARELLA ROMANO, che lo

rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOCCA

DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato LUCIANI MASSIMO, che lo

rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

PARIOLI 180, presso lo studio LEGALE SANINO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SANINO MARIO, per delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

C.C.R., MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 8252/2010 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 27/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2011 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

uditi gli avvocati Romano VACCARELLA, Massimo LUCIANI, Mario SANINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con Delib. 18 ottobre 2007 il Consiglio superiore della Magistratura conferì al dott. P.G. l’incarico di Procuratore generale aggiunto presso la Corte di Cassazione. I dottori S.A., R.C. C. e V. E., i quali avevano concorso per il conferimento del medesimo incarico, ricorsero al Tribunale amministrativo regionale del Lazio ed, a seguito di decisione ad essi sfavorevole, proposero appello al Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato, con sentenza del 1 luglio 2008, n. 3513, accolse gli appelli ed annullò la citata deliberazione del Consiglio superiore della Magistratura, poichè la ritenne viziata da un eccesso di potere, evidenziato dall’illogicità del giudizio di comparazione tra i candidati. Stabilì perciò che il medesimo Consiglio superiore provvedesse a rinnovare il procedimento valutativo, con esito libero, condizionato solo dalle prescrizioni conformative contenute nel giudicato.

Il Consiglio superiore della Magistratura, dopo un’ulteriore comparazione tra gli aspiranti, il 5 febbraio 2009 adottò una nuova deliberazione conferendo ancora al dott. P. l’incarico di Procuratore generale aggiunto presso la Corte di Cassazione.

I dottori S. e C. (non anche il dott. E., nel frattempo nominato Procuratore Generale presso la stessa Corte di Cassazione) proposero ricorsi per ottemperanza al Consiglio di Stato, che li accolse, con sentenza del 31 dicembre 2009, n. 9296, reputando che la nuova deliberazione fosse elusiva del giudicato derivante dall’annullamento della precedente.

Il Consiglio superiore della Magistratura procedette allora ad assumere una terza deliberazione, in data 11 febbraio 2010, nella quale reiterò il giudizio di prevalenza del dott. P. rispetto agli altri aspiranti. Il dott. C. propose ancora un ricorso per ottemperanza e il dott. S. intervenne nel giudizio, che si concluse con la sentenza del Consiglio di Stato del 6 luglio 2010, n. 4326, la quale, essendo stata adottata la delibera impugnata in assenza di un valido concerto da parte del Ministro della giustizia, dispose la nomina di un commissario ad acta per il caso di ulteriore inadempimento.

Il 15 settembre 2010 il Consiglio superiore della Magistratura, acquisito il nuovo concerto ministeriale, adottò una deliberazione sostitutiva della precedente, riformulando il giudizio comparativo con esito ancora favorevole al dott. P..

Il dott. S. propose un ulteriore ricorso per ottemperanza, chiedendo la declaratoria di nullità della deliberazione da ultimo menzionata, a norma della L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, comma 2. Il ricorso fu accolto, con la sentenza del 27 novembre 2010, n. 8252, del Consiglio di Stato, che, avendo nuovamente ravvisato gli estremi dell’elusione del giudicato, ordinò al Consiglio superiore della Magistratura di prestare esatta ottemperanza a quanto statuito dalla precedente sentenza n. 3513 del 2008, nominò un commissario ad acta ed, in caso di mancato rispetto dei termini a quest’ultimo assegnati, si riservò di provvedere direttamente all’adozione dei necessari provvedimenti.

La predetta sentenza del Consiglio di Stato è stata impugnata dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione dal Consiglio superiore della Magistratura, per tre motivi nei quali si denuncia il superamento da parte del giudice amministrativo dei limiti esterni della propria giurisdizione. A seguito di ciò, con ordinanza depositata l’11 maggio 2011, il Consiglio di Stato ha sospeso l’esecuzione della sentenza impugnata.

Il dott. P. ha depositato un controricorso di contenuto adesivo. Una posizione antagonista è stata invece assunta dall’altro controricorrente, dott. S., mentre nessuna difesa hanno svolto in questa sede il dott. C. ed il Ministro della Giustizia.

