Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2330 del 01/02/2011

Cassazione civile sez. III, 01/02/2011, (ud. 29/11/2010, dep. 01/02/2011), n.2330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20205/2006 proposto da:

ENRICO RAVANELLI S.P.A. (OMISSIS) in persona del suo legale

rappresentante Sig. M.S. amministratore unico,

elettivamente domiciliata in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CAMPEIS Giovanni

Battista con studio in 33100 UDINE, VIA VITTORIO VENETO 8, giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

RAMMIT S.P.A. (OMISSIS);

– intimata –

sul ricorso 24573-2006 proposto da:

RAMMIT S.P.A. in persona del suo legale rappresentante pro tempore,

il Presidente del C.d.A. Ing. G.M.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ULPIANO 29, presso lo studio

dell’avvocato ANTONETTI MARCO, che la rappresenta e difende giusta

delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

ENRICO RAVANELLI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 289/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

Sezione Prima Civile, emessa il 18/3/2005, depositata l’11/5/2005,

R.G.N. 391/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

29/11/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato MARCO ANTONETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per la riunione e il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. Nel giugno del 1998 la Enrico Ravanelli s.p.a. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Udine la s.r.l. Rammit deducendo di avere acquistato dalla convenuta nel settembre del 1997, tramite un leasing stipulato con il Monte dei Paschi di Siena, un martello demolitore idraulico, il quale, dopo essere stato consegnato il 14 ottobre dello stesso anno in un cantiere in Salisburgo, si era dimostrato inidoneo al funzionamento, rompendosi dopo quaranta ore di lavoro, che erano intervenute successive riparazioni finchè i tecnici della Rammit avevano accertato l’impossibilità di una riparazione, che soltanto in data 2 febbraio 1998 la Rammit le aveva consegnato un nuovo demolitore in sostituzione di quello precedente, e che frattanto, essa deducente, per eseguire il lavori appaltati nel cantiere austriaco aveva dovuto acquistare un macchinario analogo da altro fornitore.

Sulla base di tali allegazioni chiedeva il risarcimento dei danni sofferti.

Nella costituzione della Rammit il Tribunale, con sentenza del gennaio 2002, accertato l’inadempimento della stessa alle obbligazioni assunte nei confronti della Ravanelli, la condannava al pagamento alla Ravanelli della somma di Euro 73.359,19 oltre accessori, nonchè dei due terzi delle spese di lite.

Sull’appello della Rammit relativo sia alla sussistenza del suo inadempimento sia al quantum del danno, la Corte d’Appello di Trieste, con sentenza dell’11 maggio 2005, in parziale accoglimento dell’appello, riduceva l’ammontare del danno ad Euro 9.603,47 oltre accessori e compensava per metà le spese dei due gradi.

p. 2. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione in via principale, iscritto al n.r.g. 20205 del 2006 la Ravanelli sulla base di tre motivi.

Ha resistito la Rammit con controricorso, nel quale ha svolto ricorso incidentale, iscritto al n.r.g. 24573 del 2006, sulla base di tre motivi.

p. 3. La Rammit ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Preliminarmente il ricorso incidentale dev’essere riunito a quello principale, in senso al quale è stato proposto.

p. 2. Il Collegio ritiene che il ricorso principale sia inammissibile e per tale ragione non occorre riferire dei tre motivi su cui si fonda.

La ragione di inammissibilità discende dalla circostanza che la struttura del ricorso principale non ha ottemperato in modo sufficiente al requisito dell’esposizione sommaria dei fatti della causa, di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

p. 2.1. La struttura del ricorso principale è invero articolata con una prima parte nella quale si racconta analiticamente il fatto storico anteriormente alla insorgenza della lite in sede giudiziale, ripercorrendo i vari accadimenti attraverso i quali si era sviluppato. Ciò fino a metà della pagina 5.

