Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23291 del 23/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2020, (ud. 22/07/2020, dep. 23/10/2020), n.23291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 18177-2019 proposto da:

S.M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANGELO RUSSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

13/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa Vella

Paola.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Bologna ha negato la protezione internazionale o umanitaria invocata dal signor S.M.L., nato in Gambia il (OMISSIS), il quale aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese nel 2015 in quanto la moglie – dalla quale è separato e con la quale vivono i loro tre figli, senza che egli abbia più alcun legame con la famiglia di origine – lo aveva denunziato alla polizia (NIA) come vero responsabile della falsificazione di denaro per cui egli stesso aveva fatto arrestare un cliente del proprio negozio di telefonia, che gli aveva dato soldi falsi; solo grazie all’intervento di una ricca e potente signora della sua città egli sarebbe riuscito a sottrarsi alle torture ripetutamente inflittegli in caserma dalla polizia, con scariche elettriche. A seguito di una breve esperienza negativa in Libia (“dopo aver preso lo stipendio mi catturavano facendomi salire a forza su un’auto, mi picchiavano e mi prendevano i soldi”), era approdato in Italia, temendo, in caso di rientro in Patria, di essere nuovamente arrestato.

Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

A seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), poichè la relativa protezione sussidiaria sarebbe stata negata senza considerare la “situazione di incertezza” del Gambia, “caratterizzata dagli sforzi finalizzati al ripristino della legalità, all’adozione di misure di tutela sociale ed alla rimozione delle più significative violazioni dei diritti umani imputabili al precedente regime di governo”, in attesa della sua “definitiva stabilizzazione”.

1.2. Il secondo mezzo prospetta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, anche in relazione all’art. 10 Cost., comma 3, per non avere il tribunale tenuto conto della “grave situazione economica che colpisce gran parte della popolazione del Gambia (…) caratterizzato da gravi e oggettive condizioni di difficoltà economiche, di diffusa povertà e di limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona, tra cui il diritto alla alimentazione e alla salute”, come si evince dagli allarmanti dati “raccolti nell’anno 2014 dal Fondo Monetario Internazionale sul prodotto interno lodo pro capite in Gambia”, ritenuto “uno dei paesi più piccoli e poveri del continente africano”, tali da consentire di “affermare inequivocabilmente che le condizioni di vita del ricorrente nel proprio Paese di origine sarebbero del tutto inadeguate, non raggiungendo la soglia minima per una sussistenza dignitosa”.

2. Con riguardo al primo motivo, il Collegio condivide i rilievi di inammissibilità segnalati nella proposta ex art. 380-bis c.p.c., poichè, a fronte di un’esclusione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), ampiamente motivata dal tribunale, sulla scorta di C.O.I. tratte da plurime fonti qualificate, aggiornate a marzo 2019, il motivo appare generico e in realtà orientato, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U, 34476/2019).

3. Il secondo motivo sulla cd. protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) – merita invece, ad avviso del Collegio, un approfondimento in pubblica udienza.

3.1. Nel decreto impugnato si legge che “non sono emerse – anche in ragione della inattendibilità (Cass. 1982012018) in generale delle dichiarazioni del ricorrente, in ragione dei profili di genericità ed incoerenza” dei fatti narrati, “situazioni di peculiare vulnerabilità del ricorrente”, poichè questi “in Gambia ha comunque tre figli” (conviventi con la moglie separata), “mentre la circostanza che il ricorrente abbia ottenuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato (con lettera di apprezzamento del datore di lavoro) e svolto delle attività sociali – pur certamente meritevole – non è di per sè tale da evidenziare un radicamento del ricorrente sul territorio, ostativo al suo rientro in patria, nè da consentire di ritenere integrati quei seri motivi di carattere umanitario che possono fondare il riconoscimento della forma di protezione (sia pure residuale) in esame”.