Tanto il ricorrente quanto i controricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Come si è già accennato, il ricorso consta di tre motivi.

1.1. Nel primo si deduce la violazione dei limiti esterni della giurisdizione con riferimento all’art. 24 Cost., all’art. 103 Cost. e all’art. 111 Cost., comma 1. A parere del Consiglio superiore, il giudice amministrativo, utilizzando indebitamente ex post lo strumento dell’interpretazione del giudicato come parametro della legittimità ovvero dell’elusività del provvedimento consiliare, si è arrogato la facoltà di scegliere il tipo di potere giurisdizionale da esercitare in concreto, ed ha optato per quello a cognizione sommaria, proprio della giurisdizione di ottemperanza, senza che ne ricorressero davvero i presupposti, come il confronto tra le motivazioni poste a base del primo provvedimento annullato e di quelli adottati successivamente dall’organo di autogoverno della magistratura varrebbe a dimostrare. Donde la violazione dei limiti tassativi entro i quali al Consiglio di Stato è consentito esercitare una giurisdizione di merito, in luogo dell’ordinario sindacato di legittimità articolato in due gradi di giudizio, oltre che del principio dettato dall’art. 111 Cost., comma 1, a tenore del quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.

1.2. L’addebito mosso alla sentenza impugnata nel secondo motivo di ricorso è di avere invaso il merito delle prerogative riservate al Consiglio superiore della Magistratura dalla Costituzione e dalla legge. Il ricorrente sostiene che il Consiglio di Stato avrebbe attribuito alla propria precedente sentenza n. 3513 del 2008 – la quale non aveva affatto affermato che il dott. P. non avrebbe potuto vincere il concorso, ma si era limitata a riscontrare vizi motivazionali che rendevano necessaria una nuova valutazione comparativa – una portata diversa e ben più ampia di quella effettiva, quasi che l’esito del concorso fosse ormai predeterminato.

L’ingiustificata dilatazione del concetto di elusione del giudicato avrebbe perciò condotto il giudice amministrativo a sostituire indebitamente il proprio giudizio a quello dell’organo di autogoverno dei magistrati.

1.3. L’ultimo motivo di ricorso, nel denunciare un eccesso di potere giurisdizionale ad opera del Consiglio di Stato, lamenta in particolare la violazione dell’art. 105 Cost., dipendente dal fatto che, quando l’impugnata sentenza di ottemperanza è stata pronunciata, tutti i magistrati che avevano partecipato al contestato concorso per il conferimento dell’incarico di Procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione avevano ormai cessato di appartenere all’ordine giudiziario per sopraggiunti limiti d’età.

Non avrebbe perciò potuto essere ordinata una nuova comparazione, “ora per allora”, tra candidati nessuno dei quali era ormai più in condizioni di ricoprire l’incarico conteso, ed il provvedimento che si vorrebbe fosse emanato dal Consiglio superiore della Magistratura non potrebbe produrre gli effetti suoi propri, nè quindi rispondere all’interesse pubblico al quale la sua emanazione dovrebbe esser preordinata, mirando invece solo a soddisfare l’interesse privato di un candidato, in relazione alle conseguenze di natura economica dell’incarico non conseguito; interesse che, però, deve essere fatto valere in sede risarcitoria e la cui tutela è del tutto estranea al giudizio di ottemperanza.

2. Prima di entrare nel merito delle censure mosse all’impugnata sentenza, occorre farsi carico di un’eccezione preliminare d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa del dott. S..

E’ stato già sopra ricordato che la Delib. Consiglio superiore della Magistratura 15 settembre 2010, la quale ha formato oggetto della sentenza del Consiglio di Stato n. 8252 del 2010, qui impugnata, era stata preceduta da altra deliberazione del medesimo organo di autogoverno della magistratura, in data 11 febbraio 2010, annullata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4326 del 2010. Il controricorrente dott. S. ora osserva che la sentenza da ultimo menzionata, oltre a rilevare il difetto del prescritto concerto ministeriale, aveva espressamente affermato che la citata deliberazione consiliare del febbraio 2010 conteneva le stesse erronee valutazioni di quelle già in precedenza annullate. Ma detta sentenza n. 4326 non è stata impugnata ed è passata in giudicato:

il che, per un verso, renderebbe inammissibili le considerazioni critiche che l’attuale ricorso ad essa riserva e, per altro verso, implicherebbe che anche le censure rivolte alla successiva sentenza n. 8252 del 2010 sarebbero precluse dal giudicato, attesa la sostanziale identità delle deliberazioni consiliari esaminate dalle due indicate pronunce.