Immediatamente dopo, sotto un paragrafo rubricato come “2. L’iter processuale del primo grado”, si dice sub A) che con citazione del 28 maggio 1998 la Ravanelli convenne innanzi al Tribunale di Udine la Rammit “allo scopo di conseguire il risarcimento del danno subito in conseguenza della fornitura di un bene (il martellone venduto da Rammit con contratto 4/9/97, consegnato in Italia il 6/9/97 e portato in cantiere a Salisburgo il 14/10/97) non conforme al commissionato, non idoneo all’uso per il quale era stato commissionato, viziato e difettoso”. Dopo di che si riferisce genericamente – al punto B -che la Rammit si costituì e chiese la reiezione della domanda contestandone la fondatezza , che – punto C) – all’udienza del 13/10/99 “venne dato sfogo alle prove ammesse e che – punto D) – “sulle conclusioni rassegnate dalle parti all’udienza del 16/7/01 la causa passò alla fase decisoria”.

Ora, siffatta struttura del ricorso lascia nel lettore l’assoluta incertezza sull’esatto tenore della domanda proposta, nel senso che l’unica indicazione fornita è quella su una parte dei fatti costitutivi della domanda, cioè sull’essere il bene fornito non idoneo all’uso pattuito, viziato e difettoso. Questa indicazione, in sè generica, arricchita con le analitiche enunciazioni sullo svolgimento del fatto storico, può essere ritenuta sufficiente ad individuare la fattispecie generatrice del danno ed il danno c.d.

evento, cioè, rispettivamente, la condotta generatrice dell’inadempimento e l’evento costituito dall’inadempimento stesso.

Nessuna indicazione, invece, sì fornisce sul danno conseguito all’inadempimento ed oggetto della richiesta risarcitoria, cioè sul danno indicato dalla norma dell’art. 1223 c.c..

Il lettore del ricorso, in sostanza, non è posto nella condizione di sapere che cosa era stato lamentato come danno ai sensi e per gli effetti di detta norma.

Proseguendo la lettura del ricorso, alla pagina 6 si riferisce della sentenza di primo grado del tutto genericamente, dicendosi che essa condannò al pagamento della somma di Euro 73.359,19. Non si fornisce alcuna specificazione su come e perchè sia stata riconosciuta tale somma e, quindi, non si individua che cosa la sentenza avesse riconosciuto come danno, posto che, com’è di tutta evidenza, se la domanda era di risarcimento del danno, la somma dovrà essere stata riconosciuta come equivalente monetario di un certo danno, inteso come c.d. danno-conseguenza.

Ora, l’assoluta mancanza di individuazione di una parte dei fatti costitutivi della domanda nel senso indicato e di che cosa il giudice di primo grado abbia riconosciuto come danno perdura anche nelle successive enunciazioni dalla pagina 6 all’inizio della pagina undici, nella quale inizia l’esposizione dei motivi.

Infatti: a) a pagina 6, in fine, si indicano i motivi dell’appello della Rammit, ma del tutto genericamente e senza fornire alcuna precisazione, anche indiretta, sui due punti innanzi segnalati; b) a pagina sette si dice che la sentenza d’appello liquidò equitativamente il danno, in riforma della sentenza di primo grado, determinandolo in L. 10.000.000 (sic), ma senza alcuna specificazione sull’individuazione del danno così risarcito e nuovamente omettendosi il benchè minimo chiarimento sugli indicati due punti;

c) nelle pagine 7-11, sotto una rubrica intitolata come premessa all’esposizione dei motivi di ricorso, si fa un riferimento alla conclusionale di primo grado della Rammit, quindi si riferisce della sentenza di primo grado, poi dell’appello della Rammit e, quindi, della sentenza d’appello, ma sempre senza che si fornisca nè l’indicazione di che cosa era stato chiesto come danno con l’atto introduttivo e di che cosa era stato liquidato dalla sentenza di primo grado ed anzi nemmeno traspare dai motivi di appello che cosa la Rammit nel suo atto di appello, evidentemente in critica al danno individuato dalla sentenza di primo grado, aveva individuato come danno non risarcibile. Le allegazioni ed i riferimenti si muovono argomentando di compensatio lucri cum damno e di rilevanza dell’art. 1227 c.c., comma 2, ma il lettore continua a non poter percepire i due dati di cui si è detto.

