Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23297 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. III, 23/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 23/10/2020), n.23297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30461/2019 proposto da:

H.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ASSUNTA FICO;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE UFFICIO TERRITORIALE GOVERNO CROTONE;

– intimata –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 503/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

H.S., cittadino del (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire ritorsioni e violenze d’indole persecutoria per ragioni di carattere politico;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento H.S. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Catanzaro, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 316/10/2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro con sentenza in data 11/3/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’assenza di attendibilità del relativo racconto; 2) dalla mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da H.S. con ricorso fondato su quattro motivi d’impugnazione;

il Ministero dell’Interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale illegittimamente omesso di procedere alla rinnovazione dell’audizione del ricorrente in sede giurisdizionale, con la conseguente mancata realizzazione di un esame completo, rigoroso e approfondito della domanda di protezione;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come la corte territoriale abbia espressamente sottolineato l’avvenuta audizione del richiedente dinanzi alla Commissione territoriale nella condizione di poter riferire ogni circostanza utile a sostegno della propria richiesta: situazione, peraltro, pienamente attuata attraverso l’illustrazione con chiarezza, da parte dell’interessato, delle ragioni del proprio espatrio;

ciò posto, l’odierna doglianza del ricorrente, là dove fermata sull’asserita incompletezza dell’esame del ricorrente, asserìtamente non condotto in modo completo, rigoroso e approfondito, deve ritenersi inammissibile, siccome fondata su una prospettazione meramente soggettiva o arbitraria di quanto ritenuto necessario ai fini di un adeguato compimento dell’audizione personale del richiedente dinanzi alla Commissione territoriale;

peraltro, con riguardo alla deduzione formulata in ordine alla necessità di una nuova audizione in sede giurisdizionale, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa corte secondo cui, nel giudizio d’impugnazione della decisione della Commissione territoriale (e quando sia mancata la videoregistrazione del colloquio dinanzi a quest’ultima), il giudice ha l’obbligo di fissare l’udienza, ma a tale obbligo non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, là dove la domanda di protezione internazionale risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e da quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (ex multis, Sez. 1 -, Sentenza n. 5973 del 28/02/2019, Rv. 652815 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo ha specificamente indicato, in termini logicamente plausibili e giuridicamente fondati, le ragioni della mancata audizione giudiziale del richiedente, tenuto conto del complesso degli elementi documentali acquisiti e dell’insussistenza di alcuna effettiva necessità di integrarli attraverso la rinnovazione dell’ascolto personale, non risultando, peraltro, che il ricorrente abbia individuato in termini inequivoci, ai fini della verifica della decisività della censura, le eventuali argomentazioni che, sottoposte all’attenzione del giudicante, avrebbero verosimilmente inciso in termini apprezzabili sui contenuti della decisione;

con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale illegittimamente negato il riconoscimento della protezione sussidiaria in favore del richiedente, trascurando l’esame della relativa specifica condizione personale, con particolare riguardo alle precarie condizioni di sicurezza del paese di provenienza e della inidoneità delle relative istituzioni a garantire la protezione delle dei diritti dei singoli;

il motivo è infondato;

osserva al riguardo il Collegio come, rispetto alla valutazione in questa sede censurata dal ricorrente, con riferimento alle ipotesi di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), assuma valore dirimente la circostanza, sottolineata dalla corte territoriale, della sostanziale inattendibilità del racconto di vita dell’odierno ricorrente, ciò che esclude in radice la stessa configurabilità dei presupposti per il riconoscimento delle richiamate ipotesi di protezione sussidiaria, attesa la decisiva incidenza, a tali fini, della positiva dimostrazione (nella specie mancata) del concreto riscontro delle circostanze concernenti le vicende strettamente individuali del richiedente;

quanto, invece, al rivendicato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), varrà considerare come, nel caso di specie, la corte territoriale abbia correttamente provveduto ad attivare i propri doveri di cooperazione istruttoria attraverso l’estensione della propria cognizione alle informazioni sul paese di origine dell’odierno ricorrente, dando ampiamente conto delle fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa l’insussistenza, nei territori di provenienza del ricorrente, delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione, riferendosi a fonti di informazioni specifiche e adeguatamente aggiornate, dalle quali ha tratto la conclusione dell’impossibilità di riconoscere, nella regione di provenienza del ricorrente, i presupposti per il riconoscimento della protezione dallo stesso rivendicata, nonchè situazioni di violenza generalizzata nel quadro di conflitti armati interni, a nulla rilevando le alternative fonti segnalate dai ricorrente, trattandosi di informazioni talora generiche, talaltra inidonee a fornire, con carattere di decisività, adeguata contezza degli specifici presupposti oggettivi legittimanti il riconoscimento della protezione invocata, in contrasto con i contenuti informativi privilegiati dalle scelte probatorie (legittimamente) operate dal giudice d’appello nell’esercizio dei propri poteri di apprezzamento discrezionale delle fonti istruttorie;

con il secondo e il quarto motivo, i ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale erroneamente negato i riconoscimento, in favore dello stesso, della c.d. protezione umanitaria, senza tener conto della documentazione specificamente richiamata in ricorso ai fini della corretta ricostruzione dello stato di integrazione nel tessuto socio-economico italiano, nonchè delle gravi condizioni di insicurezza nei territori del proprio paese di provenienza, con specifico riferimento alla tutela dei diritti fondamentali della persona;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono fondati;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);

nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, ai di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

in particolare, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, spetterà al giudice coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e ai grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc.;

in questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi in termini obiettivi) non potrà mai tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale, dovendo sempre e comunque declinarsi, quelle generali condizioni, con il riflesso che le stesse sono destinate ad assumere con riguardo alla storia di vita (alla “biografia”) del richiedente;

a sua volta, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio, necessariamente chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica “vulnerabilità”) non potrà mai consistere nell’astratta ricapitolazione del contenuto oggettivo (vorrebbe dirsi meramente “quantitativo”) di tale nucleo, bensì nella verifica del grado di aggressione (“qualitativa”) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02; e Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020);

proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese;

nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità;

ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174-01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato la generale non attendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente, si è tuttavia inammissibilmente limitato ad affermare, in termini meramente apodittici, l’insussistenza di effettive condizioni di vulnerabilità o di potenziale compromissione dei diritti fondamentali ascrivibili al ricorrente, trascurando di approfondire e circostanziare tali ultimi rilievi (segnatamente alla luce delle gravi criticità messe in evidenza dalla stessa corte territoriale con riguardo al rispetto dei diritti umani in Bangladesh), e omettendo di procedere a una concreta comparazione tra la situazione di integrazione del ricorrente nel tessuto socio-economico italiano e la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente, con particolare riguardo alla tutela dei diritti fondamentali della persona, oltre che di individuare le specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni così genericamente assunte;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – ai di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. “minimo costituzionale”;

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del secondo e del quarto motivo (disattesi i restanti), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui è altresì che rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il secondo e il quarto motivo; rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui è altresì che rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

 

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