Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23295 del 05/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 05/10/2017, (ud. 06/07/2017, dep.05/10/2017),  n. 23295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21250/2016 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO,

70, presso lo studio dell’avvocato ELISA CACCIATO INSILLA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.F., L.O., elettivamente domiciliate in ROMA,

PIAZZALE CLODIO 18, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PETRILLO,

che le rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

SANT’ANDREA FINANZIARIA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5588/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 06/07/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la risoluzione, per morosità della conduttrice B.R., di un contratto di locazione stipulato con S.G. in relazione ad un immobile da adibire a attività di vitto e alloggio per anziani;

la Corte ha accertato che “la dichiarazione di regolarità dell’immobile con le norme edilizie e urbanistiche – resa dal sig. S. ed espressamente inserita nel contratto di locazione- corrispondeva a verità” e che era stata la B. che, dopo essersi attivata per apportare le modifiche strutturali necessarie per lo svolgimento dell’attività, non aveva inteso procedere oltre nella regolarizzazione, tramite sanatoria, di una difformità tra lo “stato attuale” descritto nell’elaborato allegato alla D.I.A. e quanto riportato nel progetto approvato dal Comune di Velletri: ha pertanto escluso che l’immobile presentasse “vizi tali da alterarne l’integrità materiale in modo tale da impedirne in assoluto il godimento secondo la destinazione contrattuale”, concludendo che non era “ravvisabile alcun inadempimento da parte del locatore, al quale non (potevano) essere addebitate le difficoltà incontrate dalla conduttrice per il rilascio delle autorizzazioni e l’esecuzione delle opere” e che risultava, viceversa, integrato un ingiustificato inadempimento della conduttrice in relazione al pagamento dei canoni;

ha proposto ricorso per cassazione la B., affidandosi a tre motivi; hanno resistito S.F. e L.O., eredi di S.G..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

il primo motivo -che denuncia la violazione dell’art. 1575 c.c., nn. 2 e 3 e dell’art. 1578 c.c. – è inammissibile in quanto non individua specifici errores iuris, ma postula genericamente la violazione delle norme indicate in rubrica sul presupposto di una valutazione in fatto opposta a quella effettuata dalla Corte in punto di non imputabilità al locatore delle irregolarità urbanistiche;

il secondo motivo (“violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’artt. 115 c.p.c., comma 1, ed all’art. 116 c.p.c., per omessa o errata valutazione delle risultanze della c.t.u.”) è inammissibile in quanto lamenta che il giudice di appello non abbia considerato alcune risultanze della c.t.u. senza tuttavia fornire elementi sufficienti a consentire di apprezzarne la decisività, ossia l’idoneità a ribaltare la conclusione della Corte circa l’insussistenza di vizi dell’immobile tali da impedirne “in assoluto il godimento secondo la destinazione contrattuale”;

col terzo motivo (“violazione dell’art. 1593 c.c.”), la ricorrente censura la sentenza per aver affermato che non era stata esperita un’apposita azione ex art. 1593 c.c.e rileva che non è esclusa “la possibilità che detta domanda venga proposta in via riconvenzionale, come è avvenuto nel caso di specie”;

la censura è inammissibile in quanto “eccentrica” rispetto alla ratio decidendi, che non ha escluso la possibilità che la domanda venga proposta in via riconvenzionale, ma ha negato in radice che fosse stata proposta una domanda in punto di indennizzo per addizioni;

le spese di lite seguono la soccombenza;

trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2017

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