2.1. L’eccezione, nella misura in cui tende a far dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione nella sua interezza, non appare fondata.

Non v’è dubbio che detto ricorso abbia ad oggetto unicamente l’ultima, in ordine di tempo, delle sentenze del Consiglio di Stato dianzi ricordate – la sentenza n. 8252 del 2010 – e che tale decisione è riferita alla Delib. consiliare 15 settembre 2010 (sostitutiva della precedente deliberazione del febbraio dello stesso anno), avendo ravvisato in essa un’ulteriore elusione del giudicato formatosi a seguito della decisione n. 3515 del 2008, con cui era stato annullato l’originario conferimento al dott. P. dell’incarico di cui si discute.

Se, però, può certamente condividersi il rilievo per cui non possono trovare spazio in questa sede censure rivolte ad una sentenza diversa da quella specificamente qui impugnata, altrettanto non è a dirsi per le censure che colpiscono direttamente quest’ultima sentenza. La circostanza che alcuni dei vizi oggi imputati alla sentenza impugnata avrebbero potuto, eventualmente, essere riscontrati anche nella precedente non comporta preclusione alcuna, stante comunque la diversità dell’oggetto dei due giudizi che con quelle sentenze si sono conclusi: che non vien meno per la mera sovrapponibilità (peraltro neppure integrale, come si desume dal tenore della sentenza impugnata) delle due distinte e successive deliberazioni consiliari e dei comportamenti dell’amministrazione che in esse si sono estrinsecati, in quanto l’efficacia oggettiva del giudicato non può mai investire singole questioni di fatto o di diritto se queste non attengano, in guisa di presupposti o premesse logiche, al medesimo rapporto.

3. Sempre al fine di verificare l’ammissibilità del proposto ricorso, non è superfluo ricordare che, per giurisprudenza costante, il controllo della Corte di Cassazione sulle pronunce giurisdizionali del Consiglio di Stato è limitato all’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del massimo organo della giustizia amministrativa, cui non è consentito invadere arbitrariamente il campo dell’attività riservata alla pubblica amministrazione attraverso l’esercizio di poteri di cognizione e di decisione non previsti dalla legge, con conseguente trapasso da una giurisdizione di legittimità a quella di merito, come può accadere, ad esempio, quando il giudice amministrativo compia atti di valutazione della mera opportunità dell’atto impugnato, sostituendo propri criteri di valutazione a quelli discrezionali della pubblica amministrazione, o adotti decisioni finali interamente sostitutive delle determinazioni spettanti all’amministrazione medesima (si veda in tal senso, tra le altre, Sez. un. 15 marzo 1999, n. 137). Si è perciò affermato che l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, è configurabile solo quando l’indagine svolta dal giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, sia stata strumentale a una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito che si estrinsechi in una pronunzia che abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (cfr., ex aliis, Sez. un., 22 dicembre 2003, n. 19664).

La speciale giurisdizione di ottemperanza affidata al giudice amministrativo presenta però, com’è noto, caratteri affatto peculiari, in virtù dei quali l’ingerenza del giudice nel merito dell’agire della pubblica amministrazione è pienamente ammissibile.

