Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23290 del 23/08/2021

Cassazione civile sez. II, 23/08/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 23/08/2021), n.23290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26571 – 2019 R.G. proposto da:

K.N.J., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Ancona, al corso Mazzini, n.

100, presso lo studio dell’avvocato Marco Giorgetti che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 9944/2019 del Tribunale di Ancona;

udita la relazione nella camera di consiglio del 15 dicembre 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. K.N.J., cittadino del (OMISSIS), formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che in data 2.3.1981 aveva partecipato al dirottamento dell’aereo (OMISSIS) della “Pakistan International Airlines” su iniziativa del “(OMISSIS)” (“(OMISSIS)”), cui all’epoca aderivano il “(OMISSIS)” (“(OMISSIS)”) ed il movimento studentesco “(OMISSIS)”; che il dirottamento era stato eseguito al fine di ottenere la liberazione di 54 prigionieri politici arrestati in seguito alla conquista del potere, nel 1977, da parte del generale Z.U.H..

Esponeva che a seguito del dirottamento aveva dapprima raggiunto l’Afghanistan – luogo del dirottamento – poi si era trasferito in Siria e dalla Siria aveva fatto ritorno in Afghanistan; che nel 1984 si era stabilito in Libia, ove, nel 1991, era stato arrestato e trattenuto in carcere fino al 1998; che nell’agosto del 2016, a motivo della violenza dilagante nel paese nordafricano, aveva lasciato la Libia e raggiunto l’Italia.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, respinta ogni ulteriore istanza, accoglieva la domanda – formulata in estremo subordine – di protezione umanitaria.

3. Con decreto n. 9944/2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da K.N.J. avverso il provvedimento della commissione territoriale e confermava la già accordata protezione umanitaria.

Evidenziava il tribunale che le dichiarazioni del ricorrente, circostanziate ed immuni da contraddizioni, erano da reputar appieno credibili, tanto più che la vicenda rinveniva riscontro nelle fonti internazionali.

Evidenziava nondimeno che al riconoscimento dello status di rifugiato ostava la clausola di esclusione di cui all’art. 1F della Convenzione di Ginevra; che segnatamente nelle linee-guida sulla protezione internazionale, predisposte dall'”UNHCR” e dedicate all’applicazione delle cause di esclusione della protezione, è specificato che le azioni di dirottamento sono da qualificare come “crimini gravi” ai sensi della lett. b) dell’art. 1F della Convenzione.

Evidenziava altresì che, quantunque “la più convincente delle circostanze può giustificare la non esclusione” (rectius, può giustificare comunque il riconoscimento dello status di rifugiato), tuttavia l’operatività della causa di esclusione (rectius, tuttavia il disconoscimento) dello status di rifugiato si legittimava nella fattispecie.

Evidenziava segnatamente che il dirottamento dell’aereo aveva cagionato la morte di un diplomatico e d’altro canto la gravità del fatto, con esposizione a rischio di un elevato numero di persone, rendeva irrilevante la circostanza che fossero trascorsi molti anni dall’evento; che al contempo l’organizzazione responsabile del dirottamento ed alla quale il ricorrente aveva aderito, era stata considerata dagli osservatori internazionali come un gruppo terroristico.

Evidenziava inoltre che il ricorrente aveva contribuito alla commissione di un reato grave ed all’omicidio che ne era conseguito; che siffatta circostanza ostava al riconoscimento pur della protezione sussidiaria, protezione quest’ultima da negare non solo agli autori materiali di un reato ma anche a coloro che a qualunque titolo vi concorrono.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso K.N.J.; ne ha chiesto sulla base di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

5. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 1F della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, art. 16, comma 2 e art. 17; il vizio della motivazione, l’apparenza della motivazione.

Deduce che ha errato il tribunale ad applicare la clausola di esclusione.

Deduce in particolare che la clausola di esclusione del riconoscimento dello status di rifugiato di cui all’art. 1F, lett. b) della Convenzione di Ginevra si riferisce ad “un crimine grave di diritto comune”, laddove nel caso di specie si è al cospetto di un delitto politico ovvero di un delitto finalizzato ad ottenere la liberazione di prigionieri politici.