Anche l’illustrazione dei primi due motivi, nel primo dei quali si discute rispettivamente di una pretesa erronea applicazione della c.d. compensatio lucri cum damno in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel ridurre il danno liquidato e della violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c. nel dare ad essa rilievo, non soccorre in proposito. Il lettore dovrebbe scrutinare i due motivi senza apprezzarne l’effettivo rilievo in relazione all’oggetto della domanda per come introdotta in primo grado ed al suo apprezzamento in sede di sentenza di primo grado. Non si comprende, in particolare, come potrebbe essere possibile apprezzare se sia stata fatta erronea applicazione della compensatio senza che risulti individuato riguardo a quali danni lamentati ed oggetto della domanda se ne sarebbe ragionato e senza che si sappia quali danni aveva riconosciuto la sentenza di primo grado e, quindi, rispetto a che cosa la compensano in ipotesi si sarebbe applicata.

2.2. L’esposizione del fatto nel ricorso, in quanto omissiva nei sensi indicati, non rispetta i principi che la giurisprudenza consolidata della Corte ha elaborato in punto di requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

In proposito, in punto di rilievo del requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, si rileva, infatti, che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di Cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa” (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006).

Nello stesso ordine di idee si è, inoltre, sempre ribadendo lo stesso concetto, precisato che “il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata”. E, in applicazione di tale principio si è dichiarato inammissibile il ricorso in cui risultavano omesse: la descrizione dei fatti che avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per tali fondamentali notizie, il ricorrente fatto rimando alla citazione in appello) (Cass. n. 4403 del 2006).

Va, altresì, ricordato che costituisce principio altrettanto consolidato che, ai fini della detta sanzione di inammissibilità, non è possibile distinguere fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (Cass. n. 1959 del 2004).

p. 3. Il ricorso principale è, pertanto, dichiarato inammissibile.

Peraltro, non è superfluo notare che la lettura della motivazione della sentenza impugnata – si badi irrilevante ai fini dell’apprezzamento del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3 – paleserebbe anche che in realtà, nonostante un riferimento alla compensano in quanto invocata dall’appellante, la rideterminazione del danno da parte della Corte territoriale è avvenuta con un ragionamento che piuttosto che individuare un lucro derivante dal danno, ha semplicemente proceduto ad un’operazione di determinazione del danno emergente, escludendo che esso potesse identificarsi nella spesa per l’acquisto di un nuovo martellone. Onde, se il ricorso fosse stato ammissibile il motivo non sarebbe stato adeguato all’effettiva ratto decidendi della sentenza impugnata, che, in realtà, non ha affatto applicato alcuna compensano.

p. 4. Il ricorso incidentale dev’essere a questo punto dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2.

Esso, infatti, ha natura di ricorso incidentale tardivo, perchè proposto oltre il termine c.d. lungo decorso dalla pubblicazione della sentenza impugnata. Quel termine, infatti, scadeva il 26 giugno 2006, aggiungendo all’anno solare decorso dall’11 maggio 2005 i quarantasei giorni della sospensione feriale dei termini per l’anno 2005.

5. L’esito dei due ricorsi induce a compensare le spese del giudizio di cassazione, anche in considerazione del fatto che anche il ricorso incidentale presentava la stessa insufficienza espositiva del fatto propria del ricorso principale a proposito dell’individuazione del danno di cui si era richiesto il risarcimento (mentre alla pagina 11 contiene l’indicazione che il Tribunale di Udine avrebbe condannato a risarcire il prezzo di acquisto del nuovo martellone, che, però, non vale ai fini dell’individuazione dell’oggetto della domanda per come formulata dalla Ravanelli) e, dunque, sarebbe stato a sua volta inammissibile. Inoltre, i tre motivi si sarebbero dovuti reputare inammissibili in quanto non si fanno carico nella sua interezza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alle emergenze probatorie testimoniali.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace in conseguenza l’incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 29 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2011

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