Ed, infatti, al medesimo giudice amministrativo è in tal caso espressamente attribuito un potere di giurisdizione anche di merito (artt. 7cod. proc. amm., comma 6, e art. 134 cod. proc. amm.), con possibilità sia di procedere alla “determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo” ed alla “emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione” (art. 114 cod. proc. Amm., comma 4, lett. a), sia di “sostituirsi all’amministrazione” (art. 7 cod. proc. amm., comma 6) nominando, ove occorra, un commissario ad acta (art. 114 cod. proc. amm., comma 4, lett. d). Un eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo, per invasione della sfera riservata al potere discrezionale della pubblica amministrazione, non potrebbe perciò essere certamente ravvisato nel fatto in sè che il giudice dell’ottemperanza, rilevata la violazione od elusione del giudicato amministrativo, abbia adottato (o ordinato di adottare) quei provvedimenti che l’amministrazione inadempiente avrebbe dovuto già essa stessa attuare. Proprio in questo sta infatti la funzione de giudizio di ottemperanza che, in ossequio al principio dell’effettività della tutela giuridica e per soddisfare pienamente l’interesse sostanziale del soggetto ricorrente, non può arrestarsi di fronte ad adempimenti parziali, incompleti od elusivi del contenuto della decisione del giudice amministrativo (cfr. Sez. un. 19 agosto 2009, n. 18375; e 24 novembre 2009, n. 24673). Nè a ciò è di ostacolo la circostanza che l’amministrazione cui viene imputata la violazione o delusione del giudicato sia, come nel caso del Consiglio superiore della Magistratura, un organo di rilevanza costituzionale (si veda Corte cost. 15 settembre 1995, n. 435).

Ma, se lo sconfinamento nel merito del giudice amministrativo oltre i limiti della sua naturale giurisdizione di legittimità è sindacabile ad opera della Cassazione, nei termini già dianzi ricordati, appare del tutto ragionevole dedurne che un analogo sindacato sia esercitabile anche nel caso in cui, essendo invece un potere di giurisdizione di merito espressamente conferito dalla legge al medesimo giudice amministrativo, venga addebitato al Consiglio di Stato di avere ecceduto il limite entro il quale quel potere gli compete: di avere, cioè, esercitato una giurisdizione di merito in presenza di situazioni che avrebbero potuto dare adito solo alla normale giurisdizione di legittimità, e quindi all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi (cfr. Sez. un. 31 ottobre 2008, n. 26302; 19 luglio 2006, n. 16469; e 9 giugno 2006, n. 13431), o che comunque non avrebbero potuto dare ingresso all’anzidetta giurisdizione di merito. Si ripropone, in siffatti casi, l’identica tematica dell’invasione non consentita, ad opera del giudice, della sfera di attribuzioni riservata alla pubblica amministrazione; nè, inoltre, il potere integrativo del giudice dell’ottemperanza può sottrarsi ai limiti esterni della giurisdizione propria del giudice amministrativo quando la cognizione della questione controversa, la cui soluzione sia necessaria ai fini della verifica dell’esatto adempimento dell’amministrazione obbligata, risulti devoluta ad altro giudice in modo che soltanto questi possa provvedere al riguardo (si vedano Sez. un. 20 novembre 2003, n. 17633; e 19 luglio 2006, n. 16469).

Anche in termini più generali, del resto, queste sezioni unite hanno già avuto occasione in passato di affermare come debba ormai essere considerata norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che da contenuto a quel potere, stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca; con la conseguenza che rientra nello schema logico del sindacato per violazione di legge per motivi inerenti alla giurisdizione, spettante alla Corte di Cassazione, l’operazione consistente nell’interpretare la norma attributiva di tutela e nel verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8 la abbia correttamente applicata (Sez. un. 23 dicembre 2008, n. 30254).

Naturalmente questo non significa che il sindacato della Suprema corte possa estendersi a qualsiasi eventuale error in iudicando o in procedendo imputato al giudice amministrativo nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme che disciplinano il giudizio di ottemperanza. Per scriminare le fattispecie in cui il sindacato sui limiti di tale giurisdizione è consentito da quelli in cui esso risulta invece inammissibile, dovendosi aver riguardo al cosiddetto petitum sostanziale ed all’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (cfr., ex multis, Sez. un., 25 giugno 2010, n. 15323), risulta decisivo stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione, oppure il fatto stesso che, in una situazione del genere di quella considerata, un tal potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettava.