3.2. Merita altresì sottolineare come il tribunale abbia negato la protezione sussidiaria poichè, in base alle più recenti fonti disponibili (si vedano le plurime C.O.I. riportate da pag. 7 a pag. 10 del decreto), “vi sono tutti i presupposti perchè la situazione del paese d’origine si evolva positivamente sia dal punto di vista del rispetto delle regole democratiche e dei diritti umani, sia dal punto di vista economico”, emergendo anche dall’Annual report on human rights in 2018 del 13 marzo 2019 “un quadro indicativo di un processo di miglioramento”. Si è dunque al cospetto di un giudizio prognostico favorevole che, sia pure espressamente finalizzato al diniego di tutela sussidiaria, nel prospettare come verosimile il superamento – in futuro – delle condizioni di povertà e compromissione dei diritti umani nel Gambia, ne attesta implicitamente l’attualità, senza tuttavia che questo aspetto venga preso in esame ai diversi fini dell’ulteriore forma di protezione residuale invocata.

4. Orbene, così come formulata, la decisione sul punto in disamina appare per certi versi tautologica, e risulta comunque mancante di una completa valutazione delle condizioni stabilite dalla legge per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, alla luce della lettura nomofilattica del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, quale si è andata progressivamente uniformando e consolidando, nel panorama giurisprudenziale, a partire dall’indirizzo inaugurato da Cass. 4455/2018, che ha di recente trovato l’avallo dal più autorevole consesso di questa Corte (Cass. Sez. U, 29459/2019).

4.1. In particolare, difetta un appropriato giudizio comparativo sulla correlazione tra il grado d’integrazione pacificamente raggiunto in Italia (contratto di lavoro a tempo indeterminato; plurime attività di volontariato nei vari luoghi di aggregazione sociale, culturale, spirituale e sanitaria; manifestazioni di apprezzamento nel luogo di lavoro) e le oggettive condizioni di vita nel Paese d’origine. Il giudizio espresso dal tribunale si fonda infatti su dati inconferenti, quali l’inattendibilità soggettiva del ricorrente e la presenza in Gambia di tre figli, che incontestatamente vivono con la moglie, da cui egli è separato.

5. Al riguardo va subito chiarito che il difetto di credibilità non rileva nella valutazione, all’attualità, delle condizioni di riconoscimento dei presupposti della protezione umanitaria, specie se la domanda si fondi sulla condizione di vulnerabilità scaturente dalla comparazione tra il grado d’integrazione conseguito e la situazione oggettiva di mancato rispetto del nucleo essenziale e ineliminabile dei diritti umani.

5.1. Invero, il precedente citato dal tribunale (Cass. 19820/2018) risulta superato dal prevalente orientamento di questa Corte per cui, “in tema di protezione internazionale, il difetto d’intrinseca credibilità sulla vicenda individuale e sulle deduzioni ed allegazioni relative al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, non estende i suoi getti anche sulla domanda riguardante il permesso umanitario, poichè essa è assoggettata ad oneri deduttivi ed allegativi in parte diversi, che richiedono un esame autonomo delle condizioni di vulnerabilità, dovendo il giudice attivare anche su tale domanda, ove non genericamente proposta, il proprio dovere di cooperazione istruttoria” (Cass. 7985/2020, di cassazione con rinvio della pronuncia del tribunale che aveva ritenuto assorbente il difetto di credibilità della narrazione del richiedente in ordine alle protezioni maggiori, omettendo tuttavia di verificare, in un caso in cui era stato allegato un certo grado di integrazione sociale e lavorativa, se la situazione generale del Paese di provenienza non pregiudicasse il nucleo essenziale dei diritti umani inviolabili; conf. Cass. 8020/2020, 2960/2020, 2956/2020, 10922/2019).

6. Esclusa dunque, nel caso di specie, la rilevanza del giudizio di scarsa credibilità, il giudice è chiamato a verificare – alla luce della scarna ed essenziale base normativa costituita dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (che fa riferimento a “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”) – l’esistenza di seri motivi che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale, anche esercitando i poteri istruttori ufficiosi a lui conferiti, purchè il richiedente abbia indicato i fatti costitutivi del diritto azionato, fornendo elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 13573/2020).

