Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23293 del 09/11/2011

Cassazione civile sez. III, 09/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 09/11/2011), n.23293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

EUROPEA EDIZIONI SPA (OMISSIS), F.V.

(OMISSIS), FA.AD. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 21,

presso lo studio dell’avvocato LO GIUDICE VINCENZO, che li

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

P.T. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato VALENZA DINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GUALTIERI PIERO giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2235/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/07/2008; R.G.N. 2733/C/2006.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2011 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato MAURO GUALTIERI x delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il tribunale di Milano, pronunciando sulla domanda di risarcimento danni proposta da P.T. nei confronti della Società Europea di Edizioni (in persona del suo legale rappresentante, F.V.) e di Fa.Ad., accolse la domanda, ritenendo provata la natura gravemente diffamatoria di alcuni articoli pubblicati sul quotidiano “Il Giornale” che descrivevano il P. come soggetto colluso con esponenti della malavita russa, ai quali, nella veste di presidente della società che gestiva lo scalo aeroportuale di Rimini, avrebbe accordato secondo le ricostruzioni giornalistiche – reiterati quanto illeciti favoritismi.

La corte di appello di Milano, investita dei gravami proposti hic et hinde dalle parti, li rigettò entrambi. La sentenza è stata impugnata dalla Società Europea e da Fa.Ad. con ricorso per cassazione articolato in 4 motivi.

Resiste con controricorso P.T..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 5) per difetto assoluto di motivazione; omessa, insufficiente motivazione con riferimento ai motivi di appello.

Il motivo viene sintetizzato attraverso il seguente quesito:

E’ la sentenza impugnata nulla per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per il giudizio ovvero per errore e/o falsa applicazione delle esimenti del diritto di critica giornalistica di cui all’art. 51 c.p. agli articoli oggetto di giudizio? Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 21 Cost., degli artt. 595 e 51 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (violazione e falsa applicazione di norme di diritto).

E’ formulato, a chiusura dell’esposizione del motivo, il quesito di diritto che segue:

E’ nulla la sentenza impugnata per avere i giudici di merito erroneamente e contraddittoriamente ritenuto come presupposto imprescindibile della sussistenza dell’esimente del diritto di critica giornalistica la verità sostanziale della notizia pubblicata, vale a dire la rigorosa correlazione tra il fatto accaduto, giudizialmente accertato in via definitiva e la notizia pubblicata e non anche il solo nucleo essenziale di essa? Entrambi i motivi risultano inammissibili in conseguenza della patente inammissibilità dei quesiti che li sorreggono.

Premesso che l’inammissibilità del primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (e non anche del precedente n. 4), deriverebbe anche dalla mancata sintesi del fatto decisivo denunciato come erroneamente interpretato dalla corte territoriale, va in argomento rammentato come questa corte regolatrice abbia ripetutamente avuto modo di specificare, con riguardo agli aspetti morfologici e funzionali del quesito di diritto in punto di relativa ammissibilità, che il quesito stesso deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria (e non, come nella specie, frammentata o frazionata) della questione, onde consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea (come nella specie) a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), mentre è stato ulteriormente precisato (Cass. 19-2-2009, n. 4044) che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di inerito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto; non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare (quale quelli di specie), che già presuppone la risposta, ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice. La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta (indicazione che, nella formulazione dei quesiti che si esamina, manca del tutto), poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione, onde (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (ancora una volta, come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.

Con il terzo motivo, si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 21 Cost., degli artt. 595 e 51 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia). La censura è inammissibile. Per un duplice, concorrente motivo.

Da un canto, difatti, esso, pur denunciando un vizio assoluto di motivazione ai sensi e per gli effetti del (solo) art. 360 c.p.c., n. 5, omette del tutto la chiara indicazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio inteso in guisa di indefettibile momento di sintesi della doglianza, sintesi necessaria per l’esame del denunciato difetto motivazionale da parte della giudice di legittimità, giusta un recente insegnamento delle sezioni unite di questa corte, che hanno specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del sintagma “chiara indicazione del fatto controverso” in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: la relativa censura deve contenere, cioè, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Simmetricamente alla ipotesi presa in esame dalle sezioni unite, anche nel presente caso, pur volendo ricondurre i quesiti che concludono l’esplicazione del motivo (attraverso una sorta di procedimento ermeneutico in bonam partem di conversione formale della articolazione finale dei quesiti in enunciazione della sintesi espositiva) nell’alveo della indicazione del fatto controverso, essi risultano purtuttavia non correttamente formulati in quanto la contraddittorietà imputata alla motivazione riguarda punti diversi della decisione non sempre collegabili tra di loro e comunque non collegati dal ricorrente secondo un iter argomentativo di tipo multiplo e totalmente disaggregato. Con il quarto motivo, si denuncia nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 5) per difetto assoluto di motivazione; omessa, insufficiente motivazione con riferimento alla liquidazione dei danni in via equitativa operata dal giudice di prime cure.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

E’ la sentenza impugnata nulla per aver erroneamente considerato la sussistenza e l’entità del danno, per aver omesso di indicare sulle basi di quali allegazioni e/o deduzioni è stata considerata esistente tale danno e, in ogni caso, per avere erroneamente applicato i principi di diritto in materia di liquidazione del danno? La doglianza non può essere accolta.

Pur volendone superare i non marginali profili di inammissibilità (conseguenti alle considerazioni già esposte nel corso dell’esame dei motivi che precedono, a tacere dell’improprio riferimento, nell’intestazione del motivo, alla liquidazione operata “dal giudice di prime cure” – attesane la totale irrilevanza a fini impugnatori in sede di legittimità – ed a tacere ancora della palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non risultando punto evidenziato – attraverso la riproduzione del necessario contenuto rilevante in parte qua – in quale atto del giudizio di appello la questione della erroneità della liquidazione sia stata tempestivamente sollevata e illegittimamente disattesa), essa risulta totalmente infondata nel merito, avendo la corte territoriale, con analitica, esauriente e approfondita motivazione, ricostruito il contenuto di ciascun singolo articolo, enucleando, tra essi, quelli ritenuti gravemente lesivi della reputazione dell’attore, onde la conseguente, predicata risarcibilità del relativo danno non patrimoniale non può dirsi conseguenza di una identificazione tout court dell’evento in una vicenda di danno in re ipsa, bensì frutto di una concreta ed espressa valutazione del contenuto lesivo di diritti inviolabili della persona, come più volte affermato, in subiecta materia, da questo giudice di legittimità anche a sezioni unite e dalla stessa Corte costituzionale.

In ordine al quantum debeatur, nessuna ulteriore motivazione andava fornita dal giudice di appello che ha, in proposito, recepito e fatto proprio il dictum del primo giudice, confermando la natura esclusivamente equitativa della pretesa risarcitoria, con evidente e condivisibile riguardo al numero degli articoli, alla rilevanza pubblica della persona del danneggiato, alla gravita dei comportamenti a lui falsamente attribuiti, all’obbiettivo ambito di diffusione del quotidiano, alla risonanza delle notizie diffuse, elementi, ex se cohaerentibus, integranti un compiuto iter motivazionale che, orbitando interamente nella sfera del merito della causa, e risultando del tutto scevro da vizi logico-giuridici, esula del tutto dai poteri di scrutinio e di censura di questo giudice di legittimità. Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue, giusta il principio della soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 5200,00, di cui 200,00 per spese.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2011

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