Si potrà allora convenire che, quando l’ottemperanza sia stata invocata denunciando comportamenti elusivi del giudicato o manifestamente in contrasto con esso, afferiscono ai limiti interni della giurisdizione gli eventuali errori imputati al giudice amministrativo nell’individuazione degli effetti conformativi del giudicato medesimo, nella ricostruzione della successiva attività dell’amministrazione e nella valutazione di non conformità di questa agli obblighi dal giudicato derivanti. Si tratta, invece, dei limiti esterni di detta giurisdizione quando è posta in discussione la possibilità stessa, nella situazione data, di far ricorso alla giurisdizione di ottemperanza. E ciò appunto si verifica – come già detto – ogni qual volta sia denunciato l’esercizio indebito ad opera del Consiglio di Stato della speciale giurisdizione d’ottemperanza, con i conseguenti riflessi sul merito amministrativo, in fattispecie suscettibili invece soltanto di essere trattate dal giudice amministrativo nell’ambito della normale giurisdizione di legittimità (o eventualmente nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva), così come in qualsiasi altra situazione in cui il giudizio di ottemperanza, estrinsecandosi nell’emanazione di un ordine di fare (o di non fare) rivolto dal giudice all’amministrazione, si sia esplicato al di fuori dei casi nei quali un siffatto ordine poteva essere impartito.

3.1. Nel caso di specie il terzo motivo del ricorso – che, come si vedrà, risulta assorbente rispetto agli altri due e che quindi, per ragioni di economia processuale, conviene esaminare per primo – investe appunto l’esistenza stessa dei presupposti in presenza dei quali sussiste il potere del giudice amministrativo di emettere un provvedimento di ottemperanza.

Il sindacato della Suprema corte su tale questione è, dunque, certamente ammissibile.

4. La circostanza che il giudizio di ottemperanza sia stato instaurato quando il ricorrente dott. S. era già stato collocato a riposo per limiti di età e che la sentenza sia stata poi pronunciata quando erano usciti definitivamente dall’ordine giudiziario tutti i magistrati che avevano partecipato al concorso conclusosi con la vittoria del dott. P., sicchè l’incarico a quest’ultimo assegnato non poteva ormai che essere oggetto di un concorso del tutto nuovo, destinato a svolgersi tra aspiranti completamente diversi, appare tale da incidere profondamente sulla portata e sul contenuto effettivo del menzionato giudizio di ottemperanza.

Nell’impugnata sentenza del Consiglio di Stato si sostiene – richiamando alcuni precedenti del medesimo giudice amministrativo – che il collocamento a riposo dei ricorrente per ottemperanza non fa venir meno il suo interesse “alla rideterminazione della propria posizione originaria ai fini giuridici (ora per allora), laddove egli risulti vincitore all’esito del rinnovo della procedura, con ogni conseguenza in ordine anche al trattamento di quiescenza”. Ma la questione è un’altra: non riguarda l’interesse ad agire, bensì l’oggetto e lo scopo del giudizio di ottemperanza, e perciò i limiti entro i quali è esercitabile la relativa potestà giurisdizionale del giudice amministrativo.

Si tratta di stabilire se le surriferite circostanze abbiano fatto venir meno la possibilità stessa per il Consiglio superiore della Magistratura di dar corso ad una nuova valutazione comparativa tra i suddetti candidati, difettando perciò, in tale ipotesi, i presupposti stessi per un giudizio di ottemperanza. La giurisdizione di ottemperanza, infatti, è il mezzo attraverso il quale deve essere assicurato, grazie all’intervento del giudice, il pieno compimento di quell’attività che la pubblica amministrazione avrebbe dovuto svolgere conformandosi al precedente giudicato, ed è intuitivo che essa non possa spingersi sino ad esiti che neppure all’agire spontaneo della medesima pubblica amministrazione sarebbero più ormai consentiti.

4.1. Occorre a tal riguardo considerare che, come già è stato sottolineato da attenti studiosi della materia, il giudicato amministrativo non può essere considerato separatamente dalla fattispecie su cui incide.

Una cosa è il giudicato che tocca vicende chiuse, delle quali cioè l’intervento del giudice è destinato a segnare la conclusione, altra cosa è la sentenza che, viceversa, riapre una situazione che il provvedimento annullato aveva inteso definire, dischiudendo nuove prospettive per il futuro. A questa diversa tipologia di situazioni corrisponde una diversità di effetti del giudicato amministrativo.