6.1. L’attuale diritto vivente richiede infatti che la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria sia ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio (Cass. 9304/2020), senza che possano tipizzarsi le categorie soggettive meritevoli di una tutela che è atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (Cass. 13079/2019, 13096/2019; cfr. Cass. 23778/2019, 1040/2020).

6.2. La ratio della protezione umanitaria è dunque quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona, e al contempo di essere posti nella condizione di integrarsi nel paese ospitante anche attraverso un’attività lavorativa (Cass. 2558/2020). A tal fine, il giudice deve valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili, considerando globalmente e unitariamente i singoli elementi fattuali accertati, non già in maniera atomistica e frammentata (Cass. 7599/2020, che ha cassato con rinvio il provvedimento con cui la domanda di protezione dello straniero era stata rigettata “sena considerare unitariamente tutte le circostanze che avevano determinato l’abbandono del paese di origine, ivi comprese le sue condizioni di salute ed il percorso di integrazione seguito”).

6.3. Le stesse Sezioni Unite citate (Cass. Sez. U, 29459/2019), dopo aver sottolineato la necessità di collegare la norma che prevede la protezione umanitaria ai diritti fondamentali che l’alimentano – tenuto conto che il concetto di dignità umana non è statico e che “gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino la possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali” – hanno confermato il rilievo centrale della valutazione comparativa tra il grado di integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese d’origine, proprio al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani “al disotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale” (e ciò pur precisando che il livello di integrazione non va considerato “isolatamente e astrattamente” e che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere affermato solo “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato nel paese di provenienza”).

7. In questa prospettiva, occorre dunque determinare fino a che punto le condizioni di estrema povertà o indigenza del richiedente si inscrivano nel “nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, essendosi per un verso affermato che non sarebbe “ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 3681/2019), per altro verso ritenuto “che possa esser considerata in sè vulnerabile, in senso oggettivo, la persona che, per fame, in patria si trovi costretta a vivere in condizioni assolutamente incompatibili coi limiti propri della dignità umana” (Cass. 9158/2020).

7.1. E’ poi necessario precisare l’ambito del “grado di integrazione effettiva nel nostro paese” – che in tesi dovrebbe essere massimo a fronte di una relativa stabilità dell’attività lavorativa e congruità della sistemazione abitativa, accompagnate da un concreto radicamento nel tessuto sociale di riferimento – e valorizzarne la portata in relazione alla “privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani fondamentali” che il rimpatrio potrebbe comportare, apparendo innegabile che un ulteriore e speculare “sradicamento” dell’individuo possa integrare una condizione di vulnerabilità.

7.2. Infine, una volta affermata la necessità di un esame comparativo tra il livello di integrazione concretamente raggiunto nel paese di accoglienza e il grado di compromissione dei diritti fondamentali nel paese di origine (o, a certe condizioni, di quello provenienza), occorre meglio perimetrare il criterio della “valutazione comparativa attenuata” di recente emerso in alcune pronunce (cfr. Cass. 1104/2020, 11912/2020), declinabile sia nel senso che, quanto più quel grado di lesione dei diritti umani appaia inemendabile, tanto più debba essere valorizzata l’integrazione comunque raggiunta, sia – e specularmente – nel senso che, quanto più quel livello di integrazione risulti significativo, tanto più esso debba incidere rispetto alla rilevanza del grado di compromissione dei diritti umani registrato.

8. Alla luce delle esposte considerazioni, sottese al secondo motivo in tema di protezione umanitaria, il Collegio ritiene che non sussistano le condizioni per una decisione camerale ex art. 380-bis c.p.c., dovendosi rimettere la causa alla pubblica udienza della Prima Sezione civile ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 (come novellato dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, art. 1-bis).

P.Q.M.

Rimette la causa alla pubblica udienza della Prima Sezione civile e dispone rinvio a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020

 

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