Deduce quindi che si è al cospetto di una “più convincente circostanza” atta a giustificare la non operatività della causa di esclusione del riconoscimento dello status di rifugiato; che del resto i 54 prigionieri politici, se non fossero stati liberati a seguito del dirottamento aereo, sarebbero stati senz’altro giustiziati dal regime dittatoriale del generale Z.U.H..

6. Il motivo di ricorso è destituito di fondamento e va respinto.

7. Il vizio di motivazione “apparente” ricorre quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16762; Cass. 24.2.1995, n. 2114).

Viceversa l’impugnato dictum dà compiutamente conto – lo si è anticipato – dell’iter logico seguito e sulla cui scorta si è addivenuti a denegare al ricorrente lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria.

Non sussiste perciò il denunciato vizio di motivazione “apparente”.

8. L’interpretazione patrocinata dal Tribunale di Ancona è ineccepibile.

Ovvero sono ineccepibili sia la riconduzione della fattispecie alla causa di esclusione di cui all’art. 1F, lett. b della Convenzione di Ginevra (“Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone, di cui vi sia serio motivo di sospettare che: (…); b) hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori del paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati; (…)”. Ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 10, comma 2 “lo straniero è altresì escluso dallo status di rifugiato ove sussistono fondati motivi per ritenere: (…) b) che abbia commesso al di fuori del territorio italiano, prima di esservi ammesso in qualità di richiedente, un reato grave ovvero che abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possano essere classificati quali reati gravi. La gravità del reato è valutata anche tenendo conto della pena prevista dalla legge italiana per il reato non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni”. Ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 10, comma 3 “il comma 2 si applica anche alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esso previsti”) sia l’affermata inconfigurabilità, nel caso de quo, di una “circostanza convincente”, atta a giustificare la non operatività della causa di esclusione (ex lett. b) dell’art. 1F) ed a rendere così possibile il riconoscimento dello status di rifugiato.

9. Il rilievo per cui il dirottamento ebbe a cagionare la morte di una persona verosimilmente inerme, nella specie di un diplomatico, connota indubitabilmente come “grave” e “crudele” il delitto cui K.N.J. ebbe a prendere parte ed a concorrere, e riveste una valenza esaustiva e concludente, per nulla azzerata o attenuata dalla circostanza – per nulla “convincente” – per cui il dirottamento ebbe in pari tempo a sortire la liberazione di un cospicuo numero di prigionieri politici.

La soppressione della vita non legittima e nega in radice qualsivoglia connotazione, proiezione e finalità politica: la salvaguardia della vita è causa e fine dell’azione politica.

E tanto, ben vero, nel segno del principio “personalista”, irrinunciabile principio ispiratore della Costituzione del �48, alla cui stregua – si è scritto – non è “l’uomo in funzione dello Stato ma quest’ultimo in funzione dell’uomo”.

10. Innegabilmente le ulteriori prospettazioni veicolate dall’esperito motivo – la morte del diplomatico avvenuta nel corso del dirottamento è da ascrivere unicamente al capo della spedizione, nei cui confronti il ricorrente versava in stato di assoluta soggezione e non era in condizioni di ribellarsi (cfr. ricorso, pag. 7); dall’epoca del dirottamento aereo sono trascorsi ben 38 anni e l’azione delittuosa è stata già “pagata” con l’esilio e poi con la carcerazione sofferta in Libia – sollecitano questa Corte a valutare le risultanze di causa (si rimanda al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 10, comma 3).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

11. A fronte delle ragioni, inappuntabili ed in verità non oggetto di specifica censura, che hanno indotto il Tribunale di Ancona a disconoscere anche la protezione sussidiaria, non ha precipua valenza la prospettazione finale del ricorrente, secondo cui, qualora rimpatriato, sarebbe condannato alla pena capitale (ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 16, comma 1, “lo status di protezione sussidiaria è escluso quando sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero: (…) b) abbia commesso, al di fuori del territorio nazionale, prima di esservi ammesso in qualità di richiedente, un reato grave. La gravità del reato è valutata anche tenendo conto della pena, non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni, prevista dalla legge italiana per il reato”. Ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 16, comma 2 “il comma 1 si applica anche alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esso menzionati”).

Tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo per cui il ricorrente beneficia, allo stato, della protezione umanitaria.

12. Il Ministero dell’Interno sostanzialmente non ha svolto difese. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315, secondo cui la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all’amministrazione giudiziaria).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021

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