Se si tratta di situazioni orientate al passato, che il provvedimento annullato aveva definito, il giudicato pone termine alla vicenda; ma se, viceversa, si tratta di situazioni orientate al futuro, il giudicato accerta fatti e rapporti con riferimento alla data di adozione del provvedimento, e ciò pone il problema di stabilire se, o fino a qual punto, l’amministrazione debba tener conto di eventuali nuovi elementi di fatto e di diritto che la sentenza non aveva avuto nè titolo nè modo per considerare.

Va rimarcato che sovente tali nuovi elementi non incidono sul giudicato in quanto tale, ossia sulla situazione che la sentenza ha accertato ormai intangibilmente, bensì sugli effetti ulteriori riferibili al giudicato medesimo e ad esso successivi (effetti che il vincitore vorrebbe trarre dal giudicato, ma che non ne derivano ex lege). Se la fattispecie si è esaurita, l’assetto dato è insensibile a qualunque modifica successiva al giudicato, ma se, invece, essa presuppone ulteriori sviluppi, è ben possibile che un fattore esterno, del tutto indipendente dal giudicato, la modifichi.

Quando, allora, si predica l’irrilevanza delle sopravvenienze di diritto o di fatto posteriori al giudicato (a differenza di quelle intervenute nelle more della definizione dei giudizio), che non possono ormai più incidere sull’assetto degli interessi cui il giudicato medesimo ha posto capo, e si sottolinea come il decorso del tempo non possa andare a scapito della parte incolpevole, occorre aggiungere che, ogni qual volta, tuttavia, siano intervenute in seguito circostanze per le quali non risulti ormai più possibile fare quel che alla data del ricorso per ottemperanza si sarebbe eventualmente potuto fare, o viceversa, tali circostanze saranno comunque immancabilmente destinate a riflettersi anche sugli effetti e sulla concreta attuabilità del precedente giudicato. Anche e proprio per questa ragione, del resto, il legislatore ha ampliato l’area del possibile risarcimento del danno (che può, all’occorrenza, assumere i connotati del danno da perdita di chance), espressamente ricollegandolo all’ipotesi della violazione o dell’elusione del giudicato.

Ne consegue che il giudicato amministrativo formatosi su un provvedimento col quale l’amministrazione abbia proceduto al conferimento di un incarico pubblico ha l’effetto d’imporre alla medesima amministrazione di provvedere al rinnovo della relativa procedura, volta al conferimento di quell’incarico, ma solo se e fino a quando l’incarico sia ancora conferibile e la procedura sia ancora espletabile. Venuta meno tale condizione, cessa per ciò stesso non solo l’obbligo, ma la possibilità stessa per l’amministrazione di provvedere in tal senso, fermo l’eventuale diritto al risarcimento per chi abbia visto indebitamente frustrate le proprie legittime aspirazioni.

La possibilità di dar corso ad un procedimento concorsuale “ora per allora”, al solo ipotetico fine del riconoscimento di un determinato trattamento di quiescenza del candidato che risulti vincitore, sposta radicalmente l’asse tanto dell’azione amministrativa quanto della tutela giurisdizionale ad essa relativa, perchè un procedimento siffatto non potrebbe evidentemente in alcun modo condurre all’effettivo conferimento dell’incarico di cui in precedenza si era discusso e che aveva costituito la ragione prima dell’atto amministrativo annullato. Nè le conseguenze del giudicato di annullamento, in termini di ottemperanza, quando non si tratti soltanto di ricostruire la carriera di un pubblico dipendente facendo retroagire a determinati fini gli effetti di un atto che lo riguardi, bensì di ipotizzare il compimento ad opera dell’amministrazione di attività che non hanno più rispondenza nello scopo di pubblico interesse che è loro proprio, possono spingersi sino a tal segno:

sino, cioè, ad implicare la necessità di svolgere un concorso virtuale, ormai sganciato dalla finalità del conferimento dell’incarico pubblico ed ipoteticamente destinato solo ad assicurare al vincitore un miglior trattamento di quiescenza. Ciò trasformerebbe l’oggetto medesimo del giudizio di ottemperanza, indirizzato così ad un accertamento destinato a riflettersi su un diverso rapporto (in ipotesi, quello previdenziale), e ne determinerebbe il sostanziale snaturamento, dovendo esso invece essere prioritariamente preordinato alla realizzazione della causa tipica del provvedimento amministrativo cui la pubblica amministrazione sia vincolata dal precedente giudicato – o tutt’al più al risarcimento del danno, previsto dell’art. 112 cod. proc. Amm. Commi 4 e 5 (domanda che non è stata però proposta nel presente caso) – e non ridursi allo scopo di porre le premesse perchè il ricorrente possa eventualmente conseguire le utilità economiche connesse ad un superiore (ma affatto virtuale, perchè ormai non più effettivamente conseguibile) inquadramento in organico.

4.2. Nella fattispecie in esame, come s’è visto, non solo quando è stata pronunciata l’impugnata sentenza del Consiglio di Stato, la contestata procedura concorsuale conclusasi in favore del dott. P. appariva non più utilmente ripetibile, dovendo ormai necessariamente essere indetto un nuovo e diverso concorso (come in effetti è accaduto) a causa del sopravvenuto pensionamento dello stesso dott. P. e di tutti gli altri originari concorrenti a quell’incarico, ma già al momento della proposizione del ricorso da parte del dott. S. quest’ultimo aveva cessato di far parte dell’ordine giudiziario per superamento dei limiti di età. Non vi era quindi più spazio per un provvedimento giurisdizionaie di ottemperanza, volto ad imporre il compimento di un’attività amministrativa della quale non sussistevano più gli indispensabili presupposti, potendo invece la tutela del dott. S. esplicarsi nel naturale solco di una pretesa risarcitoria. Nè la circostanza che il Consiglio superiore della Magistratura, intendendo adeguarsi ad un precedente del Consiglio di Stato, abbia tuttavia ritenuto di potere emettere un provvedimento “ora per allora” costituisce, da solo, argomento sufficiente a far dubitare di quanto appena osservato.

Come si è sopra notato, la formula “ora per allora” esprime una mera fictio iuris, implicando che, in realtà, l’oggetto della pronuncia non era, nè avrebbe più potuto essere, l’espletamento di un nuovo concorso volto all’effettivo conferimento dell’incarico di Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, bensì il mero accertamento di una situazione soggettiva eventualmente azionabile in altra sede dall’interessato. Donde l’esorbitanza del provvedimento di ottemperanza dai limiti del relativo potere giurisdizionale – esercitato in una situazione che non lo avrebbe consentito e per finalità ad esso estranee – in quanto volto al conseguimento di un risultato meramente cognitorio, riferibile ad un eventuale rapporto giuridico da far valere in un diverso contesto giurisdizionale e dinanzi ad un giudice diverso.

5. Deve dunque essere enunciato il seguente principio di diritto.

La sentenza con cui il Consiglio di Stato, pronunciando su un ricorso per l’ottemperanza ad un giudicato avente ad oggetto l’annullamento del conferimento di pubbliche funzioni a seguito di una procedura concorsuale non più ormai ripetibile, ordina alla competente amministrazione di provvedere ugualmente a rinnovare il procedimento (“ora per allora”), al solo fine di determinare le condizioni per l’eventuale accertamento di diritti azionabili dal ricorrente in altra sede e nei confronti di altra amministrazione, eccede i limiti entro i quali è consentito al giudice amministrativo l’esercizio della speciale giurisdizione di ottemperanza ed è soggetto, pertanto, al sindacato della Corte di Cassazione in punto di giurisdizione.

6. Alla stregua del principio ora enunciato, il terzo motivo di ricorso risulta meritevole di accoglimento, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza del Consiglio di Stato, restando in ciò assorbite le questioni sollevate negli altri due motivi di ricorso.

7. La particolarità della vicenda e l’assenza di precedenti giurisprudenziali in termini suggeriscono di compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La corte accoglie il terzo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri, cassa l’impugnata sentenza e compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2011

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