Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23292 del 09/11/2011

Cassazione civile sez. III, 09/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 09/11/2011), n.23292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE G. MAZZINI 140, presso lo studio dell’avvocato VITALE

FORTUNATO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO NAZIONALE ORDINE GIORNALISTI (OMISSIS), CONSIGLIO

ORDINE GIORNALISTI LAZIO;

– Intimati –

Nonchè da:

CONSIGLIO NAZIONALE ORDINE GIORNALISTI (OMISSIS), in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore D.B.L.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio

dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PARPAGLIONI MARA;

– ricorrente incidentale –

e contro

CONSIGLIO ORDINE GIORNALISTI LAZIO, M.M.

(OMISSIS);

– intintati –

avverso la sentenza n. 3127/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/07/2008; R.G.N. 52507/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2011 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato MAURIZIO CECCONI per delega Avvocato FORTUNATO

VITALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto ricorso principale;

inammissibilità ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.M. convenne in giudizio dinanzi al tribunale di Roma il Consiglio dell’ordine dei giornalisti del Lazio e il Consiglio nazionale del medesimo ordine, esponendo di essere stato sottoposto a procedimento disciplinare (conclusosi con la irrogazione, nei suoi confronti, della sanzione della sospensione dall’attività giornalistica della durata di due mesi) per aver partecipato ad uno spot pubblicitario trasmesso da un’emittente radiofonica i cui proventi erano stati da lui devoluti in beneficenza. Il giudice capitolino respinse la domanda di revoca della sanzione.

La corte di appello di Roma, investita del gravame proposto dal M., lo rigettò (pur avendo dichiarato, in dispositivo, l’improcedibilità dell’azione disciplinare per effetto di un patente lapsus calami poi corretto, a seguito di instaurazione della procedura di rito, con ordinanza 29.10.2009).

La sentenza è stata impugnata da M.M. con ricorso per cassazione articolato in 3 motivi. Resiste con controricorso, corredato da ricorso incidentale, il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, che, con la memoria, ha peraltro dichiarato di rinunciare al motivo di ricorso incidentale per sopravvenuta carenza di interesse.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia omessa e/o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5.

Il motivo si conclude con il seguente quesito, posto in guisa di sintesi espositiva dei fatti decisivi esposti al folio 8 del ricorso:

Accerti la corte se: 1) vi sia stata omessa motivazione sui motivi logico-giuridici che hanno condotto alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione disciplinare nei confronti del sig. M.M.; in particolare, dica la S.C: se il procedimento disciplinare per cui è causa sia stato avviato con la contestazione di alcuni comportamenti tenuti dal sig. M. e si sia concluso con una sanzione diretta a punire fatti mai contestati e/o comunque successivi alla contestazione medesima, con conseguente improcedibilità dell’azione disciplinare; 2) se vi sia un contrasto tra la motivazione e il dispositivo della sentenza della corte di appello di Roma, tale da integrare un vizio di contraddittoria motivazione. Enunci, in ogni caso, il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.

Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Inammissibile si rivela la censura nella parte in cui nessun contrasto tra motivazione e dispositivo della pronuncia oggi impugnata appare legittimamente predicabile, alla stregua dell’avvenuta correzione dell’errore materiale di cui è cenno in narrativa;

infondata appare la doglianza nella misura in cui, pur lamentando – non erroneamente, in astratto – un malgoverno dei propri poteri censori quoad poenam da parte del consiglio dell’ordine (illegittimo essendo a dirsi ogni aggravamento di pena fondato sulla libera quanto incensurabile scelta dell’incolpato di non presenziare al procedimento a suo carico), essa non può comunque condurre all’auspicata cassazione della sentenza essendo stata, nella specie, irrogata al ricorrente la sanzione disciplinare nella sua misura minima.

Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Questo il quesito di diritto formulato a conclusione dell’esposizione della doglianza:

Accerti la corte se: 1) vi sia stata violazione dell’art. 3 della Carta costituzionale relativamente alla sanzione sospensiva inflitta al sig. M. in riferimento anche ai casi analoghi decisi in maniera difforme rilevati nel presente atto; 2) vi sia stata violazione delle norme civilistiche vigenti relative alla contumacia ex art. 290 c.p.c. relativamente alla valutazione della mancata presentazione del sig. M. dinanzi al consiglio dell’ordine;

enunci, in entrambi i casi, il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.

Il motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia un preteso vizio di nullità della sentenza in relazione ad accertamenti esclusivamente di fatto, come tali incensurabili in questa sede (nè coglie nel segno la denunciata violazione dell’art. 3 della Carta fondamentale, che risulterebbe invero predicabile, vere le doglianze del ricorrente, in ogni ipotesi di difformità diacronica di giudizio in relazione a casi analoghi, eventualità, questa, da ritenersi, viceversa, del tutto fisiologica sul piano sistemico nella dimensione del processo) , mentre è infondato quanto alla contestazione della asserita rilevanza della contumacia del ricorrente per le ragioni già esposte in sede di analisi della censura che precede. Con il terzo motivo, si denuncia nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. accerti la corte se: 1) vi sia stata violazione dell’art. 112 c.p.c. e, segnatamente, se sia stato violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato in riferimento alla omessa pronuncia della corte di appello di Roma in ordine alla carente motivazione, in riferimento alle doglianze rilevate nel presente punto, della sentenza 1 marzo 2006; enunci, in entrambi i casi, il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.

Il motivo (premesso che, con esso, viene esposto soltanto “un” caso, nonostante si chieda a questo giudice l’enunciazione di un duplice principio di diritto “per entrambi i casi”) è, prima ancora che del tutto infondato nel merito (avendo la sentenza impugnata motivato in modo completo, esaustivo ed immune da vizi logico-giuridici quali quelli denunciati con la censura che si esamina) inammissibile in rito, sì come inammissibile risulta il quesito di diritto sopra riportato per assoluta carenza dei requisiti essenziali richiesti da questa corte, con giurisprudenza ormai consolidata, quanto a forma e contenuto dei medesimi così come formulati a chiusura dell’esposizione di ciascuno dei motivi.

Questo giudice di legittimità ha già avuto modo di affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica unitaria (e non, come nella specie, frammentata o frazionata attraverso il duplice riferimento alle sentenze di primo e secondo grado) della questione, onde consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197). Ed è stato ulteriormente precisato (Cass. 19-2-2009, n. 4044) che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto; non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice.

La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione, onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, senza peraltro, che, dal quesito, sia possibile inferire il vizio di legge denunciato atteso il richiamo per relationem ad una pronuncia della quale non si indica punto il contenuto rilevante in parte qua. Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese – che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate – segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2011

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